Francesco Borgonovo, Libero 3/5/2010, 3 maggio 2010
IL PRIMO MAGGIO TRADITO CANZONE ANTI-POLIZIOTTI
Ascoltare il cantautore Simone Cristicchi prendersela con la polizia durante il concerto del primo maggio è come vedere sfilare per il 25 aprile l’associazione dei partigiani con un presidente di vent’anni: una caricatura.
Le feste simbolo della sinistra ormai sono tutte uguali, contano su un corredo ideologico sempre identico a se stesso e ripetibile in ogni occasione. Che si tratti della liberazione, della festa dei lavoratori o di un corteo dei centri sociali si trovano le consuete magliette del Che, i medesimi slogan, il richiamo al fascismo permanente e all’antiberlusconismo. Segno che di legami con la realtà non se ne trovano nemmeno a impegnarsi.
Sentire Cristicchi aizzare la folla cantando ”Genova Brucia”, brano sul G8 nel quale fa parlare una gente della Celere («Sono autorizzato dallo Stato/ eseguire gli ordini non è mica reato e quindi/ Genova brucia/ non faccio distinzioni donne, vecchi o bambini/potrebbe essere tuo figlio Carlo Giuliani») fa venire in mente l’antica polemica di Pasolini. PPP difendeva i poliziotti dagli attacchi degli studenti di sinistra, poiché i primi erano lavoratori proletari gli altri invece figli di papà. Vuol dire che i progressisti non si sono mai mossi da lì, da una discussione di trent’anni fa per altro mai compresa fino in fondo. Cristicchi è uno che voleva prendere in giro Biagio Antonacci e ha fatto successo grazie a un paio di canzonette tormentose, buone per il juke box sulla spiaggia di Riccione.
Quanto è triste, compagni, applaudire uno che non trova di meglio per farsi notare che parlar male di Carla Bruni a Sanremo. Quanto è ridicolo Samuele Bersani che si duole di aver scritto il brano ”Freaks” e il celebre verso «Ciao ciao belle tettine/ Scusami se parlo male / lo sai che io non sono fine» perché viene utilizzato come colonna sonora dei ser-
vizi di Studio Aperto. Sul palco di piazza San Giovanni c’è pure Claudio Lolli, tolto dal congelatore per l’occasione, che parla del Vietnam e del primo maggio 1965, giorno della ”vittoria” dei poveri asiatici contro i cattivi statunitensi. Non è una festa politica, ma una fiera della risata. Finanziata, come ha spiegato il Sole 24 Ore giorni fa, da banche, imprese, assicurazioni. E mandata in diretta tivù sulla Rai. Avrebbe più senso, a questo punto, chiamare Vasco Rossi e Ligabue e farsi rimpire le tasche dagli sponsor: chiamatela festa dell’Unità e non ci pensiamo più. I lavoratori festeggeranno in altra, più adeguata, occasione.
Perché oggi i lavoratori in difficoltà sono gli imprenditori delle piccole e medie imprese che faticano a superare la crisi, i commercianti in difficoltà, categorie le quali nulla hanno a che vedere con gli studenti intenti a ballare in piazza professandosi comunisti (salvo poi infilarsi l’Ipod e tornare a casa da papà). Categorie che votano il centrodestra, la Lega, non guardano il Pd nemmeno col binocolo e non si fidano troppo del sindacato. Figuriamoci che ne pensano di Lolli e dei suoi zingari felici. I lavoratori, oggi, chiedono riforme, meno tasse, liberalizzazioni. Ma al concerto del primo maggio ci sono orchestrali che protestano per il decreto del ministro Bondi per la riforma delle fondazioni liricosinfoniche. Enti che perdono decine di milioni di euro ogni anno e sfigurano di fronte ai loro omologhi stranieri.
Nel frattempo, la sinistra sta ad ascoltare Cristicchi, Lolli e Bersani (Pier Luigi o Samuele cambia poco). Più che concertone, quello di Roma è stato un requiem.