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 2010  luglio 20 Martedì calendario

«GIURAI AL REGIME, VOLEVO LA MEDAGLIA VINTA IN ATLETICA»

Maggio 1941. In occasione dei Littoriali lo stadio di Firenze trabocca di famiglie. Sugli spalti comete di parenti, suoceri, fratelli, cognate (specie nubili) e vicini di casa. Mocciosi dai calzoni corti e il fez in testa, adolescenti dalle pettinature ondulate o vaporose, volti anziani bruciati dal sole. Sul podio una ventenne sudata, medaglia d’oro per il salto in alto, sorride all’esterno e dentro di sé. A vent’anni Margherita Hack è una bionda slanciata dai capelli mossi e il sorriso aperto. Va ad allenarsi ai campi d’atletica del «Giglio Rosso»: scarponcini, tuta blu scuro, comodamente spartana, felpa con su scritto «Firenze». Il fisico tonico, le gambe esercitate, i polpacci magici: gli «urrà» dagli spalti sono anche per lei, Margherita, figlia di un contabile e una maestra fiorentini della periferia di Campo di Marte. Ondate di «evviva» si sollevano dal pubblico, alternate ai silenzi del cerimoniale. Estate 2010. Da Castiglioncello – ci andava da piccola e ci va ancora, ospite di un «tre stelle» sul mare – la vincitrice dei Littoriali del 1941, racconta segreto e pentimento: «Avevo finito il liceo e mi ero allenata duramente per quelle gare. Allo stadio c’era tutta la mia città, era un grande onore per me» premette, per poi arrivare al punto. «A quel tempo i vincitori giuravano lealtà alla patria e al fascismo. Una formula rituale che veniva pronunciata durante la premiazione. Avevo vinto la medaglia d’oro, dovevo giurare anch’io: lo feci». Strano quanto una medaglia possa pesare. Margherita Hack che promette lealtà al regime di Mussolini. «Un atto di viltà» valuta lei. Candidata per il centrosinistra alle ultime Regionali nel Lazio (ha ottenuto settemila preferenze) e, a ritroso, con i Comunisti italiani alle Europee del 2009, alle Politiche del 2006 e alle Regionali lombarde del 2005, la Hack pesca tra i ricordi, seleziona i vocaboli e tira le somme: «Quel giuramento fu un compromesso con me stessa». Non è facile ora ricordare per intero la scansione di quella promessa: «Promettemmo di obbedire alla patria e al regime e per me quello fu una sorta di spergiuro, perché ero contraria al fascismo da quando erano entrate in vigore le leggi razziali». E in famiglia? «Lo raccontai, ne parlammo, ma prevalsero la gioia della festa, l’orgoglio della medaglia, insomma il contesto» spiega. Nato appena tre anni prima, con la promulgazione delle leggi contro gli ebrei, l’antifascismo della giovane Hack subì la sua prima sconfitta proprio lì, su quel podio: «Allora lo stadio, dove oggi gioca la Fiorentina, si chiamava "Berta" in onore del martire fascista» ricorda l’astrofisica. Giovanni Berta, ventisettenne delle Squadre d’Azione, precipitò nell’Arno durante uno scontro con i comunisti nei pressi della Nuova Pignone, storica fonderia, entrata a far parte dell’assetto Eni nel dopoguerra. Sono trascorsi sessantanove anni. Poteva rifiutare? «Ne avrei subito le conseguenze, mi era già accaduto a scuola» è la risposta. La Hack studiava al selettivo e prestigioso «Galileo Galilei» da cui, in seguito, dovette far le valigie la sua insegnante di scienze: Enrica Calabresi, ebrea. «La incontrai mesi dopo, camminava come una bestia ferita dietro Palazzo Vecchio. La salutai con un rispettoso "buongiorno" ma avrei dovuto dirle di più» ricorda la Hack, ora che ha imboccato il corridoio dei rimpianti. Tra i banchi del liceo, mescolati ai cambiamenti e alle perdite affettive, circolano battute contro il fascismo. C’è ancora tempo per il sarcasmo. Ma nell’insieme, il clima è pesante anche al «GaliVoi», come i più goliardi fra gli studenti l’avevano ribattezzato da quando il regime aveva prescritto il «Lei» in favore del più italico «Voi». L’episodio che segue è citato tra le righe della biografia della Hack: «Ero con dei compagni di classe a ricreazione. Si criticava il fascismo. Un docente ci denunciò al preside. Rischiavo l’espulsione, ma gli altri insegnanti si pronunciarono in mio favore e la pena fu "commutata" a trenta giorni di sospensione». Significava sette in condotta, spiega: «Avrei dovuto portare tutte le materie a settembre. Avrei perso l’anno. Ma l’esame di maturità fu sospeso con l’entrata in guerra dell’Italia». Lei fu promossa. Si allenò. E vinse le gare.
Ilaria Sacchettoni