Lauretta Colonnelli, Corriere della Sera 03/05/2010, 3 maggio 2010
LE STANZE DI DE CHIRICO
«Dicono che Roma sia il centro del mondo e che piazza di Spagna sia il centro di Roma, io e mia moglie, quindi, si abiterebbe nel centro del centro del mondo, quello che sarebbe il colmo in fatto di centralità ed il colmo in fatto di antieccentricità»: così Giorgio de Chirico, che aveva «sempre avuto un sacro orrore per le periferie», parla nelle Memorie (ed. Bompiani) della casa al civico 31 di piazza di Spagna, dove abitò per gli ultimi trent’anni, dal 1947 fino al 1978. Prima di trasferirsi qui aveva vissuto per un anno, con la moglie Isabella Far, in un vecchio appartamento ammobiliato in via Mario de’ Fiori «conosciuta soprattutto per il gran numero di case di tolleranza». Appartamento preso in affitto in gran fretta, per fuggire dal «signor Gualtieri di San Lazzaro che ci rendeva la vita impossibile » . Questo signore aveva ospitato i coniugi de Chirico, arrivati a Roma da sfollati, nel giugno 1944, nel suo appartamento in via Gregoriana, nel quale viveva anche lui con la moglie. Era successo che un giorno «il di San Lazzaro mi mostrò le foto di un quadro a me attribuito che egli mi disse di avere acquistato a Parigi prima della guerra. Io mi accorsi subito che si trattava di uno di quei grossolani falsi con la mia firma contraffatta che a Parigi, come in altri luoghi, si fabbricano a catena. Glielo dissi e mi accorsi subito che era rimasto molto male tanto più che il quadro gli era costato salato. Da quel giorno cominciò a condursi nei nostri riguardi in un modo veramente inaudito; non ci salutava più; a tavola, dove si mangiava insieme, emetteva al nostro indirizzo sordi grugniti, poi un bel giorno mi venne incontro con fare risoluto e cipiglio severo e mi disse che mi dava pochi giorni per cercarmi un altro alloggio». Il pittore gli rispose che non era così semplice: «Allora Gualtieri di San lazzaro fu preso da una specie di crisi di furore isterico; con la voce fessa per l’ira che lo strozzava cominciò a strillare: "Farabutto, mascalzone! Avevano ragione i surrealisti, aveva ragione Breton!", e poi, preso un battipanni che stava vicino e afferratolo dal manico con le mani che tremavano come scosse da convulsioni, pestando i piedi sul pavimento a ritmo accelerato, continuò a strillare: "Farabutto, mascalzone!"».
A via Mario de’ Fiori un giorno capitò Palma Bucarelli «direttrice della Galleria d’arte moderna, che, per antonomasia, molti chiamano il Museo degli Orrori. Ancora oggi, dopo tanti anni, vedo nella mia memoria la dottoressa Bucarelli guardare quelle mie bellissime pitture con l’espressione fredda, distante e disgustata, simile all’espressione che avrebbe una cuoca d’alto bordo, quelle che i francesi chiamano cordons-bleu, recatasi a far la spesa per un pranzo molto importante e che stesse guardando davanti ad una bancarella alcune rape mezzo marce e bacate». Nel 1947, qualcuno lo avverte che al 31 di piazza di Spagna c’è la possibilità di affittare due piani, il quarto e il quinto. De Chirico si precipitò a vedere l’appartamento, gli piacque e decise di bloccarlo facendovi subito portare il suo letto. «Ci pioveva persino dentro, prima di abitarci definitivamente ci toccò far riparare le camere e per circa tre mesi fu un continuo va’ e vieni di muratori, di stuccatori, di imbianchini, di verniciatori, ecc. Inoltre ci toccò far procedere a una disinfestazione totale dei vani poiché erano pieni di scarafaggi d’ogni grandezza e d’ogni colore».
Nel 1998, la Fondazione voluta dal Maestro e dalla moglie Isabella Far ha aperto le porte al pubblico di questa casa in cui, pur trasformata in museo, non è stato spostato neppure un cuscino dai tempi in cui era abitata dalla coppia. Sul carrello della stanza da pranzo c’è perfino la bottiglia mezza vuota dell’aperitivo preferito dall’artista, che tutti i giorni ne ordinava un bicchiere, insieme a due tramezzini, anche al Caffè Greco, dove scendeva a pranzare. Qui arrivano circa tremila visitatori all’anno ma il numero tende a crescere, come racconta Paolo Picozza, già avvocato dei de Chirico e oggi presidente della Fondazione.
Dopo una visita al Palaexpò, dove è in corso «La natura secondo de Chirico», si può continuare il percorso tra le sue opere facendo un salto nell’abitazione a piazza di Spagna. L’importante è prenotare, telefonando al numero 06.6796546, perché le visite sono guidate e i gruppi non possono superare le otto persone (biglietto intero 7 euro). La deviazione vale la pena, perché la sessantina di quadri conservati qui offrono la possibilità di una visione d’insieme del suo percorso artistico. De Chirico aveva collocato le opere secondo un criterio cronologico: nel salone d’ingresso, dove c’è ancora la poltrona preferita sulla quale riposava la sera guardando la tv senza audio, sono appese le tele degli anni Quaranta e Cinquanta, con alcuni dei suoi celebri d’après dai grandi maestri, tra i quali una veduta veneziana da Canaletto e «Le tre Grazie» da Rubens. Poi incontriamo la moglie Isa, immortalata nuda nelle «Bagnanti», avvolta in un mantello di leopardo, oppure vestita di rosa e nero. Nella sala da pranzo le pareti sono illuminate dalle sue «vite silenti», come il pittore chiamava le nature morte. Nell’ultima sala, con due curiosi caminetti che si fronteggiano sono conservati i quadri neometafisici dell’ultimo periodo e la serie di sculture in bronzo con soggetti mitici. Al piano di sopra, le camere: sontuosa quella di Isa, monacale la stanzetta dove de Chirico dormiva da solo a causa della brutta abitudine di fumare il sigaro a letto. E l’atelier, con la copia incompiuta del Tondo Doni di Michelangelo ancora sul cavalletto, il camice grigio poggiato sulla sedia, chiusa la terrazza. «Dalla terrazza del mio studio - racconta nelle Memorie - vedo spesso splendidi spettacoli celesti, cieli tersi e cieli caliginosi, tramonti infuocati, notti di luna ed effetti notturni con le nubi cerchiate di giallo pallido, come in certe marine di maestri olandesi e fiamminghi. Io sono sempre pronto con matita e colori per notare rapidamente questi spettacoli della natura e tali annotazioni mi servono in seguito per l’esecuzione dei miei quadri».
Lauretta Colonnelli