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 2010  maggio 03 Lunedì calendario

GLI UFFICI VUOTI DI DUBLINO E L’AUSTERITY OBBLIGATA

«L’Irlanda non è la Grecia né la Spagna. Non ci sarà contagio» – dice al piccolo gruppo di giornalisti europei il ministro delle Finanze Brian Lenihan, in un giorno di tempesta dei mercati’ e «la Bank of Ireland è la prima delle istituzioni del Paese a emergere dalla crisi bancaria», come dimostra la risposta massiccia degli investitori privati all’emissione azionaria di 500 milioni di euro come prima tappa di un programma di ricapitalizzazione che ha l’obiettivo di raccogliere 3,4 miliardi. L’ex Tigre celtica sta lavorando sodo per emergere dalla crisi che dalla crescita impetuosa partita negli Anni 90 l’ha fatta precipitare nella più buia delle recessioni. Il prodotto lordo è sceso del 12% per otto trimestri consecutivi. Il tasso di disoccupazione è salito al 13% e il rapporto deficit pubblico-prodotto lordo al 14%. Si assiste perfino a una ripresa dell’emigrazione irlandese verso Canada e Australia (un fenomeno che risveglia ricordi dolorosi) e all’espulsione degli immigrati rimasti senza lavoro verso i Paesi d’origine, come la Nigeria. In una Dublino insolitamente cupa, il 25% degli uffici è vuoto: le strade dei centri direzionali sono ininterrotte sequenze di insegne "to let", affittasi. Il primo dato incoraggiante, secondo gli osservatori, è tuttavia il prestigio e la credibilità delle due figure chiave che oggi hanno il timone: il ministro delle Finanze Brian Lenihan e il governatore della Banca centrale Patrick Honohan, in carica dallo scorso settembre. Il primo – energico e determinato malgrado il tumore al pancreas che l’ha colpito, forte di un indice di popolarità triplo rispetto a quello del premier Brian Cowen – sta mettendo in campo misure anti-deficit impopolari ma indispensabili. Una rottura con il generoso Welfare del passato. Il secondo è considerato un personaggio indipendente ed estraneo ai giochi di potere che hanno portato al collasso del mercato delle costruzioni e ai crediti facili sfascia-credito. Il governo sta preparando una Finanziaria, anzi una serie di Finanziarie da 3 miliardi l’anno, che si propongono di riportare il rapporto deficit-Pil al 3%, come previsto dal Patto di stabilità dell’ Ue. «Un obiettivo raggiungibile», dice Lenihan. E per riuscire nell’ambizioso intento taglia le spese e aumenta le tasse. Non però, assicura, la bassissima corporation tax del 12,5% sulle imprese grandi e piccole, cui si deve buona parte del merito di attrarre tante multinazionali sull’isola verde.
«Le più draconiane riduzioni di spesa – dice il numero uno dell’Ida (Industrial Development Agency, un’ agenzia pubblico-privata che appunto promuove gli investimenti esteri in Irlanda)’ saranno la riduzione del numero dei dipendenti pubblici (oggi circa 400 mila, poco meno di un decimo degli abitanti, ndr) e il taglio dei salari in una misura che a seconda dei casi varierà dall’8 al 34%». Misure eccezionali per quella che Honohan definisce «una recessione eccezionale». Da parte sua del resto la Banca d’Irlanda ha adottato misure altrettanto severe. Nella Anglo Irish Bank, l’istituto-baratro poi nazionalizzato, lo Stato ha iniettato 25 miliardi di euro. Al sistema del credito inoltre sono state somministrate due pillole amarissime. La prima è il taglio di circa la metà del valore nominale che la "bad bank" Nama (la National Asset Management Agency) ha pagato alle banche per i titoli tossici. La seconda è la crescita del capitale di riserva (core tier 1) che le banche devono avere in casa a garanzia delle perdite. Saranno efficaci? Honohan dice: «Ci vorrà tempo ma usciremo dalla crisi. La crescita degli anni scorsi, basata sulle esportazioni, sull’attrazione degli investimenti esteri e su un ottimo livello di istruzione, poggiava su basi solide».
Edoardo Segantini