Massimo Gramellini e Carlo Fruttero, La Stampa 27/6/2010, pagina 90, 27 giugno 2010
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STORIA D’ITALIA IN 150 DATE
9 ottobre 1901
Il Giustiziere
Un giovane uomo piccolo e scuro si aggira furtivo fra i campi intorno a Urbino, quando due carabinieri gli intimano il «chi va là». Stanno cercando un malvivente della zona, ma il giovanotto pensa di essere stato riconosciuto e si mette a correre, inciampa sul filo di ferro di una vigna e cade. I carabinieri portano in caserma quello che credono un ladruncolo e lo consegnano al loro capo, il brigadiere Mattei, padre del futuro presidente dell’Eni. Di lì a poco scopriranno di aver messo le mani sul ricercato più famoso d’Europa: il brigante Musolino.
La sua storia, giunta fino alla prima pagina del «Times», comincia sull’Aspromonte con una scazzottata in osteria. Il giorno seguente, uno dei protagonisti della rissa viene ferito da uno sparo. I sospetti convergono sul taglialegna Peppe Musolino. Lui giura di essere innocente, ma le testimonianze della vittima e dei suoi amici inducono i giudici a comminargli una pena pari alla sua età: ventuno anni. Il condannato promette solennemente agli accusatori che quando uscirà di galera mangerà il loro fegato, per poi vendere il resto della carne al macello. Viene rinchiuso nel carcere di Locri, ma due anni dopo evade: dice che San Giuseppe gli è apparso in sogno per indicargli il punto in cui scavare. il primo tassello del mito. A nutrirlo sarà il vittimismo della società calabrese, che si sente sfruttata da uno Stato vissuto come nemico. L’innocente condannato per un reato non commesso diventa un bandito vero: ferisce un accusatore, gli ammazza la moglie, fa saltare con la dinamite la casa della mancata vittima. Alla fine, fra omicidi e ferimenti, la sua furia implacabile si abbatterà su una decina di persone. Anche la ”ndrangheta lo esalta e lo protegge, identificandosi nella sua sete di vendetta e nell’idea di amministrazione personale della giustizia. Mentre Pascoli gli dedica una poesia, lo Stato organizza una costosissima caccia all’uomo in Aspromonte. Le provano tutte per incastrarlo: soldi, alcol, ragazze, persino il sonnifero nei maccheroni. Musolino se la cava sempre: merito di san Giuseppe, dice lui. Per chiudere il conto non gli mancano che due «infami». Fa scrivere al Re che, se gli consente di ucciderli, poi si consegnerà ai carabinieri. Braccato, lascia l’Aspromonte e risale la penisola, ma arrivato dalle parti di Urbino cade sul filo di ferro. Al processo fa la vittima e commuove tutti: i politici moderni hanno imparato da lui. «Voi condannate all’ergastolo un uomo a cui restano solo pochi mesi!» Vivrà altri cinquant’anni. In tempo per essere scagionato dal primo delitto: un contadino calabrese emigrato negli Stati Uniti confessa di aver sparato al compaesano di Musolino. Il quale, anche a causa di questo riconoscimento tardivo di innocenza, impazzisce.