Orazio La Rocca, L’espresso 22/7/2010, 22 luglio 2010
IL PAPA CHIUDE LA CASSAFORTE
Abolire la storica autonomia gestionale sugli oltre 200 milioni di dollari che ogni anno arrivano dai fedeli di tutto il mondo alle Pontificie opere missionarie, la cassaforte della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli (Propaganda Fide). Ma controllare anche l’enorme patrimonio immobiliare dello stesso dicastero, del valore ufficioso di circa 9 miliardi di euro, ammesso però solo in minima parte nell’ultimo bilancio consolidato distribuito ai vescovi dove alla voce "case e unità immobiliari di Propaganda Fide" si indica un valore di circa 53 milioni. Cifre, comunque, da capogiro sulle quali la Santa Sede intende fare definitivamente chiarezza con una riforma ad hoc con cui cancellare, una volta per tutte, quella tradizionale libertà gestionale che fa di Propaganda Fide il "ministero" vaticano più ricco, più potente e più autonomo, al punto che il suo cardinale prefetto viene chiamato "papa rosso". Il prefetto attuale è il cardinale indiano Ivan Dias, succeduto nel 2006 a Crescenzio Sepe, arcivescovo di Napoli, coinvolto nell’inchiesta per gli appalti del G8 e per la compravendita degli immobili di Propaganda Fide. Vicende che stanno preoccupando non poco i vertici vaticani per la cattiva pubblicità che ha colpito lo storico dicastero delle missioni, anche se in più occasioni il portavoce papale, Federico Lombardi, non ha mancato di esprimere solidarietà allo stesso Sepe.
Ma, al di là delle pubbliche ammissioni, dietro le quinte vaticane il clima è di tutt’altro tenore, perché per volontà papale su Propaganda Fide sta per scoccare l’ora della normalizzazione. Un passo quasi obbligato dopo gli scandali, le polemiche e le inchieste giudiziarie. In vista della grande riforma, sono due i "partiti" - divisi e contrapposti - che si stanno confrontando nei sacri palazzi sulla necessità o meno di salvaguardare l’autonomia di Propaganda Fide dai controlli della Santa Sede sancita fin dalla nascita, nel 1822, e successivamente confermata dagli Statuti del 1976 promulgati da Paolo VI, confermati da Giovanni Paolo II nel 1980 e da Benedetto XVI nel 2006, regnante ancora Sepe, la cui firma in calce alle nuove norme fu il suo ultimo importante atto da "papa rosso".
Con lo Statuto del 2006, in verità, ci fu una piccola novità nella gestione economica dell’ente: oltre alla conferma dell’autonomia, fu istituito il revisore dei conti con l’incarico di rispondere al cardinale prefetto e, conseguentemente, alla segreteria di Stato. Nel dicastero, però, non tutti accolsero con favore questa figura di controllo, che pure non era dotata di poteri di intervento preventivo e tantomeno di indirizzo sulla distribuzione delle ingenti risorse che arrivano dalle offerte della Giornata missionaria, celebrata nella penultima domenica di ottobre: introiti che superano mediamente i 200 milioni di dollari, cui vanno aggiunti i ricavati di donazioni e di beni immobili da parte di benefattori. Un immenso patrimonio quasi pari alle entrate della Santa Sede (nel 2009 sono state di circa 254 milioni) su cui la curia vaticana ormai intende avere l’ultima parola. E forse proprio per questo, dovrebbe essere imminente il ripristino della figura del delegato pontificio che curerà i rapporti tra Propaganda Fide e segreteria di Stato (vacante dal 1999), in attesa del nuovo prefetto, che dovrebbe essere monsignor Fernando Filoni, sostituto della segreteria di Stato. Ma Dias ha già detto che lascerà solo l’anno prossimo quando compirà 75 anni e a norma di codice canonico dovrà dimettersi.