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 2010  aprile 30 Venerdì calendario

LE DUE MARCE DI EUROLANDIA

Il crepaccio si amplia. Giorno dopo giorno. La crisi greca ha mostrato a tutti come Eurolandia si muova a due velocità, quanto faccia fatica, ora, a restare unita. Il patto originario, quello che impediva a ciascun paese di danneggiare gli altri con politiche di
"beggar-thy-neighbour" e li obbligava a competere con la produttività, sembra infatti rotto: le economie deboli non possono usare più le svalutazioni competitive del cambio, ma non sono riuscite a tenere il passo della Germania che cresce grazie all’export, come se avesse adottato una politica neomercantilista, in stile cinese, a svantaggio dei partner.
Le polemiche si infiammano, ogni paese incolpa l’altro. Il fatto è che Eurolandia è divisa tra paesi che esportano - la Germania, ma anche l’Olanda, l’Austria, il Belgio, la Finlandia - e paesi che importano - la Grecia, la Spagna, il Portogallo, l’Irlanda e ormai anche l’Italia - con la Francia in precario equilibrio. quasi una versione continentale del "grande squilibrio" tra Cina e Usa; ma qui qualcuno ha voluto vivere al di sopra dei propri mezzi (sfruttando i tassi bassi della Bce) e qualcun altro non si è assunto le responsabilità della sua leadership.
Non è quindi un caso che i paesi meno " fortunati" all’estero siano anche quelli con deficit e debiti pubblici generosi. E i mercati, che amano anticipare i tempi, questa volta sembrano anche saper distinguere tra stadi diversi di difficoltà finanziaria. «Per la Grecia e il Portogallo - conferma infatti un’analisi di Cinzia Alcidi e Daniel Gros, del Ceps, sul sito Voxeu.info- il problema è l’insolvenza, per la Spagna e l’Irlanda la mancanza di liquidità, e l’Italia sembra diversa da questi sottogruppi perché ha un maggior tasso di risparmio di Spagna e Irlanda e i suoi squilibri con l’estero sono più piccoli». Sarebbe sbagliato, quindi, dare ogni responsabilità agli investitori. Anche perché lo scenario resterebbe difficile anche senza turbolenze finanziarie. «Eurolandia è in ripresa, ma è in gran parte guidata dalla Germania, trainata dalle esportazioni: verso l’Europa ma anche verso l’Asia, la Cina, gli Stati Uniti, il Medio Oriente. La mia preoccupazione - spiega Rebecca Patterson, global forex strategist per JPMorgan - è che tra qualche mese la Germania potrebbe aver bisogno di tassi più alti. Altri paesi di tassi più bassi. Cosa farà allora la Bce? Credo che si discuterà ancora della credibilità e della sostenibilità della Uem. una situazione che mi ricorda molto la crisi dello Sme nel ’92».
 su questa faglia che insiste la vicenda greca. Come farà Atenea rilanciare la crescita e a ridurre il debito senza poter svalutare? Semplificando i conti al minimo, Alcidi e Gros calcolano che l’impatto del risanamento fiscale greco sul suo Pil potrà essere pari a un insostenibile 25%. Emergono allora scenari estremi, ma ormai apertamente discussi. «La rottura dell’Unione monetaria - dice Marco Annunziata, capo economista di Unicredit - sembra diventare un’implicazione logica diretta, ma l’analisi costi-benefici rende improbabile l’uscita di un paese debole da Eurolandia». La possibilità di usare la leva del cambio sarebbe "pagata" con la perdita «della stabilità finanziaria, ma anche di una rete di sicurezza: la Grecia è oggi un problema di tutti», aggiunge.
Analogamente, se fosse la Germania a uscire dalla Uem si ritroverebbe, tra l’altro, con un marco più alto, poco conveniente. «Se però il prezzo da pagare - spiega Annunziata - fossero piani di salvataggio a ripetizione e soprattutto se la Bce fosse costretta ad acquistare titoli di stato monetizzando i deficit fiscali, Berlino sarebbe terrorizzata, e la sua uscita quasi automatica». uno scenario "da contagio finanziario", «estremamente improbabile ».
Non va inoltre dimenticato un altro aspetto. «C’è un rischio economico di divisione della Uem tra un centro e una periferia, maè improbabile per ragioni politiche », aggiunge Patterson: «Significherebbe ammettere che gli sforzi di una generazione sono stati un fallimento; e i costi sarebbero molto alti. I politici cercheranno altre soluzioni».
L’alternativa sembra infatti netta: «Ora o si va avanti o indietro» dice Annunziata che propone più integrazione politica, un diverso assetto istituzionale - compreso un nuovo Patto di stabilità - e soprattutto riforme strutturali per rilanciare la crescita: «Alla fine il problema della competitività non è solo di costi ma anche di specializzazione dei prodotti. Riguarda la tecnologia,l’università, la ricerca. Se si pretende di continuare, insomma, a produrre le stesse cose dei paesi emergenti, non c’è svalutazione che possa aiutare».