Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  giugno 04 Venerdì calendario

FRAMMENTO DEI FRAMMENTI CHE RISPONDONO ALLA VOCE "CASSESE

ANTONIO"

La prima seduta del Tribunale Internazionale sui crimini di guerra nella ex-Jugoslavia, con sede all’Aja, si è tenbuta il 17 novembre 1993. E’ stato inizialmente presieduto dal giudice italiano Antonio Cassese, ed ha un budget annuo di 32 milioni di dollari (Su Il Foglio del 04/04/01 a pagina 3.)

APERTURA PARRINI 24/10/2005 Antonio Cassese: «Per la prima volta nel 1945-46 leader politici e militari vennero sottoposti a giudizio per i loro crimini. Norimberga servì a documentare le atrocità naziste e il genocidio, ancora non abbastanza conosciuti nel dopoguerra. Servì a scuotere le coscienze di tutti i tedeschi che avevano colpevolmente taciuto o accettato. Servì anche, come fece notare al Presidente Truman il più eminente membro dell’accusa, l’americano Robert Jackson, ad aprire gli occhi agli americani che, non avendo visto la guerra da vicino, non ne avevano vissuto direttamente gli orrori. Ma tutti sanno che Norimberga si macchiò di una grave colpa: vennero processati e puniti solo i vinti. Uno dei 22 imputati riuscì a far parlare dei crimini degli alleati solo di sfuggita. L’ammiraglio Doenitz invocò il principio tu quoque per discolparsi dell’accusa di aver fatto colare a picco dai sottomarini tedeschi le navi commerciali delle Potenze alleate senza previo avvertimento, e di non aver salvato i naufraghi; egli dunque abilmente fece interrogare dalla corte l’ammiraglio statunitense Nimitz, il quale ammise che anche gli americani si erano comportati nello stesso modo». [9] giusto processare gli ex dittatori? Cassese: «Se il dittatore non è morto a seguito del conflitto che ha portato alla sua destituzione, se non è fuggito, l’alternativa al processo è solo l’esilio. Ma in casi come questo di crimini gravissimi l’esilio non è sufficiente, l’ex dittatore va processato. Ma, attenzione, il processo va celebrato non solo contro l’ex dittatore, lo sconfitto: deve concludersi con la pronuncia su tutti i crimini commessi da chicchessia. Da questo punto di vista, getta una pesante ombra sul processo contro Saddam l’articolo 14 dello Statuto che prevede che il Tribunale possa pronunciarsi sull’aggressione contro un paese arabo, quindi il Kuwait, ma non contro l’Iran, che non è considerato un paese arabo, anche se di religione musulmana. Perché due pesi e due misure? L’aggressione all’Iran, sappiamo bene, fu sponsorizzata dall’occidente...». [10] ([9] (A. Cassese, la Repubblica 19/10; [10] G. Ruotolo, La Stampa 20/10)

Antonio Cassese ha giustamente definito quell’articolo 6 una specie di ”norma di chiusura”, che consentì ai giudici di qualificare doppiamente lo stesso crimine e, soprattutto, permise che gli orrori di Treblinka e di Auschwitz, (di per sé non includibili tra i crimini di guerra), potessero essere puniti come reati contro l’umanità, cioè come persecuzioni e atti disumani perpetrati per ragioni politiche, religiose e razziali contro qualsiasi popolazione: qualsiasi, non solo quindi contro le popolazioni dei territori occupati dalle forze naziste, ma anche contro quelle che non appartenevano ad esse (compresi i cittadini del Reich, a partire dagli ebrei tedeschi). Se in quella norma ci fu un limite, esso fu – secondo Cassese – quello di mettere in relazione i crimini contro l’umanità con la guerra di aggressione, cioè di renderli punibili solo qualora se ne fosse dimostrata la connessione con le azioni di guerra e il loro contesto; ma il risultato del processo fu comunque straordinario perché, per la prima volta, non furono solo alcuni Stati a esprimere la condanna dei crimini contro l’umanità, ma la comunità e il diritto internazionale (Il Foglio 17/11/2005, pag.III Michele Battini)

Quello di Carla Del Ponte mi è sempre parso troppo personale e aggressivo, ma riconosco che Antonio Cassese (il primo presidente della Corte) e i suoi successori hanno sinceramente sperato che la guerra jugoslava e altre vicende degli anni Novanta (i massacri del Ruanda ad esempio) avrebbero creato le condizioni per la nascita di una giustizia penale internazionale, del tutto diversa da quella impartita a Norimberga dopo la fine della Seconda guerra mondiale. (Corriere della Sera 20/03/2006, pag.27 Sergio Romano)