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 2010  luglio 20 Martedì calendario

INTERVISTA A SVEVA CASATI MODIGNANI

L’anno scorso, con il suo ventesimo ro­manzo, ha sorpassa­to quota dieci milioni di copie vendute. Con il ventunesimo, invece, Sveva Casati Modignani, o semplicemente ”Lady Bestseller”, ha messo a segno un altro colpo me­morabile. Ascoltate cos’è accaduto, nell’Italia che non legge e degli edito­ri in crisi: il 2 luglio Mister Gregory sbarca nelle librerie con una tiratura di 160mila copie. un venerdì. Il mercoledì successivo, quattro gior­ni dopo, le continue richieste da par­te­dei librai obbligano l’editore Sper­ling& Kupfer a mettere in cantiere una ristampa cautelativa di 30mila copie. La scorsa settimana il titolo era terzo nelle classifiche dei più ven­duti: può darsi che mentre state leg­gendo queste righe Mister Gregory abbia guadagnato un’altra posizio­ne.
Lady Sveva,ma come si spiega tutto questo successo?
«Rido dentro di me, se lei usa la pa­rola successo. Vuol sapere l’ultima cosa che penso quando mi metto a scrivere un romanzo? ”Ecco,ora scri­vo un best seller”. Come se uno po­tesse mettersi lì e scriverlo a tavoli­no. Non ho ricette per vendere così tanto. Le cose capitano».
Mister Gregory è «capitato»? Il fatto che un uomo sia per la prima volta protagonista di un romanzo di Sve­va potrebbe sembrare operazione sorprendente, ma pur sempre di marketing.
«Sì, è ”capitato” pure Mister Gre­gory .
Il protagonista era dieci anni che bussava insistentemente alla mia porta, ma non lo lasciavo entra­re, perché era un maschio. Sa di cosa parlano due uomini che si incontra­no? Di calcio, delle ultime marche di orologi strepitosi che hanno recupe­rato da qualche parte in Svizzera, del­l’ultimo ristorante che hanno sco­perto in fondo alla campagna lom­barda. Fine. Mi dicevo: ma sarà poi così interessante avere un protagoni­sta uomo? A quale profondità psico­logica potrà arrivare? Cosa avrà da dire per tutto il tempo? Non ho piani­ficato nulla».
Però, evidentemente...
«Mi ha sedotto. Ecco tutto. stato abilissimo. Un giorno apro la porta ed eccolo lì, bambino, la madre che se n’era andata,il padre scappato in Argentina, e lui abbandonato nel Po­lesine. Mi è scaturita una sorta di te­nerezza materna. Lui ha preso a rac­contarmi una avventura dietro l’al­tra, compreso le asinate che com­metteva, e io l’ho ascoltato».
Ed è così che è partita la macchina romanzesca. Oliata alla perfezione da anni di scrittura.
«Ho fatto ricerche, se è questo che vuol dire. Il romanzo è ambientato anche nel mondo dei grandi alber­ghi. Sono andata da Daniela Bertaz­zoni, padrona di casa del Grand Ho­tel et de Milan, e ho cercato di capire come si svolgeva la vita dietro le quin­te di quella macchina da guerra che è un grand hotel. Vi sono regole e ge­rarchie precisissime, oltre che molte figure, tutti laureati, che lavorano per mandare avanti i diversi settori. Sa che le capogovernanti dormono nelle stanze per farne un monitorag­gio adeguato? Per non parlare degli aneddoti che si possono raccogliere tra quelle mura. Se un cliente non dà problemi, non è interessante».
L’accusano,però,di raccontare tut­to questo in uno stile troppo ele­mentare.
«A un certo punto nel corso di uno dei suoi viaggi in Italia, Stendhal arri­vò a Trieste e si accorse di non avere niente da leggere per quella sera. Vorrà dire che scriverò - annota lui stesso nei suoi diari - dal momento che scrivere è pure più divertente che leggere. Quanto allo stile, ag­giunge Stendhal, l’ha inventato qual­cuno che non aveva niente da dire ».
In questo istante Proust sta moren­do per la seconda volta.
«Può sembrare un’affermazione feroce per gli esteti, ma io dello stile non mi sono mai preoccupata. Chi fa il mio mestiere, il cantastorie, sen­te se una frase vien fuori rotonda, se rotola via bene, e questo mi basta. Non ho mai capito, nonostante tutte le dotte disquisizioni intorno ad es­so, cosa sia precisamente lo stile».
Lo stile è l’uomo, diceva Lacan.
«Ebbene, io sono una donna. Det­to questo, i miei romanzi li concepi­sco mettendomi in ascolto. Se si ha la presunzione di dire a un proprio personaggio ”Ora ti guido io”,il per­sonaggio scappa e se ne va. Lo scritto­re deve essere umile davanti ai suoi protagonisti. Quando ho visto per la prima volta il personaggio di Mister Gregory- in realtà conosco da 40 an­ni la persona che me l’ha ispirato ­ho visto un bambino che stava an­dando a messa con sua nonna, in­freddolito nella neve, gli zoccoli e la mantella. Mi sono limitata a seguir­lo ».
Ma non è tutto troppo sentimenta­le? E le parole?
«La scrittura viene dopo. Uso una carta particolare, color paglierino, intestata Bice Nullo Cantaroni. L’aveva fatta fare mio marito, com­pagno di tanti romanzi a quattro ma­ni. Qualche anno fa si era esaurita. L’ho fatta rifare. Non sto seduta alla macchina da scrivere mai per più di un quarto d’ora.Mi alzo in continua­zione, faccio il caffè, litigo col cane. In un giorno non scrivo mai più di tre ore complessive. Mi ripeto sempre: questa storia così bella che ho cre­sciuto dentro di me devo rovinarla scrivendola? Poi, in realtà, mi accor­go che­mettendola sulla pagina ave­vo pensato a una cosa che non pote­va funzionare, avevo commesso un errore di immaginazione. La scrittu­ra serve solo a questo: a perfezionare la fantasia».