ETTORE LIVINI, la Repubblica Affari&Finanza 3/5/2010, 3 maggio 2010
RE MIDA VGENOPOULOS IL NUOVO ONASSIS CHE VUOL SALVARE ATENE E’ L’UOMO PI RICCO DEL PAESE MA ANCHE UNO DEI POCHI PERSONAGGI NON COLPITI FINORA DAGLI SCANDALI ECONOMICI. UN PATRIMONIO CHE VA DALLE NAVI AGLI AEREI E ALLE BANCHE
Lui non ha ancora scoperto le carte. Ma la Grecia in crisi, affamata di facce nuove dopo decenni di politica gestita dalle dinastie dei Karamnlis e dei Papandreou, ha già individuato l’uomo capace di far saltare davvero gli equilibri dei palazzi ateniesi.
L’identikit è perfetto: tycoon di grande successo, primo datore di lavoro privato del paese, bersaglio prediletto dei paparazzi, azionista e anima di una squadra di calcio salvata dal crac. Ricetta che ha funzionato già dalle nostre parti. Nome e cognome: Andreas Vgenopoulos, il vero erede di Aristotele Onassis, come dice questo paese a caccia di miti. Il salvatore della Olympic Airlines e del Panathinaikos di Atene che secondo tutti i bookmaker ellenici potrebbe da un momento all’altro candidarsi al culmine di una carriera fulminante, alla guida della nazione.
«I politici sono i veri responsabili di questa crisi ha detto pochi giorni fa in un’intervista tv, dal sapore dell’autocandidatura, che ha sbancato l’audience La ricetta che hanno portato avanti per salvare la Grecia è semplice: basta nascondere la polvere sotto il tappeto. Mettiamo invece le carte in tavola, capiamo quali sono i nostri problemi e affrontiamoli per far rinascere un paese trasparente e pulito».
Progetto forse non originalissimo ma che proposto da uno dei pochi nomi noti nazionali ancora indenne da scandali ed estraneo alla bassa cucina politica ellenica ha già scatenato il pressing delle persone che gli chiedono di metterci la faccia davvero.
Vgenopoulos di sicuro sotto i riflettori non si trova male. A poco più di 57 anni (compiuti il 4 gennaio, capricorno testardo e che di solito sa dove vuole arrivare) è riuscito a costruire dal nulla e senza mandarle a dire a nessuno un impero da 1,9 miliardi di euro di ricavi accumulando una ricchezza personale stimata in 800 milioni. Lui, dicono qui, non ha certo bisogno di rubare come fanno quasi tutti i politici di professione in un paese che brucia nell’inferno della corruzione qualcosa come 15 miliardi l’anno, l’8% circa del pil.
Ha iniziato nel 1998, dopo una lunga carriera di avvocato nel settore marittimo seconda industria nazionale dopo il turismo fiutando il caleidoscopio di opportunità imprenditoriali e finanziarie di una nazione costretta a una radicale metamorfosi in vista delle Olimpiadi e dell’euro.
Si è guardato in giro, ha fondato il Marfin Investment Group (ragione sociale: partecipare al consolidamento del settore bancario nazionale) e grazie alle relazioni maturate in anni di assistenza agli armatori ha raccolto centinaia di milioni, buona parte dalla famiglia reale del Dubai, da investire in Grecia.
La novità, quello che piace alla gente, è che non l’ha fatto alla greca. Andando a ungere le ruote giuste o bussando alle porte necessarie per fare affari. Vgenopoulos si è presentato sul mercato, ha lanciato Opa, pagato gli azionisti di minoranza e in poco tempo, grazie ai capitali del Golfo e a una fortuna personale in rapida crescita, ha realizzato il suo sogno. Ha fatto shopping di banche in terra ellenica e a Cipro la Marfin Popular Bank, che controlla la Egnatia e la Laiki è uno dei maggiori colossi nazionali ha diversificato nell’amato settore della navigazione con i traghetti dell’Attica, ha raccolto decine di strutture ospedaliere sotto il marchio Hygea, è entrato (e uscito) dalle tlc cedendo la sua quota nella veccha Ote con un grande guadagno a Deutsche Telekom e si è regalato persino la Vivartia, leader nel settore alimentare.
Gli affari però non sono tutto nella vita. Vgenopoulos è uomo di mondo, riservato le sue interviste si contano sulla mano ma incapace di tirarsi indietro quando c’è un sogno da salvare.
Il suo cuore, ad esempio, da vecchio ateniese, batte da sempre per il Panathinaikos, la squadra del trifoglio. E così quando nel 2008 dopo il periodo in cui fu allenatore Alberto Malesani la gloriosa società rischiava di fallire, lui non ha resistito. Ha messo mano al portafoglio, ha comprato una quota del 16% (la singola maggior partecipazione), si è messo a trattare con gli ultra, ha chiamato alla presidenza il vecchio socio, l’armatore Nikos Pateras e ha rimesso in piedi il sodalizio, vincitore quest’anno di scudetto e coppa greca ed eliminato ai quarti (dopo aver buttato fuori la Roma a febbraio) in Europa League.
Una passione vera come dimostra il bel gesto da vero cuore d’oro o grande uomo di marketing, maligna qualcuno dell’Olimpico quando ha pagato di tasca proprio il biglietto ai tifosi in trasferta sotto il Colosseo e rimasti senza soldi.
I suoi incroci con la politica sono iniziati poco dopo lo sbarco nel mondo del calcio.
A fine 2008 il governo Karamanlis stava cercando per l’ennesima volta di vendere l’Olympic Airlines. La compagnia fondata da Onassis alla sua epoca c’erano i pianisti nelle sale d’attesa travolta da una gestione clientelare (i parenti dei dipendenti fino al terzo grado viaggiavano gratis in tutto il mondo) e da una voragine in bilancio. Vgenopoulos si è presentato in zona Cesarini. Ha messo sul piatto l’offerta della Marfin, sventolato una bandiera issata anche per la vendita di Alitalia («Olympic deve rimanere in mani greche», era il suo slogan) e sul filo di lana è riuscito ad aggiudicarsene il controllo.
Da allora il suo rating presso i greci è decollato. E lui, con senso teatrale e forse con fiuto politico, non è mai sceso dal palcoscenico.
Ha lanciato un televoto di gran successo per scegliere la divisa delle hostess dell’aerolinea nazionale. Forte della sua immagine di uomo con le mani pulite ha iniziato a martellare i politici che mettevano a rischio la sopravvivenza della Olympic. E’ arrivato alle carte bollate con l’ex ministro dell’economia Dora Bakoyanni, cui ha chiesto 3 milioni di danni per aver affidato ai rivali della Aegean Airlines («per forza, è amica dei suoi soci di riferimento, i Vassilakis», dice lui) alcune rotte sull’Egeo. Ha duellato con il dicastero della salute per non aver potuto donare a un ospedale pubblico di Atene alcuni macchinari per l’oncologia pediatrica per la mancanza di un laboratorio adatto ad accoglierli.
Lo scorso mese, vista la crisi dei cieli, ha sepolto l’ascia di guerra con i Vassilakis e ha varato la fusione della Olympic con la Aegean, dando vita al gran monopolista dei cieli ellenici e annunciando, per la gioia del ministro Papandreou già alle prese con la crisi nazionale, che l’operazione non avrebbe portato a esuberi.
Adesso Vgenopoulos è davanti al bivio. L’intervista a Skai della scorsa settimana sembra preludere in effetti a uno sbarco in politica. Nei giorni precedenti aveva applaudito Papandreou «è lui l’unica speranza per salvare il paese» ma poi si è distinto per alcune prese di posizione demagogiche e ad effetto: «Uscire dall’euro per un po’ di tempo forse è la soluzione migliore», ha buttato lì. Miele per le orecchie di una popolazione greca che ha un gran rimpianto della dracma e della svalutazione competitiva.
Cercare di prevedere le sue mosse, lo sport nazionale di diversi quotidiani ellenici, è però inutile. Il nuovo Onassis, per ora, è una sfinge. La politica di sicuro lo tenta, gli ultimi sondaggi dicono che Pasok e Nea Demokratia, i due partiti storici di Atene, raccolgono ormai solo il 50% dei consensi nel paese. Ma forse, dicono i maligni il suo progetto è un altro. Approfittare in questi mesi delle privatizzazioni necessarie per rimettere in ordine i conti dello stato, dove la sua Marfin, con 640 milioni di liquidità in cassa, potrebbe fare la parte del leone. E intanto lasciare a Papandreou il compito di fare il lavoro sporco del risanamento del paese. La storia lo insegna: i governi che hanno chiamato in soccorso l’Fmi, ultimo in ordine di tempo il centrosinistra ungherese, hanno salvato il loro paese ma perso le elezioni successive. Vgenopoulos, che lo sa, può anche concedersi il lusso, per ora, di rimanere fermo un turno.