Alessandro Penna, Oggi, n. 29, 21 luglio 2010, pag. 48, 21 luglio 2010
IL CARCERE E’ DEVASTANTE, RAFFAELE MI STA AIUTANDO
Amanda Marie Knox sta per compiere mille giorni di prigione. Ci è entrata nel novembre del 2007, sospettata dell’omicidio di Meredith Kercher. Per l’accusa, dovrebbe restarci tutta la vita. Secondo i giudici di primo grado «bastano» 26 anni. A giudizio di chi scrive, nel carcere di Capanne ce la tengono, più che delle «pistole fumanti» (come gli anglosassoni chiamano le prove inoppugnabili), cumuli di indizi fumosi: la confessione (poi ritrattata) al termine di un interrogatorio-fiume reso senza avvocato; frammenti di Dna «non incompatibili» con il suo; un’immagine, tratteggiata dal pubblico ministero Mignini e recepita da tabloid e affini, di dark lady, di donna versata a quei giochetti fatali che mescolano eros e morte.
Il 9 luglio scorso, la Knox ha provato a festeggiare anche un altro anniversario, il compleanno numero 23. La sua compagna di cella, un’americana di 50 anni, le ha preparato una torta al cioccolato, lei si è cucinata un pasticcio di granchio. Ha ricevuto molti pacchetti (libri, vestiti leggeri), la visita affettuosa degli avvocati Luciano Ghirga e Carlo Della Vedova, le lacrime e gli abbracci della madre Edda e della sorella Deanna, a cui ha «contro regalato» due ritratti disegnati di sua mano. Per l’occasione, le abbiamo fatto avere 11 domande. Ecco cosa ci ha risposto.
Come passa le sue giornate?
«Mi sveglio sempre presto, intorno alle 6, specie adesso che fa molto caldo. Faccio un po’ di yoga per sgranchirmi le ossa e le idee, rispondo alle lettere dei miei amici e dei familiari, leggo quelle che mi arrivano da sconosciuti: ne ricevo circa 300 al mese, mi incitano a non mollare, per me sono un bel supporto. A metà mattinata gioco a pallavolo con le mie compagne, poi riposo. Nel pomeriggio studio, leggo dei libri, in queste settimane ho visto più televisione del solito: ”colpa” dei Mondiali, adoro il calcio. Ho tifato per le mie patrie: Stati Uniti e Germania. Mi è spiaciuto che l’Italia sia uscita così presto».
Cosa sta leggendo?
«Mi sto concentrando sui classici: Jean Paul Sartre, Alberto Moravia, Fedor Dostoevskij. In italiano: una faticaccia, ma ne vale la pena».
I giornali inglesi hanno scritto che lei sta diventando cieca.
«L’ho saputo. una bugia, ci vedo benissimo, non ho perso neppure una diottria. Non so perché continuino a inventarsi cose su di me».
A che punto è con gli studi?
«Purtroppo, sono ancora lontana dalla laurea. Esami, colloqui coi professori, esercitazioni: va fatto tutto per posta e questo rallenta molto il mio percorso. Ma non demordo. I miei amici si sono laureati quest’estate, io ci metterò un po’ di più».
Ha ancora contatti con Raffaele?
«Certo. Ci scriviamo spesso, ci facciamo forza a vicenda. Siamo finiti in una vicenda surreale, che non riusciamo ancora a capire: è una cosa terribile, ma almeno ci unisce. E poi dell’amore è rimasto l’affetto».
Ha ancora fiducia nella giustizia italiana?
«Sì, anche se non è facile. Pensavo che mi avrebbero assolto in primo grado, che la mia innocenza venisse riconosciuta subito. Lì la fiducia era grande, la delusione è stata immensa. Provo a mantenerla, a nutrirla, la fiducia, ma ci sono momenti terribili in cui mi assale la paura di restare chiusa qui dentro per un delitto che non ho commesso».
Come ha reagito alle rivelazioni di Luciano Aviello [collaboratore di giustizia che ha accusato il fratello Antonio di essere il vero assassino di Meredith Kercher, ndr]?
«Era una cosa di cui ero già al corrente. Quando hanno letto la notizia su Oggi, tutte le mie compagne mi hanno abbracciato, mi gridavano: ”Ora ti faranno uscire”. Io sono rimasta calma. Il pericolo più grande, per me, è quello di far crescere la speranza, di credere troppo alla libertà».
Cosa le manca di più, della sua vita precedente?
«La famiglia, gli amici, la mia città: ricevo un sacco di foto di Seattle, della sua skyline, della mia casa. Mi mancano tutti quei parenti che non posso vedere: i miei cugini più piccoli, che quando sono entrata in prigione avevano solo due anni. Le mie due sorellastre Ashley e Delaney: chissà come saranno cambiate…».
Ha fatto parecchio rumore il suo nuovo taglio di capelli. C’è un motivo, dietro la nuova acconciatura?
«L’ho fatto all’80 per cento per comodità, per asciugarli più in fretta e patire meno il caldo. E al 20 per cento per sfogare una specie di ribellione, per mostrare come questa situazione mi stia devastando».
Va spesso a Messa?
«Sì. Suono la chitarra, canto, mi raccolgo. Sono una persona molto spirituale, ho bisogno di quei momenti».
Ha qualcosa di cui rimproverarsi?
«Nulla. Qui in carcere ho capito che ci sono cose cattive che capitano alle persone buone. Io sono dentro a questa situazione surreale, che non mi spiego, che è come se stesse capitando a un’altra persona. Faccio una fatica tremenda a realizzare che la mia amica Meredith è morta e che io sono accusata di averla uccisa. Faccio una fatica che, a volte, è più grande di me».
Alessandro Penna