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 2010  luglio 20 Martedì calendario

2 articoli – SVELATA LA MAPPA DELL’AMERICA TOP SECRET – Al Qaeda tradizionale, quella di Osama per capirci, conterebbe oggi «non più di 300» elementi

2 articoli – SVELATA LA MAPPA DELL’AMERICA TOP SECRET – Al Qaeda tradizionale, quella di Osama per capirci, conterebbe oggi «non più di 300» elementi. Stima dell’ufficio dell’antiterrorismo statunitense. Bene, per contrastarla, gli Stati Uniti hanno mobilitato 1.271 organizzazioni governative, 1.931 società private, 10 mila strutture fisse e 854 mila funzionari che producono ogni anno 50 mila rapporti di intelligence. E’ il mondo del Top Secret, una realtà che spende denaro – il budget supera i 75 miliardi di dollari ”, organizza, scheda, duplica i lavori senza che nessuno possa controllarla in modo efficace. Vale la battuta dell’attuale Direttore dell’Intelligence nazionale, James Clapper: «C’è una sola entità nell’universo che è a conoscenza dei programmi speciali: è Dio». Il Washington Post, con un’inchiesta di Dana Priest e William Arkin, ha fatti i conti in tasca agli 007 civili emilitari. Due anni di scavo, come si dice in gergo, conclusisi con tre puntate sulla versione cartacea del giornale e interessanti link sul web. Un lavoro che ha fatto emergere un’impressionante burocrazia della sicurezza. Non che fosse sconosciuta. Sono usciti libri e articoli ma il Washington Post ha messo insieme tutti i pezzi offrendo poi una banca dati online consultabile da qualsiasi lettore. Uno scoop che ha fatto arrabbiare alcuni dirigenti dell’intelligence perché’ sostengono – «non rispecchia quello che siamo» e può mettere a rischio gli uffici segnalati nell’articolo. La Casa Bianca si è detta «preoccupata» ma non ha confermato che vi sia stato un intervento per fermare la pubblicazione mentre il direttore della Cia, Leon Panetta, ha riconosciuto che «i livelli di spesa post 11 settembre non sono più sostenibili». Gli occhi esperti di Dana Priest e William Arkin hanno puntato un «esercito» con circa 10 mila «basi» sparse sul territorio americano. Un Eldorado di contratti, appalti e subappalti creati dopo l’11 settembre. Un Golia che dovrebbe far dormire tranquilli gli americani ma che, a giudizio del Washington Post, non è detto sia in grado di fermare il prossimo attacco. La strage di Fort Hood, il fallito attacco al jet Northwest e l’autobomba di Times Square sono lì a documentare i buchi nella rete. Ogni mattina 854 mila funzionari, certificati come «sicuri e affidabili», entrano nei loro uffici protetti da muri blindati, sistemi per il riconoscimento della retina, card magnetiche. Sono loro il cuore della lotta contro chiunque minacci l’America. E tutti sono ossessionati dalla segretezza. Da proteggere in ogni modo. Oggi non sei nessuno se non hai la «Scif». Sigla che designa un ambiente a prova di intercettazione e di bomba, difeso da guardie, libero da telefonini e al quale si accede digitando codici speciali su una tastiera. Roba da Mission Impossible. Secondo le fonti contattate dal Washington Post la «Scif» è lo status symbol della America Top Secret. E dentro queste stanze – che possono però essere grandi quanto un campo di calcio’ lavorano analisti sui 20-30 anni che guadagnano tra i 30 mila e i 50 mila euro all’anno. Producono rapporti, studi, montagne di pagine che ingolfano chi poi deve decidere. A volte ci prendono, altre no. E non tutti hanno la sufficiente esperienza per maneggiare un fenomeno in continua evoluzione. Gli operativi si lamentano delle scartoffie, chiedono invano un argine. Recentemente è stata decisa la chiusura di 60 siti web dedicati all’analisi. Ma sono rimasti «in vita» come degli «zombie». Per cercare di gestire le segnalazioni – eccessive – l’Ufficio dell’Intelligence ne ha aggiunta un’altra: «Intelligence Today». E per non sbagliare è stata creata una sezione che riassume notizie provenienti da oltre venti agenzie e 63 siti. Non va meglio alla Nsa, lo spionaggio elettronico. Ogni giorno raccoglie 1,7 miliardi di email, telefonate e altre comunicazioni. Pescatori incredibili, il problema è sapere se il «pesce» è buono o da buttare. E di nuovo ciò che servirebbe è la circolazione delle informazioni ma gelosie e regole di riservatezza creano paratie insuperabili. Così succede che l’attentatore con le mutande bomba, pur finito nei file, è salito sull’aereo. Prendiamo il finanziamento dei terroristi: sono 51 i dipartimenti in 15 città che provano a ricostruire il flusso di denaro. Un apparato che deve misurarsi con l’agilità dei nuclei jihadisti. Vivono con quattro soldi, si arrangiano, raramente usano le transazioni bancarie. Al dipartimento della Difesa hanno affidato le «chiavi» dei progetti segreti ad un gruppo ristretto di ufficiali, i «Super Users». Dovrebbero sapere tutto ma le testimonianze dicono qualcosa di diverso. Uno di loro è stato chiuso in una stanzetta-bunker. Un tavolino, un paio di sedie e l’immancabile schermo. Un assistente ha ammonito: «Attento, non può prendere appunti». Quindi ha iniziato a mostrare un progetto dopo l’altro al Super User che, affranto e frustrato, ha detto «basta». Non dice basta, invece, l’amministrazione statale che continua a finanziare edifici e progetti. George W. Bush è stato il padre del «boom» ma i democratici hanno proseguito. Dal 2001 ad oggi sono nate 263 nuove organizzazioni ed è possibile che ne seguiranno altre. Come diceva Donald Rumsfeld, parlando dell’intelligence e dei misteri che doveva risolvere, «non sappiamo quello che non sappiamo». Guido Olimpio LA PULITZER BIONDA E IL «SEGUGIO» ODIATO DALLE DONNE – Lei è una delle giornaliste investigative più stimate d’America, da 21 anni veterana del Washington Post con alle spalle due premi Pulitzer, un fan club e l’inclusione nella lista delle «75 migliori persone al mondo» compilata l’anno scorso da Esquire. Lui è uno dei reporter più odiati dalla destra Usa: analista di intelligence militare, attivista, autore di una dozzina di libri e migliaia di articoli denunciati da ogni amministrazione Usa, da Reagan in poi. Dana Priest e William Arkin – il duo «Priest & Arkin» li ha già ribattezzati la blogosfera’ sono i due segugi del Washington Post dietro lo scoop che ha messo in luce sperperi e inefficienze della «Top Secret America», la gigantesca burocrazia di agenzie di intelligence moltiplicatesi dopo le stragi dell’11 settembre. Eredi della coppia Bob Woodward-Carl Bernstein, che negli anni Settanta portò il Washington Post allo scoop dello scandalo Watergate e alle dimissioni dell’allora presidente Nixon, Priest & Arkin sono riusciti, con l’aiuto di una ventina di giornalisti del loro giornale (reporter, esperti di banche dati, video-giornalisti e grafici), a risollevare le sorti disastrate della carta stampata. «Congratulazioni al Washington Post per il tipo di inchiesta che salverà i giornali», esulta l’autorevole columnist conservatore Andrew Sullivan dal suo seguitissimo blog su The Atlantic. Il who’s who della politica estera Usa gli scrive per dirsi d’accordo. Bionda, 53 anni e due figli avuti dal marito William Goodfellow, direttore esecutivo del think tank liberal «Center for International Policy», la Priest è una che non ha mai smesso di credere alla professione di reporter da quando si è laureata alla University of California di Santa Cruz, nel 1981. «I giornali stanno decurtando il budget per il giornalismo investigativo’ si è lamentata in una recente intervista – ma se questo trend non finirà, l’America sarà presto un Paese completamente diverso perché non siamo ancora riusciti ad usare il potere di Internet per realizzare inchieste». Alla tv, che la corteggia da sempre, ha sempre preferito «la carta», cui ha regalato innumerevoli scoop, da quello sui gulag segreti gestiti dall’amministrazione Bush nell’Europa dell’Est allo scandalo degli abusi nella prigione di Abu Ghraib. Arkin, 54 anni, newyorchese, lavora al Washington Post dal 1988 occupandosi di intelligence militare. Ha servito nell’esercito per quattro anni, dal 1974, subito dopo il liceo, al 1978. Nel suo curriculum spicca l’attività per organizzazioni quali Greenpeace, l’Onu e Human Rights Watch. Nel mirino della destra finisce già durante l’amministrazione Reagan che cerca, invano, di fermare la pubblicazione di ben due dei suoi libri sugli armamenti nucleari. La goccia che fa traboccare il vaso arriva però nel 2003 quando Arkin denuncia come «un jihadista intollerante» il generale William Boykin, reo di aver tenuto un discorso in divisa dal pulpito di una chiesa di fondamentalisti cristiani per denunciare l’Islam come «religione satanica» e benedire l’invasione dell’Iraq da parte degli americani in quanto «santa crociata». Quattro anni dopo fa di nuovo scalpore quando chiama i soldati in Iraq «mercenari». Guidata da Bill O’Reilly della Fox Tv, la destra insorge denunciandolo come «un pericoloso comunista». Per vendicarsi il sito LGF Watch diffonde il suo indirizzo di casa e Arkin riceve numerose minacce di morte. Il suo ultimo scoop finirà per danneggiare soprattutto l’intelligence del presidente democratico Obama? «La verità è che i servizi segreti non cambiano da presidente a presidente’ ribattono in coro Priest & Arkin ”. Obama non è più trasparente degli altri e se non pensiamo noi giornalisti a trovare la verità, chi mai può farlo?». Alessandra Farkas