Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  maggio 03 Lunedì calendario

QUEL «CUORE DEL MONDO», SIMBOLO DEL SOGNO AMERICANO

«Come si arriva a Broadway?... Vorrei andare proprio in centro», chiede Bud Koerperining in una delle battute iniziali di Manhattan Transfer ( Nuova York nella prima versione italiana), il romanzo di John Dos Passos, che rimane uno degl’inni più struggenti alla brutale grandezza della metropoli sull’Hudson. «Camminate per un isolato verso Est, svoltate per Broadway e arriverete proprio in centro, se ve la sentite di camminare», è la risposta. Dos Passos scrive quelle pagine nel 1925. Sono passati due decenni da quando l’ex Longacre Square, lo slargo all’intersezione tra Broadway e Seventh Avenue, già tenuta di campagna di John Morin Scott, generale della milizia newyorkese che aveva servito sotto George Washington, è entrata nella coscienza dell’America, ribattezzata Times Square l’8 aprile 1904 in onore del nuovo grattacielo del New York Times, voluto da Adolph S. Ochs su 42nd Street.
Tre settimane dopo, il primo cartellone pubblicitario elettrico appare sulla facciata di una banca, segnando l’avvento del genius loci, che farà di Times Square il «centro» di Broadway, di Broadway il «centro» di New York, di New York il «centro» dell’America e di questa il «centro» del mondo. Quando Dos Passos pubblica Manhattan Transfer, ci sono oltre 10 mila luci pubblicitarie nell’area compresa tra Sixth e Eight Avenue da Est a Ovest e tra West 40th e West 53th da Sud a Nord. E sebbene il messaggio dello scrittore sia in gran parte critico di una modernità dove il «centro» è pura illusione e l’America soprattutto una pubblicità, la centralità di Times Square rispetto alla Grande Mela e al sogno americano è fondamentale per coglierne il significato simbolico e iconico agli occhi di terroristi e predicatori d’odio. Trentasette milioni di persone visitano ogni anno questo cuore pulsante e caotico di Manhattan, che dal 2009 il sindaco Michael Bloomberg ha parzialmente trasformato in area pedonale, densa di negozi, alberghi, studi televisivi.
Definita il «crocevia del mondo», Times Square è la madre di tutti i quartieri teatrali, con più di 30 palcoscenici attivi nell’area. sotto il bombardamento accecante dei «jumbotrons», gli sterminati cartelloni digitali che animano le facciate dei suoi grattacieli, che ogni Capodanno 1milione di persone assiste al New Year’s Eve Ball Drop, la discesa di una sfera di cristallo e luci elettriche dal tetto dell’ex edificio del New York Times, nel frattempo ribattezzato One Times Square.
Ma poiché questa è l’America, anche Times Square si lega fisicamente ai destini del Paese: aperto sin dal 1946, visibilissimo in mezzo alla piazza, il centro di reclutamento dell’esercito Usa è ormai parte integrante del paesaggio urbano: migliaia di giovani americani vengono arruolati qui ogni anno. Specchio fedele e controverso della città di cui è cuore, Times Square ha raccontato la vita di New York anche nei suoi momenti più cupi e imbarazzanti. Scintillante negli anni Ruggenti, immortalata dai romanzi di Scott Fitzgerald, nobilitata da Irving Berlin, Fred Astaire e Charlie Chaplin, l’area implose lentamente verso una deriva criminale con l’avanzare della Grande Depressione negli Anni Trenta. Le sue mille luci diventarono rosse, luogo di celebri bordelli e bische, strade affollate di prostitute e ladruncoli. Gli anni Sessanta e Settanta le attaccarono una meritata reputazione di luogo pericoloso e da evitare.
La svolta venne sul finire degli anni Ottanta, con i piani di riqualificazione edilizia di due mayor democratici, Ed Koch e David Dinkins. Ma soprattutto con la «pulizia» ordinata dal nuovo «sceriffo in città» eletto nel 1994: fu infatti Rudy Giuliani a ridare un nuovo volto a Times Square, senza puttane, cinema porno, spogliarelli e borsaioli. Un volto sicuro e pulito, dicono i suoi ammiratori. Quello asettico e mercificato di una Disney a uso e consumo dei turisti, ribattono i detrattori. Chiunque abbia ragione, Times Square rimane il «centro» di New York, obiettivo privilegiato delle centrali del terrore.
Paolo Valentino