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 2010  luglio 20 Martedì calendario

L’AMIANTO DI CASALE, MALEDIZIONE PER ALTRI 15 ANNI

«Temo che quanto sto per dire equivalga alla scoperta dell’acqua calda». La premessa fatta da Vittorio Demicheli, direttore della Sanità della Regione Piemonte, è importante quanto l’assunto che segue. «A Casale Monferrato si può parlare di epidemia di tumori da amianto. Su 250 casi registrati di questa malattia, uno su 5, ovvero 50 all’anno, sono in quell’area. Dove ci si ammalerà per almeno altri 15 anni da oggi, questo per la presenza ambientale delle fibre di amianto».
In aula, al processo Eternit, dove il funzionario parlava dal banco dei testimoni, nessuno ha provveduto a toccare ferro. Lo sanno tutti che è così. Udienza dopo udienza, il dibattimento che vede imputati lo svizzero Stephan Schmidheiny e il barone belga Louis de Cartier de Marchienne, i due ultimi proprietari della multinazionale Eternit, che devono rispondere di disastro ambientale, sta diventando una specie di amarcord su una delle più grandi e sottaciute stragi italiane. Sfilano vecchi operai, cittadini, familiari di vittime, politici.
Tutti a ricordare come e perché si è arrivati a questo punto. A 2889 morti negli ultimi trent’anni (anche nelle altre filiali italiane dell’azienda: Cavagnolo, in provincia di Torino, Rubiera di Reggio Emilia, Napoli), e altrettante sono le vittime inconsapevoli. Ma l’eredità lasciata dalla produzione di amianto è ancora nell’aria, come le micidiali fibre prodotte dal polverino di amianto che si conficcano nella pleura, fino a farla lentamente marcire. il mesotelioma, uno dei tumori più ostici da combattere. Quell’aria viene respirata ogni giorno, non solo a Casale. Nel suo ultimo rapporto biennale l’Ispesl parla di tremila ammalati all’anno in tutta Italia. Ormai muoiono soltanto le vittime «civili», non più gli operai.
Ma Casale, 36 mila abitanti in provincia di Alessandria, 70 chilometri di distanza da Milano, 65 da Torino, è l’epicentro. Una storia segnata dal profitto contrapposto alla tutela della salute, questo è il pensiero della procura di Torino. Ancora oggi, ogni cosa parla dell’Eternit. Solo pochi mesi fa qualcuno si è accorto che il circolo cittadino dei pensionati era intestato all’ingegner Adolfo Mazza, l’uomo che nel 1906 comprò il brevetto per l’Italia di una tecnologia che rinforzava il cemento con fibre d’amianto. Era considerato un benefattore. L’Eternit stava a Casale come la Fiat a Torino. Portava lavoro, un massimo di duemila dipendenti nel 1965. Gli unici a rendersi conto di quel che accadeva furono gli operai che lavoravano nel gigantesco stabilimento al quartiere Ronzone.
Nel novembre del 1961 occuparono il ponte sul Po, chiedendo «più tutela della salute». Gli autunni caldi erano là da venire, e nessuno raccolse l’allarme. Nel 1976 un prete operaio, Bernardino Zanella, scrisse una lettera aperta alla proprietà chiedendosi se «un morto al mese» poteva bastare. Non ebbe alcuna risposta. Due anni dopo morì di mesotelioma lo storico maestro delle scuole elementari. Come lui, altre sette persone che abitavano nelle centrale via Roma. Si scoprì poi che era «colpa» del vento che girava, portando le fibre con sé. La città non capiva, erano tanti quelli che pensavano a piagnistei da operai sindacalizzati.
Il 24 settembre 1985 l’allora sindaco, il democristiano Riccardo Coppo, scrisse a Stephan Schmidheiny per informarlo della «strage» che avveniva sotto i suoi occhi. Non ebbe risposta. Nel 1987 firmò un’ordinanza coraggiosa, con la quale vietava l’utilizzo dei prodotti in amianto sul territorio casalese. L’Eternit, intanto, aveva chiuso. Da allora, questa è una storia che si può raccontare come una specie di Spoon river. Con le morti. Quella di Piercarlo Busto, bancario, che se n’è andato nel 1988 a soli 33 anni. Sua moglie fece affiggere dei manifesti listati a lutto: «Ucciso dall’amianto». Quella di Paolo Ferraris, consigliere regionale. Fece arrivare i primi soldi per la bonifica, 3 miliardi. Poi si ammalò, e morì nel 1997. Quella di Luisa Minazzi, preside, che ebbe il coraggio di vivere in pubblico la sua malattia, prima di chiudere gli occhi pochi giorni fa. E in mezzo a tanto dolore, la lotta del Comitato guidato da Bruno Pesce, da trent’anni portavoce delle vittime. In aula, come sempre, anche ieri. «Speriamo che il picco dell’epidemia arrivi in tempi più brevi. Ma la speranza non basta. Servono risultati concreti per la ricerca e per le bonifiche».
Daniela De Giovanni non si stupisce. «La previsione è legata alla lunghissima latenza della malattia. Anche cinquant’anni. Se si considera che il periodo di massima produzione in Italia coincide con la metà degli anni Settanta, il calcolo è presto fatto». Lei è oncologa all’hospice di Casale, direttore del reparto cure palliative. «La ricerca è andata a rilento perché le case farmaceutiche non investono sulle malattie rare. Ma purtroppo il mesotelioma si sta manifestando anche in regioni dove non veniva estratto l’amianto. Voglio però essere sincera: otterremo ben pochi successi. Il mesotelioma si estinguerà da solo, tra molti anni». Due giorni fa a Roncaglia, una frazione, hanno seppellito un contadino, ucciso dal male bianco. La Spoon River di Casale Monferrato non finisce più.
Marco Imarisio