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 2010  luglio 20 Martedì calendario

INTERVISTA A CONFALONIERI

E se alla fine il puzzle della politica, oggi minacciato da rischi di elezioni anticipate e governissimi, si ricomponesse magicamente? «Tanto tuonò che non piovve», è la battuta con cui Fedele Confalonieri traduce questo ragionamento. Non una certezza, ma molto più che una speranza. Perché il presidente di Mediaset, l’amico più amico del presidente del Consiglio, è convinto che Silvio Berlusconi ricomporrà il quadro e riuscirà a superare la tempesta scatenata da liti nella maggioranza, scandali e inchieste.
«Non credo si finirà con l’andare al voto nei prossimi mesi», è il pensiero di Confalonieri. Prima di tutto, ha ben chiaro come spetti al presidente della Repubblica la decisione di sciogliere le Camere. Ma poi, si è chiesto, «a chi converrebbe? Non penso sarebbe un vantaggio per Berlusconi. Anzi, rischierebbe anche lui. E Fini? Dove andrebbe a prendere i voti? Non mi pare così facile ottenerli dagli elettori di centrodestra dopo aver messo in crisi la coalizione per la quale era stato eletto». Allo stesso modo, al presidente di Mediaset non pare percorribile la strada che porta a un esecutivo di larghe intese. «La proposta di D’Alema che non sia neppure guidato da Berlusconi è fuori dal mondo, una provocazione. Almeno Casini, più sottile, dice "mettiamoci insieme e lasciamo a Palazzo Chigi il Cavaliere". Però no, non credo proprio a queste soluzioni».
Insomma, ragiona Confalonieri, «mi pare chiara la parte "destruens" di questa fase politica, la voglia di distruggere, ma non vedo quella "construens", dove cioè si voglia arrivare». Il terremoto è cominciato con lo strappo di Fini e nel complicato rapporto tra il presidente della Camera e il premier, secondo Confalonieri, pesa molto anche una mancanza di sintonia personale. «Berlusconi dovrebbe imparare a gestire Fini. La politica è fatta di ideali e obiettivi ambiziosi, ma anche di dispute che vanno controllate. Certo, qualche volta Berlusconi potrebbe sottrarsi al controcanto, far prevalere la ragione sul temperamento. Però so bene che non è la sua natura». I dissidi non bastano in ogni caso a considerare un errore la fusione di Forza Italia con An. Anzi, Confalonieri non ha dubbi nel sostenere che «la nascita di un grande partito conservatore avrebbe potuto diventare la principale eredità politica di Berlusconi all’Italia».
Adesso invece le parole che più vanno di moda nel Pdl sono divorzio e separazione; tregua, ben che vada. Confalonieri non nasconde il rammarico, «perché il governo non ha per niente fatto male. Ha affrontato bene la crisi economica e l’Italia, pur fra tante difficoltà, ha retto il colpo e va avanti. Nella lotta alla criminalità, poi, ha ottenuto risultati importanti». Peccato manchino le riforme strutturali, che ci sia stato il caso Brancher, che le inchieste più recenti abbiano aperto nuovi fronti di crisi. Confalonieri è amico dell’esponente Pdl rimasto ministro per soli 17 giorni e pur senza scendere nei dettagli lo assolve nella vicenda della contestatissima nomina. «Forse la Lega farebbe bene a chiarire». Quanto alle riforme, sottolinea la difficoltà a realizzarle «vista l’aria che si respira». E si concede una battuta citando Giampaolo Pansa: «In fondo, quando parla del rischio di ”guerra civile” non sbaglia mica poi tanto». Lo dice anche ripensando all’avventura in politica del Cavaliere, segnata - sostiene - «da un coacervo di attacchi». «Una parte della magistratura non ha accettato che Berlusconi da imprenditore diventasse politico. Parlano di leggi ad personam, ma sono la risposta a una guerra ad personam contro di lui. Un attacco finanziario, come l’assurdità di riconoscere 750 milioni a De Benedetti per la vicenda Mondadori, chiusa da anni e riaperta senza basi concrete; un attacco giudiziario, basta pensare all’ultimo caso, il processo sui diritti cinematografici di Mediaset, vicenda incredibile, che non esiste: e infine un attacco politico, come confermano le ultime inchieste». Non è il caso però di evocare le «toghe rosse», perché questi magistrati «non agiscono per conto terzi. No, lo fanno per conto proprio, perché si considerano l’unica opposizione a Berlusconi». Sul terreno giudiziario il presidente di Mediaset non sente ragioni. E se gli si ricordano le prescrizioni del Cavaliere, si deve incassare una replica decisa. «Bisogna essere chiari, la prescrizione serve soprattutto ai giudici. Dopo 10 anni in cui trascinano un’inchiesta senza riuscire a dimostrare le accuse... All’estero mica succede così, servono prove concrete. Dopodiché si decide, guilty or not guilty, colpevole o non colpevole, senza i nostri tempi biblici».
Proprio la giustizia, ragiona Confalonieri, sarebbe in prima fila nell’elenco delle riforme necessarie. «Una riforma organica, da fare con la parte di magistratura più dialogante e che comprenda anche le nuove norme sulle intercettazioni». Perché quel provvedimento tanto contestato è necessario, secondo il presidente del Biscione. «Non venitemi a dire che c’è il bavaglio in Italia. Si può scrivere di tutto. Ma servono degli interventi, anche se con alcune correzioni rispetto a quanto si è discusso fino a oggi. Non si può finire sui giornali per vicende che toccano la vita privata».
Le intercettazioni hanno un ruolo decisivo per molte indagini. Il caso più recente è quello sulla cosiddetta P3. Il premier ha parlato di «quattro pensionati sfigati» a proposito dei principali accusati. Pur con altri termini, i commenti di Confalonieri rimangono sulla stessa linea. «Flavio Carboni? Ma che cosa volete che faccia? Io lo conosco, Carboni ha dato l’unica fregatura che Berlusconi si sia mai preso, un’operazione da 30 miliardi per dei terreni in Sardegna risoltasi nel nulla. E la sua referenza più forte, trent’anni fa, era l’essere socio del Gruppo Espresso nel giornale La Nuova Sardegna. Questi signori, diciamo la verità, non combinavano proprio niente. Parlavano, parlavano e finiva tutto lì. Mentre sui giornali passa l’immagine della loggia segreta e all’estero ci guardano come se fossimo ostaggio di chissà quale trama».
La tempesta passerà, è quindi la sua convinzione. Ma se il Cavaliere andrà avanti col governo, quale sarà lo scenario a lungo termine? Confalonieri non si avventura in discorsi su incarichi futuri, convinto com’è che «il Quirinale non sia il posto per Berlusconi, non lo vedo nel ruolo di arbitro. Magari punterà ad andarci Fini». Piuttosto, insegue una suggestione. Che quando si chiuderà l’esperienza politica del Cavaliere, calerà anche il sipario su «tutta questa generazione di politici». Da Fini a D’Alema, a Veltroni, a Casini eccetera eccetera, gente che viaggia verso i 60 anni e in qualche caso oltre. «Sarà probabilmente un largo ai giovani. E speriamo non si tratti di qualche uomo della Provvidenza, ma di qualcuno capace di disegnare un progetto per il futuro e con l’età e le capacità per esserne protagonista e vederlo realizzato».
Nel Pdl individua qualche personalità in grado di imporsi, e quelli dei ministri Alfano e Gelmini sono soltanto i primi nomi. Ma parole di apprezzamento vanno anche ai quarantenni della Lega, ai governatori Zaia e Cota ad esempio, «che hanno saputo abbandonare certi eccessi e affermarsi come politici nazionali». D’altronde la simpatia di Confalonieri verso il Carroccio è nota. Dipende dall’amicizia con Bossi e dai ricordi del padre che all’inizio degli anni 80 gli aveva parlato «per la prima volta dell’Umberto». Ma dipende anche dalla capacità che Confalonieri riconosce alla Lega di esprimere le aspirazioni di un territorio, «quando ad esempio chiede che le tasse pagate al Nord vengano investite al Nord, in un discorso che rimanda al principio "No taxation without representation"». Al partito di Bossi, infine, il presidente di Mediaset riconosce una coerenza non comune. «Quando nel 1994 ci fu il primo incontro tra Berlusconi e Bossi dopo le elezioni mi capitò di essere presente. E il Senatur esordì chiedendo una cosa sola: il federalismo, la sua ragione di vita».