Giuliano Ferrara, Panorama 22/7/2010, 22 luglio 2010
P3, L’ANOMALIA DEL REATO ASSOCIATIVO
La cricca. La lobby. La P3. I gentiluomini di Sua santità e i sotterranei del Vaticano. Le associazioni con la loro araldica più o meno massonica, le cene con i vecchi arnesi, le intercettazioni telefoniche, con il loro corteggio di allusioni, con quell’arietta generica di malaffare, anche a prescindere dalla individuazione di precisi reati. Questo è il nuovo clima, e in tanti ci pucciano il gustoso biscotto della rivalsa, della vendetta, della delazione, della denuncia e anche della diffamazione. Siamo il Paese in cui agiscono mafia, ”ndrangheta e camorra, d’accordo. La rilevanza della criminalità organizzata è senza paragoni rispetto alle altre grandi nazioni occidentali. E anche nella storia della Repubblica la parabola discendente dei partiti costituzionali, a cavallo tra il crollo del Muro di Berlino e la fine delle nostre vecchie istituzioni proporzionaliste, si è tragicamente avvitata, non senza effetti psicologici, culturali, politici. Si capisce che il bisogno di legalità, tremendamente insoddisfatto, diventi una specie di ossessione, e che il concetto stesso di norma, di etica civile, perda i suoi confini razionali e si trasformi in ideologia, in falsa coscienza morale, adattandosi a ogni tipo di cinica strumentalizzazione politica, a ogni sorta di follia forcaiola da parte di settori militanti della magistratura e della stampa.
Però bisogna fermarsi a riflettere, bisogna essere ragionevoli e cercare di capire, senza ridere né piangere, per conquistarsi credibilità quando si sia costretti, come talvolta è giusto, all’intransigenza. Domandiamoci se questo balletto non sia già stato ballato. E la risposta è: sì, tutto è già avvenuto 30 anni fa, ai tempi della P2, e ne portiamo ancora le tracce. Che cosa accadde? Semplice. Intorno a una lista, che vale come la lista Anemone o come la lista degli invitati a casa Verdini, si scatenò un bailamme e ne venne un terremoto politico-istituzionale. Tempo 15 anni, i grandi protagonisti, chi incarcerato per mesi, chi espropriato della più antica ditta editoriale e del più grande giornale nazionale, chi rovinato per sempre nella carriera burocratica o militare, tutti o quasi tutti furono assolti. E non si contano, a partire dal premier, le storie di successo, di consenso popolare, di proiezione internazionale negli affari, nei media e in politica di persone che in quelle liste, «sostanzialmente veritiere» come disse Tina Anselmi, erano finite.
Vogliamo ricominciare? I casi di un Giulio Andreotti e di un Calogero Mannino, processati, distrutti e poi assolti dalla sordida accusa di associazione mafiosa, non insegnano niente? I reati associativi sono reati politici, soprattutto se staccati da fattispecie di comportamenti criminali ben definiti. Nei paesi di antica civiltà e di robusta cultura del diritto, i reati associativi senza riscontro fattuale non esistono in quanto tali, possono al massimo funzionare come aggravanti. Ma in Italia tutto è ormai associazione, perché le intercettazioni a raffica, chilometriche, invasive fino ai dettagli più corruschi delle vite altrui, dimostrano al massimo chi è legato a chi, fanno vedere imperfettamente il retroscena del gran teatro del potere, vero o finto che sia, ma non mostrano, perché non possono farlo, chi ha commesso quale reato, il che è una cosa diversa.