Claudio Plazzotta. ItaliaOggi 7/4/2010, 7 aprile 2010
IO, PORTINAIO HI-TECH
[Intervista a Roberto D’Agostino - Dagospia]
Non vende a nessuno perché non vuole «fare la fine di Eugenio Scalfari, che ha ceduto tutto a Carlo De Benedetti e poi si è messo a fare le parole crociate». E se qualcuno accenna a sua moglie, Anna Beatrice Federici, benestante e proprietaria di immobili, come sua finanziatrice neanche tanto occulta, ribatte offeso che «ho sempre fatto tutto con le mie forze, anche pagato tutte le querele. Certo, una moglie così rassicura». Si festeggiano i dieci anni del sito Dagospia, fondato da Roberto D’Agostino nel 2000: un fenomeno di costume, molto letto, ma, tutto sommato, dal fatturato ancora basso (sotto i 700 mila euro all’anno) nonostante la notorietà acquisita e il numero di lettori.
Domanda. Imbarazzato per le celebrazioni, le conferenze a cui la chiamano?
Risposta. Le mie medaglie al petto sono le querele che ricevo, non le foto o i convegni.
D. E quanti danni a dovuto liquidare in dieci anni?
R. E che domande sono, io mica vengo a chiedere quante querele ha pagato ItaliaOggi...
D. Però si dice che le querele le abbia pagate sempre sua moglie, Anna Beatrice Federici, a cui i soldi non mancano...
R. Cavolata assurda, ce l’ho sempre fatta con le mie forze. Certo, una moglie così rassicura. E mi permette di fare sapere a tutti di stare in campana, che quando hanno a che fare con me e con Dagospia, non si trovano davanti un poveretto con le pezze al....
D. Come definirebbe Dagospia?
R. Una portineria elettronica. questa l’idea del sito, non ci sono filtri, se uno chiama al telefono, rispondo io.
D. E chi l’accusa di saccheggiare i giornali, facendo una specie di rassegna stampa?
R. No, sul web è tutto diverso, la formula adatta a Internet è il Pissi Pissi, notizie di una riga, di cinque righe. L’articolo lungo, da giornale, sul web, non lo legge nessuno. Io li prendo, rifaccio il titolo, cerco di non nascondere le notizie, come invece fanno i giornali, ed ecco qua. Ieri (mercoledì 5 maggio, ndr), per esempio, potevo fare un lungo articolo sulle case di Elisabetta Tulliani (compagna di Gianfranco Fini, ndr), e invece ho messo in rete una roba corta, una specie di bollettino. D’altronde, non sono Hemingway, né Proust, né Arbasino.
D. Perché ce l’ha tanto con i giornali?
R. Perché al mattino ne devo leggere 15 per capire qualcosa. Tutti a nascondere il succo. I titoli dei giornali, poi, sono un invito a girare pagina, devono sempre smussare, arrotondare, non vanno mai al punto. E vogliamo parlare di R2 di Repubblica? l’antigiornalismo, ma chi se lo legge? Sul web ti abitui invece a una scrittura da sms, da twitter, 140 battute e via. Tutto si può scrivere in dieci righe.
D. Vabbè, adesso però parliamo di soldi, perché, come diceva Gordon Gekko in Wall Street, «è tutta una questione di soldi, il resto è conversazione». Come mai Dagospia srl, nonostante i dieci anni di vita, fattura ancora così poco (circa 620 mila euro nel 2008, ultimo dato disponibile)?
R. Perché in tanti si arrabbiano, e dicono alle varie aziende: «Ma come, fai pubblicità su Dagospia? Ma no, non devi, quello è uno che parla male di te». Ora la pubblicità me la raccoglie la System, concessionaria del Sole-24 Ore. Si prendono il 40%, e quindi 240 mila euro. A me rimane il resto per fare stare in piedi tutta la baracca, con sei persone fisse al giorno.
D. Prima della System aveva Publitalia come concessionaria...
R. E infatti mi hanno buttato fuori. E poi dicono che sono uno che si è venduto a Berlusconi...
D. E nel 2009 e nel 2010 come vanno i fatturati?
R. Beh, nel 2009 spero meglio che nel 2008. Nel 2010 le cose non vanno molto bene, anche se ringrazio il cielo di tutto. Non posso fare piani di espansione, né allargarmi. Magari potrei restringermi. Però a Natale esce la nuova edizione del libro Cafonal, con Umberto Pizzi.
D. Tuttavia 600 mila euro all’anno non sono molti, per un sito che, almeno dal punto di vista della notorietà, parrebbe valere di più, non trova?
R. Dagospia pesa. Il potere sa cosa deve leggere. Però incassa poco, è vero. Per gli inserzionisti, comunque, non contano gli accessi, un dato molto taroccabile, ma le pagine viste e i minuti in media passati sul sito. Dagospia ha una media attorno alle 600 mila pagine viste al giorno, con 12-13 minuti passati in media sul sito.
D. Lo scorso anno ci fu l’indiscrezione che Mondadori era sul punto di rilevare Dagospia srl. Ora si parla della cessione di una quota di minoranza alla Adnkronos di Pippo Marra. Cosa succede?
R. Ma perché dovrei vendere a qualcuno? Qualunque azionista di minoranza romperebbe comunque le scatole. E la maggioranza io non la vendo. E poi cosa farei? Ho 62 anni, che faccio, vado ai giardinetti? Guardi Eugenio Scalfari, ha venduto tutto a Carlo De Benedetti e poi si è messo a fare le parole crociate. No, quella fine lì non la voglio fare.
D. Lei, però, un socio di minoranza ce l’ha già, è la Punto C srl, che detiene il 5% di Dagospia. Chi sono?
R. Quando ho aperto il sito, dieci anni fa, mi dicevano tutti: «Devi rivolgerti a una società di venture capital per la start up». Io non sapevo di che parlassero. E comunque ho avuto colloqui con un sacco di persone, persino col mitico Elserino Piol. Mi hanno tutti sfanculato, senza capire nulla. Allora mi serviva almeno uno che sapesse come fare il sito, dal punto di vista tecnico. Se ne è occupata la Punto C srl, che si è tenuta il 5%.