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 2010  luglio 22 Giovedì calendario

PARADISO PERDUTO?


Una crescita rapida e sostenuta, un benessere in netta espansione e politiche filo-imprenditoriali hanno a lungo ipnotizzato e attratto gli investitori stranieri in Cina, considerata un vero paradiso per gli investimenti all’estero. In quale altro Paese al mondo potrebbero trovare funzionari di governo disponibili, manodopera abbondante e a basso costo, molteplici sgravi fiscali e una scarsa osservanza dei parametri ambientali?
Ultimamente, però, in questo paradiso c’è qualche problema. A maggio gli operai di una fabbrica della Cina meridionale nella quale si assembla la Honda, insoddisfatti per i loro bassi stipendi e per il lungo orario di lavoro, sono entrati in sciopero, costringendo lo stabilimento alla chiusura per due settimane. Inspiegabilmente, il governo cinese - di solito abituato a intervenire tempestivamente e a mettere dietro le sbarre gli attivisti - non ha fatto niente. Foxconn, la più grande fabbrica al mondo di prodotti elettronici, che assembla gli iPhone e i computer Dell, è stata costretta ad aumentare gli stipendi del 33 per cento dopo che dieci operai si sono suicidati all’interno dello stabilimento stesso. I media cinesi hanno dato ampio rilievo a entrambi questi avvenimenti, e le trasmissioni hanno innescato una vera e propria tempesta a livello nazionale contro le imprese straniere, accusate di sfruttare la manodopera.
Le agitazioni tra gli operai non sono le uniche preoccupazioni di questi tempi degli uomini d’affari stranieri che operano in Cina. Molto più preoccupante è il drastico cambio di atteggiamento del governo cinese nei confronti delle aziende straniere. Fino a non molto tempo fa, Pechino considerava i capitalisti stranieri alla stregua di suoi alleati naturali. Dall’inizio della crisi economica globale, invece, la Cina ha sposato il protezionismo e ha dato ordine ai governi locali e alle aziende statali di acquistare prodotti cinesi quando utilizzeranno i 600 miliardi di dollari del pacchetto di stimoli stanziato dallo Stato.
Nelle sue vessazioni contro Google, il governo cinese è parso indifferente alle deleterie conseguenze che potrebbero nascere dall’allontanamento dal Paese del colosso tecnologico americano. Negli ultimi mesi, le autorità cinesi hanno anche approvato nuove leggi che impongono alle società straniere di rivelare in anticipo le loro tecnologie avanzate di crittografia, se intendono vendere i loro prodotti in territorio cinese. Infine, nell’ambito della campagna finalizzata a incoraggiare "l’innovazione locale", Pechino sta facendo rispettare in modo vigoroso alcune politiche industriali che potrebbero limitare ancor più l’accesso delle aziende straniere al mercato cinese.
La sincronia dei disordini tra i lavoratori e del varo di politiche protezionistiche sarà anche una coincidenza, ma entrambi rientrano nell’ambito di precisi trend strutturali e politici che rendono sfavorevole per le aziende straniere operare in Cina. Il costo della manodopera sta aumentando per ragioni demografiche: nel mercato del lavoro, infatti, entrano sempre meno giovani, i preferiti dalle aziende straniere che vogliono assumere in loco. Anche i valori culturali sono in rapida evoluzione: i cinesi nati dopo la Rivoluzione Culturale del 1966-1976 mostrano meno tolleranza nei confronti di prospettive di lavoro faticoso e poco retribuito. Più inquietanti ancora potrebbero essere i cambiamenti nella sfera politica. In passato il governo cinese aveva l’abitudine di soffocare i lavoratori per attirare i capitali stranieri. Adesso, invece, Pechino non può più ricorrere alla forza bruta: il populismo è in rapida espansione e sul Partito Comunista ricade la colpa di non aver saputo fornire al popolo alloggi e assistenza sanitaria a prezzi abbordabili.
Tenuto conto che ha resistito alla crisi economica restando in relativa buona salute, ora la Cina crede di poter concludere affari a ben altro prezzo con gli stranieri. Giacché non c’è futuro se ci si affida a una manodopera a prezzi stracciati per mantenere la competitività dei prezzi, Pechino conta sull’innovazione. Purtroppo, poiché le università e le grandi aziende cinesi non sono molto innovative, alcuni brillanti comunisti pensano che la soluzione consista nell’estorcere ai capitalisti occidentali tutta la tecnologia più avanzata.
Quando detto potrebbe lasciare sbalorditi gli occidentali che credono che i comunisti cinesi non siano affatto comunisti. Adesso sappiamo che non è necessario essere comunisti per estorcere qualcosa dagli investitori stranieri: è sufficiente essere cinesi.
traduzione di Anna Bissanti