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 2010  luglio 22 Giovedì calendario

SBIRRI SENZA MACCHIA. CARMELO CANALE: «DOPO 14 ANNI HO VINTO CONTRO GLI INTOCCABILI PENTITI»


«Ho visto che Roberto Maroni ha espresso solidarietà al generale Giampaolo Ganzer, condannato a 14 anni. E a me, a me che sono stato assolto definitivamente, dopo un calvario durato proprio 14 anni, a me perché non mi ha chiamato nessuno? E Ignazio La Russa, come mai non ha chiesto di me, non ha cercato di sapere ma chi c... è questo capitano dei carabinieri Carmelo Canale, processato per mafia, estorsione, corruzione, rivelazione di segreti delle indagini e sempre immancabilmente assolto, anche in Cassazione?». sanguigno Carmelo Canale. A Palermo, nel quartiere della Kalsa in cui è nato 62 anni fa, lo stesso rione in cui crebbero Paolo Borsellino e Giovanni Falcone, si direbbe che ha un «malu carattere», che si comporta come un «vastaso».
Canale fu il braccio destro del procuratore Paolo Borsellino: lavorarono assieme a Marsala, ma poi, morto il magistrato, i pentiti hanno parlato dell’ex maresciallo che vinse il concorso per diventare ufficiale. «E feci quel concorso perché Borsellino doveva andare alla Superprocura e voleva che andassi con lui... mi disse che una cosa era entrarci da sottufficiale, un’altra con le stellette. Per questo diventai tenente e poi capitano. Ora dovrei avere i gradi da maggiore. Mi spettano dal 2006. Il processo ha fermato la mia carriera, sono in pensione ma ho diritto di rientrare fino a novembre e di avere i miei gradi».
Il capitano-quasi-maggiore è ancora frastornato, sotto shock, mentre racconta la sua storia a Panorama. Dal 1996 fino a venerdì 9 luglio, quando la Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso del procuratore generale di Palermo Amalia Settineri, i suoi avvocati, Salvatore Traina, Gianfranco Viola, Dario D’Agostino e Giovanni Caudino hanno dovuto difenderlo dall’accusa di concorso esterno. I pentiti, «Giovanni Brusca in particolare, uno che i bambini li scioglieva nell’acido, hanno persino detto che mi facevo corrompere con la scusa di dover curare mia figlia Antonella, morta a 12 anni, e che andavo a divertirmi mentre la bambina, in una clinica francese, subiva l’amputazione di una gamba e poi l’asportazione di un polmone... Brusca, questo mascalzone, poteva dire quel che voleva di me. Ma questo no, questo non doveva assolutamente inventarselo. Le cure le pagò lo Stato italiano, che io ringrazio. E io, io che avrei fatto la bella vita in Francia con i soldi dei mafiosi, io ero stato accreditato presso le autorità francesi: dormivo cioè nella caserma della Gendarmerie di Lione. Altro che bella vita... Ma che ne sanno, delle peripezie e del dolore di un padre, questi animali che parlano?».
Carmelo Canale è un uomo devastato da due processi diversi, il secondo più veloce e già
concluso da tempo grazie al rito abbreviato, per un’estorsione ai titolari di una clinica di
Marsala. Anche lì il fatto non sussisteva. Nel processo di mafia le accuse erano pesantissi-
me; sbirro, corrotto e traditore, gli hanno detto: «Il pubblico ministero di primo grado, Massimo Russo, ha detto proprio così. Che ero un traditore. Che avevo ingannato, tradito lo Stato e Borsellino, che mi aveva onorato della sua amicizia e della sua fiducia».
Assolto in primo grado. Respinto il primo ricorso in appello del pm Russo, che per ironia
della sorte oggi è assessore regionale alla Sanità della giunta di Raffaele Lombardo inquisito
per mafia. «Duemila pagine. Duemila pagine di ricorso, scrisse» dice Canale. «Mai visto...». I giudici d’appello, nella sentenza che confermò l’assoluzione, parlarono di «preconcetti» e di «ansia colpevolista», di atteggiamento «ingeneroso» del rappresentante dell’accusa nei confronti dell’imputato. «Ma non credo che ci fosse qualcosa di personale. E non ce l’ho con Russo. Mi ha addolorato però che lui, che nel 1991 venne a vedere mia figlia dentro la cassa, che vide Borsellino mentre praticamente chiudeva la bara, abbia poi usato l’argo-
mento delle cure di mia figlia e della costruzione della tomba. Sì, perché io avrei preso soldi
pure per questo, per dare ad Antonella una sepoltura».
Canale insiste. «No, non dico che ci fu accanimento. E non ce l’ho con la procura di Gian
Carlo Caselli e di Piero Grasso. Ne con l’altro pm, Franca Imbergamo, che svolse indiretta-
mente accertamenti su di me, nell’indagare sul suicidio di mio cognato, Antonino Lombardo. Certo, sarebbe bastato fare qualche indagine, cercare qualche riscontro. Solo per fare un paio di esempi fra i tanti, un pentito. Salvatore Palazzolo, aveva detto di avere regalato un agnello a mio cognato dopo che lui gli aveva fatto riavere la patente. Bene, Palazzolo la patente non la riebbe mai. E su di me un altro pentito del clan Zichittella ha detto che, in
sua presenza, incontrai suo padre mafioso: nel periodo indicato da questo signore, il padre
era in carcere».
Nino Lombardo, il cognato di Canale, era il comandante della stazione dei carabinieri di Terrasini. Passato al Ros di Roma, si sparò dopo che Leoluca Orlando e l’allora sindaco di
Terrasini, Manlio Mele, lo attaccarono in tv, nella trasmissione di Michele Santoro Tempo reale del 23 febbraio 1995. Dissero che anche lui era colluso. «E invece Nino, marito di mia sorella, aveva contribuito alla cattura di Totò Riina, con i suoi confidenti, le sue fonti. Fu lui a dire al generale Mario Mori che Riina doveva essere cercato attraverso la famiglia Ganci della Noce, cosa che poi risultò determinante. Non so chi glielo disse. Mio cognato era uno sbirro vecchia maniera. Le notizie, quando non c’erano i pentiti, si beccavano cosi, dai delinquenti. E però non c’erano protezioni. Se si sbagliava, si pagava in prima persona».
Le ricostruzioni di Massimo Ciancimino sulla trattativa? Bernardo Provenzano che avrebbe venduto Riina? Canale non è tenero con Mori, che per la trattativa è sotto processo, ne con l’ex colonnello Giuseppe De Donno, indagato per lo stesso motivo. Mori e De Donno rilanciarono le accuse del pentito Angelo Siino contro di lui e il cognato. «E io li denunciai. Ma Nino Lombardo indagava alla vecchia maniera, con la bassa forza della mafia. Macché trattativa...».
I pentiti, ancora loro. «Hanno cercato di chiamare in causa anche Borsellino. Hanno
detto che entrambi facemmo un viaggio a Pantelleria a spese della mafia. E in quell’occasione c’era pure la famiglia del giudice. Vede, se io avessi commesso una minchiata tale da coinvolgere, da infangare la memoria di Borsellino, mi sarei sparato. Ma la verità è che fino a una settimana prima che lui venisse ucciso in via D’Amelio eravamo insieme, e tornando dalla Germania, dove avevamo sentito un pentito, lo accompagnai a casa con la mia auto di servizio, senza scorta e senza niente».
La famiglia Borsellino? «Ho scelto di non vederli e di non incontrarli più. Per non metterli in imbarazzo, in difficoltà. E anche perché non si pensasse che cercavo di risolvere i miei
problemi attraverso la loro immagine, l’immagine del loro congiunto. No, io i miei guai me li sono affrontati da solo. Dopo l’assoluzione in tribunale ho incontrato i familiari del giudice, perché ero stato chiamato a testimoniare in un processo civile da loro intentato per il risardmento dei danni da parte dei mafiosi. Cosa che ho fatto senza problemi. No, non
volevo essere difeso da loro, ne dalla memoria di Borsellino. Di lui ho portato al mio processo solo alcune lettere che aveva scritto su di me per motivi di servizio».
L’Arma dei carabinieri? «Sono stato sospeso per cinque anni, quando la legge prevede un
massimo di due. Dal 1999 al 2004 sono vissuto grazie all’assegno alimentare. E ai prestiti
dei miei familiari e amici».
E ora? «Ora sento tanta rabbia, dentro di me. Vorrei andare alla Corte europea, e mi sa che d andrò. La notizia delle indagini su di me provocò un caso internazionale. Oggi c’è solo
silenzio. Sui giornali. In tv. Alla radio. Silenzio. E soprattutto nessun politico della maggioranza, a parte il senatore Lino lannuzzi, mi ha chiamato. Non sono loro che parlano di presunzione di innocenza fino al terzo grado di giudizio? E se uno viene assolto, dopo tré gradi di giudizio, loro perché non ne parlano? I giornali, poi... Ma se la mia storia non interessa a nessuno oggi, perché interessò così tanto ieri?».