Camilla Cederna, L’Europeo n.48 1948 ripubblicato sul n.7 agosto 2008, 7 agosto 2008
L’EDUCANDA DI VILLA D’ESTE
I personaggi del dramma erano tutti a tavola nella stessa sala come nelle tragedie di Shakespeare. I primi a volersene andare furono i conti Bellentani. Il marito era stanco e gli doleva una spalla. Allora la contessa Pia andò verso il guardaroba e tornò poco dopo. Pareva che tenesse nascosto qualcosa sotto la pelliccia di ermellino, tra il braccio sinistro e il fianco. Qualche minuto dopo, l’industriale Carlo Sacchi di Como giaceva sul pavimento con un proiettile calibro 9 nel sesto spazio intercostale sinistro. La contessa Bellentani, appoggiata al muro con le spalle, gridava parole incomprensibili, aveva ancora tra le mani la pistola, se l’era anzi puntata alla tempia destra come se volesse uccidersi. La pelliccia le era scivolata sul suolo. Vestiva di raso grigio perla con lunga scollatura a punta e due spalline sottili. Davanti a lei l’industriale Leopoldo Surr e il signor Robert Bouyeure. Il Surr le tolse di mano la pistola, il Bouyeure le diede due schiaffi. Seduta di fronte alla Bellentani, la cronista mondana Elsa Haerter. La sorella del Sacchi, Ada Locatelli, e la moglie, Lilian Willinger, erano inginocchiate accanto al moribondo: la gran sottana rigata di Ada Locatelli si allargava per terra, accanto alle gambe rigide del fratello. Una terza donna, la signora Mimmi Guidi, dal volto pallidissimo, si gettò a terra anche lei, e strinse le mani del Sacchi. "Non potete mandarmi via; ho diritto anch’io di stare qui" gridava: ma fu allontanata con durezza dalla signora Locatelli. Per un attimo le donne bianche e scollate gridarono tutte insieme e le loro braccia s’intrecciarono intorno al corpo del Sacchi. Il conte Bellentani stava bevendo un bicchiere d’acqua minerale quando sua moglie aveva sparato. Non aveva capito subito che cosa fosse successo, poi si era avvicinato a Pia. Non era però riuscito a parlarle e si trovava esattamente tra il gruppo della moglie e quello dell’uomo morente. A questo punto la sarta Biki svenne.
Intanto l’orchestra continuava a suonare. Nella sala vicina molte coppie ballavano ancora, un uomo cantava la canzone sentimentale La semaine ed era arrivato all’ultima frase: "Et le dimanche, je te vois".
Sabry Pascià, zio di re Faruq, stava a un tavolo con le sue tre mogli e un’altra signora, il barone Rothschtild fumava un sigaro. In tutte le sale, anche nel bar, la luce era abbagliante. L’aria era piuttosto guasta, perché la serata, che aveva avuto inizio con la presentazione di modelli e si era poi mutata in una festa da ballo, era ormai quasi alla fine. Mancava poco alle due. Si era bevuto, ma con la regolarità a cui sono abituati i frequentatori dei grandi locali notturni; tutti erano eccitati ma dissimulavano bene. Se in quelle sale non fosse stato commesso un omicidio, nessuno avrebbe avuto il giorno dopo qualche cosa di straordinario da raccontare.
La contessa Pia Bellentani ha dato due distinte versioni del fatto. La seconda versione costituisce la confessione: la prima un tentativo di difesa suggeritole, pare, dal marito, che aveva esercitato la professione di avvocato, e forse anche dagli amici che la circondarono subito dopo il delitto. Queste due versioni corrispondono ai due periodi in cui si può dividere la vita di Pia Bellentani, e alle due educazioni che la signora di Sulmona ha ricevuto. Secondo le prime dichiarazioni, non si trattava di omicidio, ma di incidente. Tra la contessa e Carlo Sacchi c’erano state durante la serata schermaglie galanti, che andarono in qualche momento oltre la semplice ironia. La contessa aveva pensato che le sue relazioni con l’industriale, cordiali ma non intime, non gli dessero il diritto di spingere lo scherzo oltre le convenienze. Gli aveva mostrato la pistola quasi per gioco. Era un atto imprudente, anche qualche cosa di peggio. La contessa, sempre secondo le sue prime dichiarazioni, non era pratica di armi automatiche, credeva che non fosse così facile sparare.
I CONSIGLI DEL MARITO
I suggerimenti che il conte Bellentani diede alla moglie non possono essere stati che sommari. La prima versione fu ispirata probabilmente alla signora dal ricordo della sua vita di ragazza in una città di provincia e dall’educazione ricevuta in un ambiente familiare morigerato e religioso. Pensò per prima cosa a negare, a non voler neanche discutere di una sua relazione non lecita. Il Sacchi era un amico di suo marito, un uomo con cui lei scherzava anche per obbligo di mondanità. La pistola era stata un elemento farsesco, un modo di concludere con vivacità una serata che minacciava di finire malinconicamente. A una donna come Pia Bellentani non poteva succedere niente di scandaloso: queste erano le conseguenze di un atto impulsivo di ragazza di provincia che non aveva mai visto armi da fuoco prima che la mamma avesse ricevuto in casa gli ufficiali venuti in città per le manovre. Non si sarebbe potuto trovare versione più debole. La seconda versione ristabilisce in parte la verità dei fatti. Dalla deposizione, si capisce che la vita della Bellentani in questi ultimi anni era completamente cambiata. Tuttavia, per un estremo scrupolo, la contessa non ha voluto ammettere d’essere stata l’amante del Sacchi. Se si dovessero riconoscere vere le sue affermazioni a questo proposito, non reggerebbero né l’insieme della confessione né i particolari. Non ha voluto ammettere che amava il Sacchi e ne era gelosa; ha voluto invece descriverlo come un demonio che la tentava di continuo. Le aveva reso difficile la vita. La corteggiava con un’insistenza ora torbida ora beffarda. Voleva che abbandonasse il marito e le figlie per seguirlo in America; approfittando dello stato di inferiorità sentimentale in cui ella si trovava, non rinunciava mai a torturarla col suo scetticismo, con le sue frasi sprezzanti che non di rado diventavano volgari. Pia lo ha descritto così, ricordandosi dei personaggi diabolici della letteratura romantica e del cinema: bisogna pensare a una specie di dottor Jekyll, a un individuo da cui non ci si può liberare che in un momento di esasperazione, con un atto violento.
Pare comunque che Carlo Sacchi fosse andato a Villa d’Este con lo scopo di offendere e provocare la contessa. Tra l’altro le disse: «Non balli con me perché non ti ecciti»; e poi: «Anche se non vieni con me, tuo marito è destinato a essere sempre un becco». Perché la Bellentani continuava a vedere il Sacchi, mentre non le sarebbe stato difficile indurre il marito a rompere ogni rapporto con lui? «Era molto intelligente, vissuto, esperto», ha dichiarato. In un primo momento aveva provato per lui un sentimento di simpatia e di affetto non lontano dall’amore; ma poi le era venuta un’idea che non si spiegherebbe se non si conoscesse il suo carattere. Pia avrebbe deciso verso la fine del 1944 di salvare l’anima di Sacchi. Egli conduceva vita da libertino, non aveva scrupoli, era ateo. Qualcuno è giunto a dire che una volta Pia provava per lui un orrore misto a una forte attrazione. La letteratura romantica le aveva insegnato che ci sono donne mandate dal cielo per salvare uomini che nessun’altra creatura potrebbe strappare alla loro dannazione. L’impresa era difficile, ma ci provò. Quando poi si fu persuasa dell’inutilità dei suoi sforzi, era troppo tardi. Sacchi si era incapricciato di lei, voleva diventare il suo amante. Voleva nello stesso tempo mantenere le sue relazioni con altre donne; per lui non c’era nulla di sacro, né di pulito, corrompeva tutti. Il difficile era ormai non redimerlo, ma sfuggirgli. Pia ci è riuscita in un momento di esaltazione premendo, senza sapere bene cosa facesse, il grilletto della pistola che suo marito aveva portato per difenderla e per difendere i suoi gioielli dai rapinatori e che, entrando a Villa d’Este, aveva infilato con disinvoltura nel suo sweater giallo, per depositarla al bureau. Ecco la costruzione fantastica che la contessa Bellentani ha dovuto innalzare per non dire la verità. Il suo ritratto del Sacchi corrisponde alla verità? A noi sembra che risenta di una mente eccitata e incline a esagerare i lati romanzeschi della vita. Pia Bellentani è nata a Sulmona nel 1916. Suo padre, Romeo, apparteneva a una famiglia che da molto tempo lavorava il rame. La casa dove era nato era piena di figli e troppo ristretta per un giovane che voleva far carriera. Così si fece liquidare dal padre Ferdinando con un assegno di poche migliaia di lire e cominciò a lavorare il rame per conto suo; presto, poi, si mise a commerciare in laterizi, in ferramenta, in legnami. Le sue condizioni migliorarono rapidamente. Presto si sposò con la signorina Nazarena Jannamorelli, anche lei appartenente a una famiglia di gente modesta; ed è da questo matrimonio che nacque Pia. Le condizioni della famiglia si fecero più rosee; Romeo Caroselli, nella sua ambizione di diventare ricco, passò di impresa in impresa guadagnando denaro. Pia nei primi tempi fu educata in famiglia. Il padre e la madre le trasferirono sentimenti e abitudini del vecchio Abruzzo, che forse hanno influito negli atteggiamenti che ha assunto dopo il matrimonio e specialmente nella vita che si è trovata a condurre sul lago di Como. Quando l’educazione familiare parve insufficiente, il padre e la madre, che ambivano di dare alla figlia quella formazione che non avevano avuto, la inviarono a Roma nel collegio delle suore di Notre Dame, dove restò fino ai 14 anni. Lì studiò pianoforte, inglese, francese; i suoi studi continuarono anche quando tornò a casa; anzi la madre le fece compiere alcuni viaggi all’estero, la portò nei migliori alberghi. Si sarebbe detto che Nazarena e Romeo Caroselli volessero riscattarsi, educando la figlia in modo che potesse partecipare alla vita di un mondo al quale essi appartenevano solo per la ricchezza. A 15 anni, Pia cominciò a sentir parlare di un matrimonio che l’avrebbe liberata dalla vita di provincia; e, se raccomandazioni le furono date, riguardarono tutte la prudenza nell’innamorarsi. A Romeo Caroselli sarebbe parso assurdo che dopo tante fatiche la figlia dovesse incapricciarsi di qualche avvocatuccio del posto o di qualche proprietario della zona. Anzi, alcuni giovanotti che si presentarono, furono allontanati dalla famiglia e convinti a non farsi illusioni.
Nel 1938, il conte Lamberto Bellentani parve tanto ai genitori quanto alla figlia l’uomo destinato a completare l’educazione avviata nella casa di Porta Napoli, e proseguita nel collegio di Roma. Bellentani piacque perché ricco, perché aveva un’apparenza seria e posata, e perché aveva un titolo nobiliare. Più che un matrimonio fu un’alleanza di famiglia. Pia non ebbe nulla a ridire sulle nozze. Aveva 22 anni e il fidanzato 39. Ma la differenza d’età le pareva contasse poco. Il conte Lamberto Bellentani aveva il vantaggio di essere settentrionale, di avere un titolo e di appartenere a un mondo a cui la fanciulla sembrava destinata fin dalla nascita. Il matrimonio così avvenne nella parrocchia di San Pietro in Sala, il 15 luglio 1938 a Milano.
L’INGRESSO DI SOCIETA’
Nel 1938 la vita mondana in Italia mostrava due volti. C’era quello ufficiale di cui erano protagonisti Galeazzo Ciano, la contessa Edda, sua moglie, e i nomi più altisonanti dell’aristocrazia romana. La loro vita si svolgeva tra Cortina e le Acque Albule, aveva qualche legame con Capri, tesseva contatti con il Circolo della Caccia di Roma, manteneva contatti quasi segreti con la diplomazia anglosassone. Accanto a questa società ce n’era un’altra meno nota ma forse più ambiziosa, composta di industriali, proprietari di terreni, aristocratici che avevano rinforzato il proprio patrimonio con matrimoni o con commerci e industrie. Pia Caroselli apparteneva a questo secondo gruppo. Il conte Lamberto Bellentani di Reggio Emilia, quando la conobbe a Cortina, se ne innamorò forse per quell’ombra di vita borghese e provinciale che restava in lei. Tutti dicevano che era ricchissimo poiché possedeva centinaia di ettari di terre nei dintorni di Correggio e tra Carpi e Modena (le terre appartenevano alla madre, contessa Roveri, che aveva sposato il conte Remo Bellentani, ufficiale di carriera). A Reggio Emilia si sorrideva tuttalpiù della giovinezza della fidanzata. Quando per il matrimonio arrivò da Sulmona una cassa con 15 chili di grossi confetti rosa (una specialità abruzzese) da regalare ai contadini, tutti lo trovarono buffo e conclusero che i "terroni" hanno spesso pittoresche abitudini. I due sposi andarono ad abitare in viale del Risorgimento alla periferia di Reggio. La contessa aprì un salotto, ricevette la nobiltà del luogo, scambiò visite, organizzò bridge. I primi tempi, quando il marito la conduceva in qualche casa amica e si faceva tardi sulle carte, la contessa Pia si addormentava. A Reggio Emilia la vita mondana si esaurisce spesso in qualche ricevimento, in qualche pranzo, in qualche gita a Milano o sui laghi. A chi l’avesse giudicata allora. Pia Bellentani sarebbe apparsa una di quelle signore di provincia a cui i titoli nobiliari non impediscono la vita borghese. I figli vennero: Stefania e Flavia; poi un giorno i due sposi presero una decisione importante. Fosse la ricchezza che col tempo diventava più cospicua, fosse la noia di una vita che pareva senza imprevisti, fatto sta che la famiglia si trasferì a Bologna. La città, con i suoi teatri, i salotti frequentati da gente che ama la vita comoda come a Reggio ma vi pretende anche una certa ombra di eleganza, costituì la seconda esperienza della contessa. Qualche ballo, qualche corsa a Milano, mentre i bombardamenti diventano più minacciosi e nei salotti tutti cominciano a far piani di sfollamento verso luoghi più tranquilli.
I SIGNORI DI VILLA D’ESTE
A QUESTO punto che la vita di Pia Bellentani cambia. Una amica di Como le scrive. una giovane donna sposata a un industriale, Carletto Maniero. Ha un fratello, Carlo Sacchi, che tutti descrivono brillante, intelligente e snob; tanto snob che è considerato capace di commettere i gesti più strani. I Bellentani accettano l’invito, si recano a Campo di Menaggio ed entrano a far parte di quella società che ha sui laghi il suo campo di battaglia. Fino allora tra i Sacchi e i Bellentani c’erano state relazioni superficiali ma cordiali derivate da un cottage nel parco di Villa Lavedo, famosa perché c’erano stati, prima del matrimonio, Wallls Simpson e il duca di Windsor. Ormai l’educanda di Sulmona non esisteva più. Sul lago, Pia cominciò ad arrendersi a un genere di vita cui fino allora forse aveva aspirato per una nascosta ambizione, pur cercando di riprovarla in nome dei principi religiosi e delle abitudini borghesi che la famiglia le aveva trasmesso. I primi tempi aveva anche protestato. Carlo Sacchi? Il dramma si palesò quando Pia si sentì attratta e respinta insieme da quest’uomo. Le sarebbe piaciuto farlo innamorare e innamorandolo migliorarlo; le sarebbe piaciuto fargli capire che lei era una donna diversa da quelle che piacevano a lui. Nacque così una relazione piena di contraddizioni. I Bellentani ormai erano cittadini del lago, avevano lasciato il cottage di Villa Lavedo, abitavano a Villa Allamel di Cernobbio. Villa d’Este diventò la loro capitale, i tè di Reggio Emilia e di Bologna impallidivano in confronto alle cene notturne sul lago, ai balli, alle corse in motoscafo. Pia continuava in apparenza a resistere; ma intanto anche il suo linguaggio cambiava, certe parole libere che lei non avrebbe mai nemmeno voluto dire, le diventavano familiari. Carlo e i suoi amici l’avevano abituata a bere, ad andare a dormire all’alba, a ridere di tutto e a considerare i vincoli che la legavano al conte Lamberto come niente affatto impegnativi. Tutti felici, almeno apparentemente, e tutti ricchi. A un certo punto qualcuno propose di trasferire la compagnia a Villa Olmo, appena fuori degli istituti di bellezza; il suo modello, Ada, la sorella di Carlo, era ormai superato.
ORGOGLIO E GELOSIA
Quando, finita la guerra, la strada di Campione tornò libera, i Bellentani, i Sacchi, i Maniero la percorsero, allargarono la cerchia delle loro conoscenze e quasi ebbero l’illusione di appartenere a una società centroeuropea, che aveva i suoi punti di ritrovo a Villa d’Este, a Venezia, a Cannes, a Losanna. Ormai sotto gli occhi della contessa Pia apparivano rughe e segni che a un osservatore attento svelavano molto: erano gli effetti di una vita sregolata, forse dell’uso degli stupefacenti. Era passata dai colloqui in cui la donna seria e appassionata cercava di "convertire" un uomo frivolo e cinico agli incontri segreti. Nei primi tempi Sacchi l’attirava e le ripugnava; ora un sentimento diverso la legava a lui. Ai desideri di redenzione erano seguiti gli scoraggiamenti, che arrivarono fino a gesti clamorosi. Un anno fa, Pia Bellentani cercò di buttarsi sotto l’automobile del Sacchi. Non successe nulla; Sacchi ebbe un sorriso che bastò a far capire alla donna quanto ancora fosse vittima delle sue vecchie abitudini. Se qualcuno l’avesse interrogata, la contessa Bellentani, un anno fa, avrebbe detto di non avere ormai più niente a che fare con la ragazza di Sulmona. Eppure, benché Sacchi avesse cercato di fare di lei una donna elegante e disinvolta, soltanto una parte di questo suo programma aveva avuto successo. Pia era sì ormai una donna elegante, preoccupata del proprio maquillage e degli abiti; in certi momenti qualcuno avrebbe potuto sorprendere sulla sua bocca parole che una donna di origine borghese non pronuncerebbe mai; ma nella relazione col Sacchi, Pia restava una moglie che, tradito il marito, giudicava a tal punto grave la sua colpa da non ammettere di essere a sua volta tradita dall’amante. L’idea di essere abbandonata o di dover abbandonare Sacchi per correre altre avventure non era concepibile. Così divenne gelosa. Sorvegliava Carlo Sacchi cercando di sorprenderlo con altre donne e, venuta a sapere di una sua relazione con la signora Guidi, non si diede più pace. Ormai gli amici di Como sapevano quali erano i personaggi della commedia. Intanto la ricchezza del conte Bellentani non era più quella d’un tempo: il gioco l’aveva messa a dura prova e le terre ora rendevano meno a causa dei contrasti coi contadini. Così i Bellentani entrarono in un giro pericoloso di cui è difficile stabilire i particolari. Le relazioni tra Pia e la sorella del Sacchi, Ada, che intanto, divorziata dal Maniero, aveva sposato l’industriale Ercole Locatelli di Lecco, continuavano però a essere strette. Pia la difendeva soprattutto per non perdere di vista l’uomo che la sfuggiva.
Arrivò il 1948: questa piccola società galante si sparse un po’ dovunque; e i Bellentani vennero visti a Cannes e a Venezia. La contessa Pia ormai aveva un’espressione tesa e penosa. I suoi grandi occhi neri guardavano nel vuoto fissamente. La febbre la coglieva ogni giorno. Di notte, aveva gli incubi, durante i quali vedeva Cario Sacchi che la osservava serio attraverso gli occhiali neri. Si sentiva fissata, giudicata; improvvisamente l’uomo rideva di lei; rideva della sua passione. Sacchi viene descritto oggi come uno strano seduttore. Non era bello. Magrissimo, alto un metro e 80, era miope e portava lenti nere e graduate perfino di sera. La prima impressione che dava era di un uomo ammalato di stomaco, come effettivamente era stato; ma poco alla volta si capiva che non era un temperamento qualsiasi e che, dietro l’apparenza di industriale di provincia, c’era un uomo poco comune. Carlo interpretava con grande disinvoltura la parte del ricco. Dava feste, invitava amici. A un certo punto aveva scoperto la pittura moderna. Visitò mostre, osservò molti quadri, senza mai esprimere un giudizio. Ogni tanto comprava qualche tela: i nomi vanno da Giorgio De Chirico a Filippo de Pisis. Recentemente aveva comprato un quadro di Renato Guttuso che ai suoi amici era apparso troppo moderno. Quando qualcuno, a proposito di questi acquisti, dava pareri, Carlo Sacchi restava in silenzio. Diceva che comprare quadri era un modo per investire denaro.
La sua relazione con la moglie da qualche tempo era peggiorata. Lilian Willinger, prima del suo matrimonio italiano, era stata ballerina. Dopo i primi slanci, era però seguita l’indifferenza e da qualche tempo si parlava di separazione legale. La moglie aveva amici suoi; tra le sue amiche più intime una ballerina, Lilly Minas. In quanto ai figli, due bambine, pareva non interessassero molto all’industriale. Non che le trascurasse, ma le considerava con un certo distacco, quel distacco ch’egli pareva mettere in tutte le cose.
Poi un giorno Sacchi disse: «Non me la posso levare di torno». Parlò così a una donna molto brillante con cui da qualche tempo si faceva vedere insieme. A Carlo Sacchi e alla signora Guidi, il caso di Pia Bellentani pareva strano.
Vi sospettavano un miscuglio torbido di sentimenti: una gelosia rinvigorita dall’orgoglio e resa pericolosa dal dispetto. Carlo Sacchi aggiungeva ch’era per lui una vera noia trovarsela sempre davanti. Pia era amica di sua moglie Lilian; anzi pareva tenere molto a questa amicizia che le permetteva di vedere l’uomo che la sfuggiva. Mimi Guidi alle parole di Carlo Sacchi sorrideva. Sapeva di essere odiata dalla Bellentani e ripagava questo sentimento con una punta disprezzo. Se però le due donne s’incontravano in pubblico non si sfuggivano: si sorridevano, parlavano amabilmente, anche se nei loro discorsi era evidente un sottinteso rancore.
vero che Carlo Sacchi la sera di mercoledì 15 settembre confidò alla sorella il suo timore d’avvenimenti tragici? Dicono che abbia addirittura espresso il timore di essere ucciso. Pia Bellentani quella sera era lievemente eccitata. Quando, durante il pranzo, Carlo Sacchi volle alzarsi per andare al bar quasi annoiato dalla sfilata delle modelle, e indisse un referendum tra i compagni di tavolo, per decidere se poteva andarsene, Pia segnò una croce sul menu, invece di un "si" o di un "no". «La serata è calda!», disse la Biki dopo che fu applaudito il primo modello della collezione, rivolgendosi alle indossatrici: «Mi raccomando, non siate nervose».
LA NOTTE ERA MOLTO CALDA
Ora Pia Bellentani sedeva a un tavolo con amici gioviali. Bevevano spumante, parlavano chiassosamente. Dei 90 modelli che sfilarono, la contessa ne applaudì almeno 20; dieci di essi le piacquero, tanto da commuoverla: disse che li avrebbe acquistati. Molti uomini anche quella sera la salutarono, la corteggiarono; il suo caschimpetto di brillanti piaceva a tutti per il gusto della fattura.
A un certo momento Pia salutò qualcuno che sedeva a un altro tavolo. Si trattava di Mimi Guidi, che rispose con un gesto vago, come succede nell’eccitazione di una serata allegra. Intorno a lei erano tutti suoi amici, gli uomini e le donne che qualche anno fa l’avevano spaventata, perché le erano parsi così diversi dalla società in cui era nata e da quella in cui era vissuta nei primi tempi del matrimonio. Quando un signore inglese le sorrise, Pia Bellentani quella notte non restò impacciata, e rispose con un gesto disinvolto. Non siamo tutti amici?, aveva l’aria di voler gridare. Lo avrebbe detto volentieri a Mimi Guidi, a Carlo Sacchi e agli altri. Forse per qualche istante la sua condizione d’amante abbandonata le parve facile; ma improvvisamente il suo animo reagì. Pia Bellentani si sentì ferita. La superficiale gaiezza cui era abituata svanì; il chiasso della notte diventò insopportabile.
La deposizione della contessa finisce con queste parole: «Decisi di riportare al portiere la maglia di mio marito. La consegnai con la sinistra; nella destra invece avevo la pistola ancora nel fodero, nascosta sotto il mantello. Mi diressi verso il bar, mi accostai a Carlo Sacchi, gli dissi: "Cerca di cambiare contegno, perché non so cosa sono capace di fare"». Carlo Sacchi la guardò con ironia. La donna lo fissò. Quel lieve sorriso sulle labbra le parve insopportabile. a questo punto che lei trasse la pistola dal fodero. L’uomo parlò, come tutti i giornali hanno scritto, di romanzo a fumetti e di esagerazione meridionale, disse che tutti i terroni esagerano. Allora la donna sparò. Quando Pia Bellentani nella giornata di giovedì arrivò nel carcere di San Donnine a Como, i detenuti, contrabbandieri di sigarette, ladri di strada, si scambiarono messaggi eccitati. « arrivata una di Villa d’Este», dicevano battendo il cifrario sulle pareti delle celle. Intanto i camerieri di Villa d’Este facevano le pulizie. I villeggianti sedevano sulla terrazza in silenzio. Ma ecco che all’improvviso davanti all’albergo apparve un vecchio straccione con una lunga barba bianca. Alzò le braccia al cielo e disse: «Il fuoco su Sodoma e Gomorra». Com’era venuto scomparve. E nessun lift, per quanto corresse, seppe raggiungerlo. Anche questo è vero.