ALESSANDRO PENATI, la Repubblica 1/5/2010, 1 maggio 2010
L´ILLUSIONE PERDUTA DEI TITOLI SENZA RISCHI
La crisi greca è un campanello d´allarme: segnala che il problema dello smaltimento dell´enorme debito pubblico accumulato nel mondo è ancora in attesa di soluzioni. Un problema non circoscritto alla Grecia, e un domani a Portogallo e "Pigs" vari; ma che potrebbe manifestarsi in altri paesi, e con sintomi diversi (inflazione, stagnazione). Per esempio, la Gran Bretagna dovrà adottare un drastico risanamento, nonostante una sterlina svalutata del 40% rispetto all´euro, se non vuole vedere i suoi Gilt sulle montagne russe. Neppure i Treasury Bond sono immuni dal rischio: con la ripresa, aumenterà il timore che gli Usa ricorrano all´inflazione per ridurre l´onere del debito. Non sarebbe una novità.
I titoli di Stato dei paesi industrializzati, dunque, non sono più un rifugio sicuro dal rischio finanziario. Perché tornino a esserlo, bisognerà capire se, e come, i vari Stati avranno imboccato la strada del risanamento, e dimostrato di riuscire a sostenerla politicamente. Fino ad allora, la volatilità dei titoli di stato è destinata ad aumentare ovunque, anche se in misura diversa. Non dovrebbe stupire: gran parte della crisi finanziaria è stata tamponata, non risolta, trasferendo il debito e il rischio di credito dai privati agli Stati e alle banche centrali. Naturale che il premio sul rischio di credito si sposti dai bond privati a quelli pubblici. Adesso che gli Stati più deboli vanno in crisi di credibilità, il meccanismo si ripete, trasferendo il loro debito ad altri Stati, più grandi. Ha cominciato Dubai: il suo debito è finito ad Abu Dhabi. Ora, il "salvataggio" della Grecia, trasferisce parte del suo debito ai maggiori paesi europei, già indebitati a livelli record, e al Fmi, che dipende pur sempre dagli Stati sovrani.
Indiscrezioni dal Fmi parlano di un impegno triennale per la Grecia di 100-120 miliardi: equivale a circa il 40% del suo intero debito pubblico. Così, una bella fetta del rischio Grecia finisce sulle spalle di altri Stati, Italia inclusa (se in Germania si discute di almeno 16 miliardi nel triennio, il nostro impegno sarebbe di oltre 11 miliardi). Il piano di "salvataggio", infatti, non scongiura definitivamente la possibilità di una ristrutturazione del debito greco, ma semplicemente la congela temporaneamente. Il valore del debito pubblico di uno Stato è dato dalla sua capacità di tassare i propri cittadini e di adottare le politiche richieste per garantire la solvibilità. La crisi greca è scoppiata perché i governi non apparivano più in grado di sostenere l´onere necessario per invertire la tendenza esplosiva del debito. E, razionalmente, gli investitori hanno cominciato a disertare i suoi titoli di stato; acquistati con la percezione che, grazie all´euro, fossero privi di rischi. Hedge fund e società di rating avranno pure drammatizzato la crisi, ma non l´hanno certo causata.
Il piano di "salvataggio" non riduce l´onere del risanamento per la Grecia, che dovrà comunque sostenere: le concede solo del tempo e le offre un capro espiatorio (l´Fmi) agli occhi dell´opinione pubblica. Ma se non sarà capace del rigore, o se l´aggiustamento risulterà socialmente insostenibile, il rischio di insolvenza rimane, anche se traslato sulle spalle degli altri Stati. Perché dovrebbe essere chiaro che non si sta salvando la Grecia ma, ancora una volta, banche e investitori privati che ne avevano finanziato il deficit. E anche la Bce, che ha accettato debito greco a garanzia dei propri prestiti.
Per la Grecia un´insolvenza sarebbe comunque costosa: non potendo più finanziare il disavanzo pubblico, dovrebbe contare solo su un aumento delle tasse per pagare stipendi e pensioni. Con un´eventuale svalutazione, uscendo non so come dall´euro, guadagnerebbe in competitività, ma causerebbe dissesti a catena nel settore privato, indebitato con l´estero. Ma se i costi risultassero inferiori a quelli del risanamento imposto, l´insolvenza, per la Grecia, sarebbe pur sempre il minore dei mali. Argentina docet.