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 2010  luglio 22 Giovedì calendario

LA CALIFORNIA NON SOGNA PIù


Arnold Schwarzenegger, ancora per pochi mesi governatore della California, non ha più soldi in cassa. E allora nel suo ufficio fioriscono le soluzioni più stravaganti per mettere qualche pezza ai conti. L’ultima, che ha anche ricevuto il via libera da una corte di giustizia, ha sentenziato che 240 mila dipendenti pubblici vedranno il loro stipendio di luglio ridotto all’essenziale: in America significa essere pagati 7 dollari e 25 centesimi l’ora, la paga minima stabilita a Washington. Questa fantasiosa misura di risparmio temporaneo potrebbe essere allungata nel tempo. "Fino a quando non sarà approvato il budget del prossimo anno fiscale la riduzione resterà in vigore", ha promesso il governatore che nella vita politica non è riuscito a emulare in nessun modo il Terminator che lo ha reso famoso e ricco a Hollywood.
La California è terra di fantasia, innovazione e impresa. Oggi però, chiunque abbia un potere da gestire si sente autorizzato a sfornare idee per ridurre il deficit statale che si è fermato a 19 miliardi di dollari per l’anno fiscale appena finito e che ballerà intorno ai 37 miliardi per il prossimo. Ecco allora tre giudici federali decretare che 40 mila dei 165 mila prigionieri potrebbero essere messi in libertà nel giro di pochi mesi per ridurre le spese mediche, il rischio di infezioni e il sovraffollamento delle carceri californiane. La scelta, però, non è piaciuta a Schwarzenegger che ha chiesto subito aiuto alla Corte Suprema a Washington.
 tempo di elezioni in California. Bisogna scegliere, a novembre, il nuovo governatore, oltre che un senatore e molti congressman. Per la poltrona di Sacramento, la capitale dello Stato, sono scesi in campo la repubblicana Meg Whitman, il cui nome è legato a eBay, azienda della rivoluzione Internet di cui è stata presidente e amministratore delegato, e il democratico Jerry Brown, oggi Attorney General e che è già stato governatore negli anni Settanta. Più che in altri Stati d’America quello che accade nel Golden State, uno dei più ricchi degli Stati Uniti (se fosse autonomo farebbe parte del G8 e del G20), serve a capire il modo in cui il Paese reagisce alle crisi. Per adesso la California dimostra che governando male si può arrivare ad affacciarsi sull’orlo dell’abisso. Se volessimo dare ascolto a Tim Hodson, professore di Government and Public Policy all’università Sacramento State, la spiegazione tutta politica è questa: "Negli ultimi 20 anni sia nel Partito democratico che nel Partito repubblicano hanno preso il sopravvento le ali estreme: gli ultra conservatori e i super liberal. E questo spiega anche la frequenza di scelte politiche che appaiono quanto meno stravaganti rispetto alla realtà delle cose".
L’episodio più eclatante del predominio dell’estremismo politico è accaduto nel 2009. I membri repubblicani del Senato della California si riunirono in tutta fretta la notte del 18 febbraio e defenestrarono il loro capogruppo Dave Codgill con un voto pressoché unanime. Si era macchiato di alto tradimento, ovvero aveva provato a cercare un accordo tra democratici e repubblicani intorno ai 42 miliardi di dollari che mancavano per far funzionare la macchina statale. La mediazione tra interessi differenti è quello che si fa normalmente in politica quando le uscite sono superiori alle entrate: una sforbiciata qui, un’altra lì per distribuire nel modo migliore l’amara medicina delle rinunce. In California no. Il Partito repubblicano insorge come un sol uomo ogni volta che viene pronunciata la parola tasse, e il Partito democratico ha nel suo orizzonte solo più spesa pubblica.
"La California assomiglia al regno della Polonia del Diciassettesimo secolo", sostiene John Ellwood professore di Public Policy all’Università di California a Berkeley: "Il sistema decisionale è completamente bloccato dalla scelta fatta più di 30 anni fa che costringe ad avere una maggioranza dei due terzi quando bisogna decidere in materia di tasse". La madre di tutti i debiti del Golden State sta in un referendum del 1978, la Proposition 13. Promosso dalla lobby degli immobiliaristi, sostenuto da una classe media in espansione, affermò con un voto il principio che le tasse sulle case andavano diminuite e che qualsiasi nuovo balzello aveva bisogno di una super maggioranza del 75 per cento dei voti sia alla Camera che al Senato dello Stato. Numeri che nessun partito possiede e che dunque lasciava il potere di decidere in materia fiscale alla minoranza anti-tasse. "La situazione si è ulteriormente aggravata perché per approvare il budget annuale basta la maggioranza semplice", aggiunge Ellwood: "Dunque è facile decidere di spendere e praticamente impossibile chiedere un contributo maggiore ai cittadini".
Ecco il quadro che presenta la California. Se si entra in alcune cifre c’è da avere paura: ci sono obbligazioni dei fondi pensione per un controvalore di 500 miliardi di dollari prive di copertura; ogni giorno vengono spesi 100 milioni di dollari in sussidi per i disoccupati che nello Stato sono quasi il 13 per cento contro una media nazionale del 9,5; le 240 scuole e università hanno visto i fondi di dotazione diminuire tra il 30 e il 40 per cento. E non si è salvato dalla mannaia neanche un centro culturale e scientifico come il Dipartimento di chimica dell’Università di California a Berkeley che vanta 21 premi Nobel. Sono vicini i licenziamenti di massa tra gli impiegati dello Stato. Altri disoccupati, altra ingiustizia sociale, mentre chi è andato in pensione grazie alla brillante iniziativa che il governatore democratico Gray Davis riuscì a far approvare nel 1999 è al riparo dalla tempesta: i dipendenti dello Stato possono smettere di lavorare a 50 anni, ricevendo vita natural durante il 90 per cento dell’ultimo stipendio. Oggi nessuno vuole rinunciare a quello che ha ottenuto in passato. Dice Ann Veneman, repubblicana, ex ministro dell’Agricoltura sia della California che degli Stati Uniti e che ha appena concluso l’esperienza di numero uno dell’Unicef: "Negli ultimi 30 anni sono stati concessi molti servizi e tutti ritengono di averne diritto per sempre".
Adesso il cerino acceso passa nelle mani di Meg Whitman o di Jerry Brown. Chi la spunterà, la manager o il politico navigato? La Veneman fa una previsione: "Diventerà governatore chi riuscirà a convincere gli elettori di essere in grado di risolvere il problema dell’occupazione". Per il professor Ellwood i due candidati sono la dimostrazione che i partiti non hanno capito che devono cambiare: "Brown ha speso l’intera vita in politica e vuole accreditarsi come uno che passa di lì per caso. E la Whitman sostiene che siccome ha fatto bene nel mondo degli affari, avrà successo anche in politica".
La Whitman e Brown sono a caccia di voti per vincere la competizione. Su alcuni argomenti non sembrano legati al modo ideologico di fare politica dei partiti che rappresentano. La Whitman è pro choice per quanto riguarda l’aborto, e Brown non considera la scuola privata un’idea del diavolo. Sembra però che nessuno dei due abbia molta voglia di assumersi sin d’ora la responsabilità di profondi cambiamenti. In particolare sulla questione deficit e conti rilanciano la palla ad altri. Brown chiama in causa l’intero corpo elettorale e non si assume alcuna responsabilità: "Qualsiasi cosa si deciderà, tagliare la spesa o alzare le tasse, sarà necessario chiedere il voto degli elettori". E lo stesso fa la Whitman che si ancora a un passato di 32 anni fa: "Se tu sei governatore e la gente vota per la Proposition 13 e poi vedi le entrate diminuire, il tuo obbligo è fare quello che hanno chiesto i cittadini".
"A volte sembra che la California sia immobile in attesa che qualcuno arrivi in aiuto per risolvere il problema", commenta il professor Ellwood. la sindrome del "to big to fail", troppo grande per fallire. C’è una specie di attesa messianica che al momento opportuno Washington interverrà con una iniezione di liquidità. Perfino il miliardario Warren Buffett ha sostenuto che non si può lasciare andare alla deriva il Golden State. "Lo stile californiano invita alle esagerazioni, però la situazione non è totalmente fuori controllo", sostiene il professor Hodson: "Basterebbe guardare al dato che dimostra come gli investimenti di venture capital sono sempre al primo posto a livello nazionale". Resta invece profondamente pessimista Jean Ross, direttore esecutivo del California Budget Project, un think tank slegato dai partiti: " necessario un aiuto finanziario del governo federale, altrimenti le decisioni che sono state prese riguardo al budget influiranno perfino sull’andamento dell’economia di tutti gli Stati Uniti". Ma di soldi da Washington ne sono già arrivati parecchi: 300 milioni di dollari del piano di stimolo che stanno per esaurirsi.
Forse, la soluzione è quella che si augura il professor Hodson: qualche spinta esterna che obblighi i partiti a cambiare. Una speranza c’è e viene dal referendum approvato l’8 giugno scorso che cambia il modo di fare le primarie. Non più di partito, ma generali. E questo potrebbe significare che ad attirare consensi saranno i candidati capaci di raccogliere voti da tutti gli schieramenti e non i radicali organizzati di ciascun partito. Si comincia a fare così dal 2012. Chissà se allora il Golden State e i suoi conti saranno di nuovo come il ritornello di Hotel California, la canzone che ha reso celebri gli Eagles: "Such a lovely place", che posto incantevole.