Frammenti, 27 giugno 2010
Tags : Gianni Clerici
FRAMMENTO DEI FRAMMENTI CHE RISPONDONO ALLA VOCE ”CLERICI, GIANNI"
2009
Ragion di più per chiudere la rassegna con uno che il calcio lo detesta e un altro che nemmeno sa bene cosa sia. Il primo è Gianni Clerici, che pure al pallone fu iniziato nientemeno che da Brera. Trai tanti suoi titoli scelgo I gesti bianchi (Baldini Castoldi Dalai, 1995), affresco di un’epoca in cui il tennis era davvero un’arte nobile e raffinata, non ancora il wrestling dei giorni nostri. […]
Fonte: Gigi Garanzini, Il Sole-24 Ore 8/8/2009
[Ottavio Missoni] Il tennis sono le partite con l’amico Gianni Clerici, […]
Fonte: Stefano Semeraro, la Stampa 27/03/2009
2008
Ho dedicato non meno di due anni della mia lunga vita nel rintracciare memorie e documenti di un´altra tennista, Suzanne Lenglen. […] Mi è accaduto, in tribuna stampa, di balzare in piedi a applaudire [Justine Henin], nella disapprovazione di colleghi soprattutto anglosassoni, no claps in the press box, isn´it?
Fonte: La Repubblica 15 maggio 2008, GIANNI CLERICI
2007
Vorrei chiudere con un piccolo episodio che ho già riferito su queste pagine. Nel corso della prima domenica di Wimbledon si giocava tradizionalmente un match di cricket tra giocatori e giornalisti. Ammesso tra i giornalisti, stavo pavoneggiandomi per l´ormai sicura vittoria, quando all´improvviso i nostri lanciatori iniziarono a passare la palla all´avversario armato di mazza. Incredulo, e anche un po´ infastidito, chiesi al nostro capitano se fossimo ammattiti. «Per nulla - rispose lui - Qui da noi è una tradizione che gli ospiti non possano essere battuti». Due volte fair play.
Fonte: La Repubblica 07/12/2007, pagg.41-42-43 JOHN LLOYD, JOHAN HUIZINGA, FILIPPO CECCARELLI, GIANNI CLERICI
LA SCONFITTA DELL´UOMO BIONICO. La Repubblica 31 luglio 2007. […] Del ciclismo io sono un non addetto, per aver partecipato a due soli Giri, e a qualche tappa del Tour. Ma son stato, sono, grande amico e lettore di Gioan Brera e di Mario Fossati, i meglio del nostro giornalismo specializzato. […] Quanto a me, occasionale scriba di atletica leggera, l´immagine più viva di illiceità venne a visitarmi non durante una Milano-Sanremo, ma su una pista di atletica di Seul, in Corea. Sotto i mie occhi increduli, Ben Johnson correva imprendibile davanti a un gruppo che pareva trascinare nella sua scia. Le gambe mulinavano gonfie di muscoli, il petto era una prua fendiflutti, le palme tese tagliavano l´aria quasi timoni direzionali. Passò il traguardo, e, mentre gli altri stavano piegati sfiatati vinti, e dal sotto in su lo guardavano invidiosi e ammirati, alzò le braccia in un gesto di ovvietà, ancor prima che di trionfo. Mi attaccai al telefono, e al mio caporedattore annunciai: «Ben Johnson ha vinto ridendo» e, subito dopo: « dopato sino alle orecchie. quello che voglio scrivere». Seguì una discussione che si corruppe in lite. Fu, quello, il mio primo ed ultimo articolo a venire cestinato da un bravissimo giornalista, ancor oggi un caro amico. Non potevo permettermi un´affermazione tanto impegnativa senza uno straccio di prova, non potevo, solo al mondo, nel mezzo di una pioggia di superlativi e del trionfo della retorica ufficiale, io italianuzzo, su un giornale che nemmeno faceva un milione di copie, affermare che il divo Ben Johnson avesse vinto perché dopato. Che la sua macchina sopravanzasse le altre per un carburante diverso, oltreché proibito. Di ritorno da Seul ci ritrovammo, a cena, con Giorgio Bocca, uno che lo sport l´ha fatto, in montagna, non solo col mitra ma con gli sci. «Ho visto, al rallentatore, il filmato della Griffith. Non è possibile, non è umano portare in giro gambe simili. Sembrava che, ad ogni passo, ad ogni rimbalzo, le esplodessero dentro delle piccole cariche muscolari. Un fenomeno simile non può accadere in natura». Ben Johnson sarebbe stato squalificato in seguito alle prove antidoping. La Griffith anche lei, squalificata dalla vita, morta. Lo scoramento per quanto avevo visto mi avrebbe tenuto sempre più lontano dall´atletica, e dallo sport, nel quale avevo vissuto, prima da attore e in seguito da spettatore professionale sì, ma sempre appassionato. Poi ci fu il medico, comacino come me, Massimo Testa. […] Riflettevo sui rapporti, ormai tragici, tra il doping e lo sport, mentre, una bella domenica di primavera, percorrevo ad andatura molto turistica una stradetta del Canton Ticino. Zeppa di ciclisti, moltissimi lombardi, che prediligono la Confederazione per un maggior rispetto dei guidatori, costretti sia dall´educazione, sia dall´applicazione severa delle leggi. A un certo punto, ritrovai addirittura alcuni amici comacini, mi misi a seguirli sinché non ci fermammo al bar, a salutarci festosi e a bere qualcosa. Nel vederli tanto bene attrezzati, bici Colnago - la Ferrari delle due ruote - e divise spaziali - mi venne naturale chiedere se non provassero a partecipare a qualche gara gentlemen, di quelle over, per categorie di età. impossibile, risposero. C´è gente capace di doparsi, anche qui, per la mania di vincere, per la medaglietta. «Guarda - terminò uno di loro - ormai lo sport esiste soltanto al di fuori dalle competizioni ufficiali». Ciò è tanto vero, da spingermi a una considerazione che, per il conformismo contemporaneo, apparirà futuribile e insieme paradossale. Lo sport ufficiale, soprattutto quello professionistico, va abolito. Così come una parte di umanità ha capito che ci si trova davanti a un mutamento epocale, alla scelta tra il disinquinamento o la rovina del pianeta, così anche lo sport professionistico deve essere abbandonato. Le Olimpiadi vanno soppresse, così come tutto il sistema di base che porta allo loro realizzazione. Lo sport, per rimanere tale, deve ritornare dilettantistico. Tutto. Se qualcuno leggerà queste righe, tra cent´anni, mi darà perfettamente ragione. Oppure, come temo, di leggere non sarà più in grado.
Fonte: GIANNI CLERICI La Repubblica 31 luglio 2007
MELBOURNE - «And how is Rome», come va a Roma. Su un simile tema, più consono a Veltroni, mi lascia a riflettere una bella signora, dai fitti ricci metallici e dalla pelle scura. Evonne Goolagong ha sempre avuto un dono di leggerezza, mobilità, tipici della sua razza, gli aborigeni. Sempre l´aveva portata con sé, dal giorno in cui, inattesa apparizione, la vedemmo sul centrale di Roma battere Chris Evert, nel 1971. Giocava, come indicava il tabellone, per l´Australia, e pochi si soffermarono a riflettere sulla sua nascita, il colore nocciola della pelle. L´allora giovane Scriba, che in Australia c´era andato dieci anni avanti, era ritornato incredulo e avvilito, visitando una sorta di campo profughi, dove veniva riunita gente sfuggita alla vita nativa nel deserto, gente abbruttita dall´alcool, e dalle malattie della cosiddetta civiltà che gli era stata imposta. Gente sotto shock esistenziale e ereditario seguiti allo sbarco degli inglesi, che avevano sterminato, tra le altre, l´intera popolazione della Tasmania: un povero pastore aveva osato ribellarsi con la sua lancia, ferendo un aggressore. Genocidio. […]
Fonte: Gianni Clerici, la Repubblica 27/1/2007
2006
Clerici Gianni 10 14
Fonte: INDICE DEI NOMI DEL VOLUME: La Navicella "I Deputati e Senatori del quindicesimo Parlamento Repubblicano" Editoriale Italiana 2000 (Annuario 2006)
2005
Parte essenziale dello show [Wimbledon] gli imperdibili commenti di Gianni Clerici, giornalista-scrittore e storico del tennis, e Rino Tommasi.
Fonte: Alessandro Merli, Il Sole 24 ore, 26/06/2005
Gianni Clerici, L’espresso 5/5/2005. Guarda qui. Guarda che roba. Bionda come il miele, capelli lunghi che le accarezzano il culino. E le gambe, sono lunghe un metro, le gambe. E quelle tettine che iniziano a gonfiarsi. Mio Dio, che bambola. A parlarmi così, quattro anni fa, era Art Seitz, il miglior fotografo di tennis americano. Le foto della giovanissima bellezza si stagliavano sul bordo di una piscina. Una espressione volta a compiacere il fotografo, insieme ingenua e seducente avrebbe sconvolto Nabokov. Dopo averla percorsa con occhi da vecchio porco, accennai alla racchetta: "Come se ne serve? ", ridacchiai. "Un uragano", si entusiasmò Art: "Una belva da arena. Hai in mente la Seles ragazzina? Questa tira anche più forte, e grugnisce di più. Il campo si trasforma in un triclinio per orgasmi. Altro che la tua Williams. Fossi in te, farei un salto alla Accademia di Bollettieri, per darle un’occhiata, a Maria Sharapova. Sì, è russa ". Con tutta la stima per Art, un tipo capace di fotografare la reticente Steffi Graf seminuda, da un elicottero, non affrontai il viaggio sino alla Florida. Ma, alla prima occasione, mi spinsi su un campo periferico di Flushing Meadows, dov’era in corso il torneo juniores dello U. S. Open, e dove era programmata la Sharapova. […]
Fonte: Gianni Clerici, L’espresso 5/5/2005, pag. 82.
Un accanito sostenitore della donna, anche tennista, come il Vecchio Scriba.
Fonte: Gianni Clerici, La Repubblica, 27/04/2005
CONNORS Jimmy «[...] Lo soprannominai l’Antipatico, e non mi limitai a scriverlo, ma ebbi occasione di farglielo sapere, a brutto muso, perché fuori dal campo quell’ossesso si trasformava, se non proprio in un agnello, in un pavido. Da quel giorno, il nomignolo non lo lasciò più, almeno in Italia. [...]».
Fonte: Gianni Clerici, ”la Repubblica” 25/1/2005
[FARINA ELIA Silvia] Ha scritto Gianni Clerici: «[...] La prima volta che la vidi, al Tennis Club Milano, rimasi aggrappato alla transenna, per dieci minuti. Da quel vecchio scout che sono, avevo immediatamente avvertito l’aura del talento, quell’indefinibile indicazione della grandezza. Giocava, ricordo, con altre tre ragazze delle squadre del club, tutte classificate meglio di lei, tutte, mi disse il maestro Aldo Mei, più vincenti di lei. Ma non c’è confronto - esclamai - e Aldo annuì, per poi concludere, perplesso: ”Purtroppo, ha più paura di te”. Di me, mi dissi, il tennista più codardo che la storia ricordi. […]
Fonte: Gianni Clerici, ”la Repubblica” 26/10/2005
2004
HAYNES Angela. Tennista. Scoperta da Gianni Clerici il 3 settembre 2004 durante un match perso contro Francesca Schiavone agli Us Open.
Fonte: la Repubblica” 5/9/2004
SPADEA Vincent. Nato a Chicago (Stati Uniti) il 19 luglio 1974. Tennista. Di origini italiane. "[…] Tanto agiato che fosse nostalgia o vocazione Vince sr. il papà del tennista tentò la carriera di cantante. Il giorno in cui fummo presentati si svolse tra noi la seguente conversazione. ”Qualcuno mi dice che lei è stato un cantante. Di che specialità?”. ”Opera”. ”Mi congratulo. E dove ha cantato?”. ”Alla Scala di Milano”. ”Temo che lei si sbagli io sono un vecchio loggionista”. ”Si potrei sbagliarmi. Doveva trattarsi di Parma”. ”Ho la viva impressione Mr. Spadea che al Regio non riuscirebbe a penetrare se non compra un biglietto”. Fu quella la fine della relazione tra Spadea sr. e lo scriba. Ma simile mini-vicenda personale non influenzò la mia simpatia per Vince jr. anche perché mi rendevo conto che il suo indubbio talento era vivamente minacciato da un genitore simile.
Fonte: Gianni Clerici ”la Repubblica” 8/5/2004
Ha scritto Gianni Clerici [di Steffi Graf]: «[...] Un pomeriggio del maggio 1982 mi ritrovai di fronte alla Courte Numero Cinque del Roland Garros, presso la vecchia casina del custode [...] su quel campo era programmata la vincitrice dell’Orange Bowl dell’anno precedente, una piccola tedesca a nome Steffi Graf. [...] Mi attendevano - pensai - due possibili scenari. O la bambina era talmente affascinante da solleticare i miei riposti istinti di pedofilo, oppure si trattava dell’ultima reincarnazione di Suzanne Lenglen. Come la vidi, fin da lontano, avventarsi in un diritto addirittura crudele, fui spinto a propendere per la seconda versione. Poi guardai meglio, e ammirai una donnina provvista di un paio di gambe, e di un corpo di tale perfezione, che rimasi incerto, sinché mi dissi che le due ipotesi potevano convivere, anche perché, ultima conferma, c’era il naso. Naso curiosamente simile a quello della Divina, naso eccessivo, aquilino, borbonico o se non borbonico giudeo: un naso insomma che qualsiasi aspirante a una carriera di star avrebbe affidato a uno specialista del bisturi. Scelta che Steffi non volle mai prendere in considerazione, a tutto suo onore.
Fonte: Gianni Clerici, 500 anni di tennis, Mondadori 2004
2003
Non si faticò nel rendersi conto, a Wimbledon 2003, che Anna K. aveva trovato un´erede. Su questo stesso giornale si poteva leggere, il 25 giugno, un articolo ironicamente titolato "Colpi e Gemiti d´amore per la bella Sharapova". Facendosi largo a stento tra siepi di fotografi e coorti di pubblicitari, il vecchio scriba non era riuscito a superare l´ultima barriera di ragazzini urlanti, per scrivere che la vicenda del campo n. 2 ricordava insieme la Fiera del Fitness di Rimini, il Festival di Cannes, e lo sbarco a Madrid di Beckham. Ma, in confidenza, qualcosa avevo visto: un paio di gambe più lunghe della proprietaria, e, sotto una bianca visiera da golfista, un visino non meno leggiadro che crudele, intriso di quello che gli americani chiamano killer instinct, sia sport o guerra.
Fonte: Gianni Clerici, ”la Repubblica” 7/10/2003
«C’era una volta un vecchio scriba, al quale un altro travet americano suggerì di fare un giro sui campi periferici di Flushing Meadows, per dare un’occhiata alla great hope (grande speranza) del suo paese, un sedicenne iscritto nel torneo juniores. Lo scriba mosse le sue stanche membra, e si affacciò ad un court sul quale un bel brunetto dall’aria messicana stava bastonando un nanone asiatico. Il bel brunetto toccò una corda che il vecchio scriba nascondeva da sempre dentro a sè, più vicino al cuore che al cervello, e un’onda lo riportò indietro, il primo giorno in cui aveva visto Pancho Gonzales. Ma passiamo alla prima persona, meno togata, che mi viene più facile. Ritornai in sala stampa, scrissi che avevo visto il successore di Gonzales. Il collega americano diede un’occhiata alla cartella uscita dalla mia Olivetti, ne chiese traduzione, si portò infine le mani ai capelli per esclamare: ”Ma hai visto il campioncino sbagliato, Gianni. Quello buono non è Sampras, è Chang”. Il giorno seguente la mia storiella venne letta da Sergio Tacchini, che si affrettò ad acquistare il bambino per un par di centomila dollari, dopo avermi chiesto se mi assumevo la responsabilità di un mio scritto di fronte ai posteri, e magari ai suoi revisori dei conti. Di lì ho sempre seguito la carriera di Pete Sampras con un’attenzione particolare, quasi ne fossi, in qualche modo, corresponsabile. E devo confessare che quel fenomeno mi ha offerto momenti di grande diletto, non meno di un Gielgud o di un Tofano, di un Tati o di un Totò. Non posso certo confrontarmi col mio amministratore, il rag. Tommasi. […]»
Fonte: Gianni Clerici, ”la Repubblica” 26/8/2003
2002
Il lettore aficionado perdonerà qualche poco di enfasi al vecchio scriba, non tanto cieco né sciovinista da non riferire un giudizio amabilmente ironico dell’Equipe: ”Le tenniste italiane vanno bene perché la Federazione italiana non se ne occupa’. Ma il risultato di queste ragazze che spesso vengono dalla provincia, e sono ammirevolmente sprovincializzate, non può non sollevare entusiasmo”.
Fonte: Gianni Clerici, ”la Repubblica” 21/1/2002
Ancorché non addetto, e tepidamente interessato a quello che era uno sport (football), non riesco a sottrarmi al fascino della vicenda Ronaldo, straordinaria telenovela che ci ricorda come la vita imiti l’arte. […]
Fonte: Gianni Clerici la Repubblica, 07/08/2002
TOMMASI Rino Verona 23 febbraio 1934. Giornalista. Sportivo. Noto commentatore tv del tennis (in coppia con Gianni Clerici) […] ”Nel 1971, ad Ancona per la Coppa del Re. Io ero lì per la ”Gazzetta’, Gianni per ”Il Giorno’. Un amico che lavorava in una tv locale ci fece commentare gli incontri [...] A me sarebbe piaciuto giocare come Rosewall, che però fors non è stato il più forte di tutti [...] Dallas, 14 maggio 1972, finale del torneo Wct tra Rosewall e Laver. Durò 3 ore e 42 minuti e vinse Rosewall 7-6 al quinto. la partita più bella che abbia mai visto, anche perché Clerici non c’era e si arrabbia ogni volta che lo dico”.
Fonte: SCH. 10575 (TOMMASI Rino)
Era una bella squadra, la nostra del ”Giorno”, nata non troppo a caso nel 1956: naufraghi di un folle settimanale, Sport Giallo, e transfughi, come te [Fossati Mario], della ”Gazza”. C’erano, con Brera, il nostro dolcissimo capo Pilade Del Buono, e Pico della Mirandola ambulante, Giulio Signori. A loro raccontai una volta che, in una pausa di riposo del Giro, ti avevo acquistato il copione di Ricorda con Rabbia, di John Osborne, il capocorrente dei Giovani Arrabbiati. Passa un giorno, passa l’altro: non accennavi minimamente al testo. Mi chiedevo se l’avessi letto, finché mi decisi a domandartelo. ”Dilettanti”, fu l’ironica risposta. Nel riferire l’aneddoto a Giulio Signori, ne ricevetti in cambio uno non meno indicativo del tuo carattere di Burbero Benefico. Arrivati alle Olimpiadi di Città del Messico eravate stati accolti, alla mensa, da uno studente travestito da cameriere, che aveva invano armeggiato intorno ad una bottiglia di vino, sino a spezzarne il tappo. ”Vogliono le Olimpiadi, e non sanno aprire una bottiglia” avevi digrignato. Il mattino seguente, come per miracolo, la prima colazione era stata servita in perfetta regola, con mirabile rapidità. ”Vedi che migliorano”, aveva osservato Signori. ”E’ per mandarci via prima”, avevi commentato. Ma ci vorrebbe una biografia, anche perché l’autobiografia non la scriveresti, nemmeno te la chiedessero. ”A chi può interessare la vita di un vecchio cronista di sport, uno che avrebbe già dovuto piantarla lì da tempo, uno che presto la pianta davvero”, mi hai detto una sera. Ti prego, vecchio Mario. Continua. Chi leggiamo, sennò?».
Fonte: Gianni Clerici, ”la Repubblica” 29/9/2002, SCH. 830 (FOSSATI Mario)