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 2010  maggio 03 Lunedì calendario

APPUNTI MAREA NERA DEL 5/5/2010


MASSIMO GAGGI del Corriere della Sera
VENICE (Louisiana) – Sfidando una tempesta di vento e pioggia che più a nord, in Tennessee, ha già fatto diversi morti, Barack Obama è sceso ieri qui, sulle coste della Louisiana, per incontrare i pescatori e mostrare che la Casa Bianca non sottovaluta quella che secondo molti potrebbe diventare la più grave catastrofe ecologica della storia americana. La macchia alimentata dal petrolio che fuoriesce dal pozzo della Bp a un chilometro e mezzo di profondità continua ad allargarsi, ma è anche molto frastagliata e leggera. Per ora non ha raggiunto le coste della Louisiana e i venti potrebbero spingerla verso nord-est, in direzione del Missouri e dell’Alabama. Di ieri la decisione di vietare la pesca per almeno dieci giorni in tutto il Golfo del Messico.
La gente qui spera ancora in un miracolo, ma il comandante della Guardia Costiera, Thad Allen, appena nominato da Obama «National Incident Commander» non alimenta illusioni: «L’area colpita è enorme, nessuno sa ancora come bloccare la fuoriuscita. verosimile che, prima o poi, il petrolio arrivi sulla costa». Il presidente di Bp America, Lamar McKay, ha detto ieri che «saranno necessari 6-8 giorni perché sia attiva la cupola di contenimento». Ma il ministro dell’Interno Ken Salazar, responsabile anche per l’Ambiente, spiega che saranno necessari «fino a tre mesi per chiudere la falla».
Obama è venuto tra i pescatori e la selva delle parabole delle emittenti televisive radunati a Venice, sul molo usato dalla Coast Guard, per mostrare che il governo non se ne sta con le mani in mano. Una gesto di solidarietà, ma anche una mossa politica per cercare di togliere forza agli attacchi degli «anchor» delle reti televisive conservatrici e di leader repubblicani come Mike Huckabee, secondo i quali, in termini d’immagine, l’onda nera del Golfo costerà al presidente quanto l’uragano Katrina costò a George Bush. Solo che allora morirono quasi duemila persone e l’inazione del governo bloccò per giorni centinaia di persone sui tetti delle case invase dall’acqua, mentre stavolta, a parte gli undici operai periti nell’incendio della piattaforma, fin qui si è visto solo un uccello incatramato. Un’altra accusa che comincia a trovare credito tra i pescatori di Venice è che Washington è stata assai lesta a intervenire dopo il terremoto di Haiti, mentre stavolta se la prende comoda. questa sensazione che Obama intende spazzare via venendo qui. Il presidente ha cercato di rassicurare le popolazioni delle aree che potrebbero essere colpite: «Il governo non vi abbandona». Ma per ora il braccio federale che opera qui’ la Guardia Costiera’ può solo cercare di ridurre i danni con la disposizione delle barriere protettive di gomma. La speranza di sigillare la tubatura sommersa che continua a vomitare petrolio è legata al lavoro di ingegneri e scienziati impegnati nel quartier generale della Bp a Houston. Un’altra «mission impossible» per la città texana che spinge i giornali Usa a suggestivi paralleli col celebre «Houston, we have a problem» della missione dell’Apollo 13. Allora, anno 1972, un guasto inspiegabile rischiò di uccidere gli astronauti della navicella in orbita attorno alla Luna. Anche stavolta c’è stato un guasto inspiegabile’ non sulla Luna ma nelle profondità marine’ alla valvola di sicurezza che avrebbe dovuto chiudere il flusso di greggio dopo l’incidente. E gli esperti stanno cercando di risolvere il problema a distanza. Per ora senza successo: i solventi chimici hanno funzionato solo in parte. La perforazione di un altro pozzo per ridurre la pressione di quello spezzato non è ancora iniziata a causa delle pessime condizioni del mare. La speranza ora è quella di riuscire a «incappucciare» il tubo rotto.

ALBERTO FLORES D´ARCAIS

dal nostro inviato
VENICE - «Potenzialmente è un disastro ambientale senza precedenti». Con indosso un giaccone nero bagnato dalla pioggia battente, il presidente Obama ha spiegato come la Casa Bianca intende affrontare la grave crisi provocata dalla marea nera di greggio. «La Bp è la responsabile, la Bp pagherà i danni. Ma come presidente degli Stati Uniti vi assicuro che faremo tutto il possibile. Sin dal primo giorno eravamo preparati al peggio e abbiamo reagito con decisione e la mia squadra che vedete qui non si riposerà fino a quando la perdita non sarà neutralizzata. La marea nera è a circa nove miglia dalla costa della Louisiana, per tutta l´area colpita ci saranno risarcimenti».
Il presidente americano ha passato circa un´ora nella sede della guardia costiera di Venice, parlando con l´ammiraglio Thad Allen e con il governatore della Louisiana Jindal.
Obama è arrivato alle 2,20 del pomeriggio, in ritardo perché il maltempo ha bloccato l´elicottero che doveva portarlo qui da New Orleans. Così ha dovuto ripiegare sulla limousine presidenziale e un viaggio in auto di quasi due ore, durante il quale si è tenuto costantemente informato (parlando al telefono con il sindaco Bloomberg) della situazione di New York. Per un curioso segno del destino il quartier generale della Guardia Costiera dove il presidente americano ha sostato nella sua visita lampo a Venice è proprio accanto ai cantieri dell´Hulliburton una delle tre società coinvolte (insieme a British Petroleum e Transocean) nel disastro ambientale provocato dalla piattaforma petrolifera affondata.
«La situazione è grave», aveva anticipato la Casa Bianca attraverso il portavoce Robert Gibbs parlando con i giornalisti del "pool" durante il volo verso New Orleans, «il presidente ha ritenuto che era importante venire qui il prima possibile e nel modo più veloce». Lungo la strada un paio di striscioni («Benvenuto presidente Obama, grazie per essere qui»). Dopo gli incontri al quartier generale della guardia costiera Obama si è recato in una scuola di Boothville, a pochi chilometri di distanza, dove ha incontrato una delegazione di pescatori e di allevatori d´ostriche.
Il governo americano ha deciso di bloccare, per almeno dieci giorni, la pesca sia commerciale che sportiva, nelle acque federali colpite dalla marea nera, dal delta del Mississippi in Louisiana fino alla baia di Pensacola in Florida. «Una scelta doverosa, che ha tenuto conto dei problemi economici ma anche di quelli della salute», ha spiegato Jane Lubchenko, portavoce della National Oceanic and Atmospheric Administration (Noaa), l´organismo americano che sovrintende alle attività di pesca nelle acque americane: «Abbiamo chiuso alla pesca solo l´area effettivamente colpita dal greggio. Il pesce attualmente sul mercato è tutto a posto, non ci sono rischi per la salute».
Le difficili condizioni atmosferiche, un forte vento e il mare mosso, continuano ad ostacolare le attività delle squadre di soccorso impegnate in mare per tentare di arginare la grande marea nera. «Ci vorranno almeno tre mesi per chiudere tutte le falle», ha dichiarato il ministro dell´Interno Mike Salazar, «il nostro lavoro è tenere il fiato sul collo della Bp perché si assuma le proprie responsabilità di fronte alla legge e ai contratti firmati».
Nessuno è in grado di dire quante migliaia di barili fuoriescono dalla piattaforma e nessuno crede più alle cifre ufficiali fornite dalla Bp che parlano ancora di cinquemila barili al giorno. Per l´ammiraglio Thad Allen che guida l´unità di crisi «se l´estremità del pozzo dovesse cedere si potrebbero superare i 16 milioni di litri al giorno».
Oltre ad essere un disastro ambientale epocale la marea nera del Golfo rischia di essere per Obama un disastro politico, proprio come l´uragano Katrina segnò nel 2005 l´inizio della decadenza per la presidenza Bush. Janet Napolitano, segretario alla Homeland Security, si è affrettata a dire che ogni paragone tra la situazione di oggi e Katrina è «totalmente fuori luogo, il governo ha preso tutte le misure appropriate».


RAMPINI
dal nostro corrispondente
new york - «Hanno messo un cerotto per proteggere le nostre coste», protesta un leader dei pescatori della Louisiana, Micke Frenette. «La Bp pagherà», dice Barack Obama. «Gli staremo col fiato sul collo», annuncia il suo ministro dell´Interno Ken Salazar. «Sono loro i responsabili e non stanno facendo abbastanza», rincara la scienziata Jane Lubchenco della Us Oceanic Administration. L´America è indignata dal comportamento della Bp, il colosso petrolifero che sfrutta la piattaforma marina all´origine del disastro. Le accuse sono gravi. La multinazionale britannica sottovalutò inizialmente la portata dell´incidente, fece perdere dieci giorni cruciali al governo Obama prima di attivare il suo intervento. L´atteggiamento del petroliere è tuttora equivoco. Mentre i suoi vertici promettono che pagheranno «le indennità legittime» da chi subisce i danni della marea nera, precisano che "«l´incidente non è della Bp» perché la piattaforma era in gestione alle società Transoceanic e Halliburton.
Anche sulle operazioni di soccorso attuali, ad oltre 10 giorni dall´incidente, monta la protesta. La Bp ha promesso di avvalersi di tutte le risorse disponibili, compreso l´ingaggio delle flotte di pescherecci locali per dispiegare attorno alla chiazza le reti di galleggianti. Ma Micke Frenette e altri pescatori della Louisiana rivelano che «il numero di telefono pubblicizzato dalla Bp non esiste o non funziona, non c´è nessuno che ci risponde».
Il presidente di Bp-America, Lamar McKay, sembra vantarsi delle prodezze tecniche della compagnia, parla di «operazione di chirurgia a cuore aperto, a 5.000 piedi di profondità», quando descrive in tv l´intervento di robot sottomarini all´origine della fuga. E promette che entro sei-otto giorni saranno pronte tre «cupole di contenimento» che saranno depositate sopra alle falle, in modo da contenere il petrolio. Governo, ambientalisti e pescatori danno una versione diversa. Rivelano che fino a ieri l´unico intervento erano le barriere di galleggianti: «Un cerotto, una misura del tutto inefficace». Il mare mosso le rende inutili perché il petrolio trasportato dai flutti "salta" oltre la barriera mobile. Tra gli altri particolari sconcertanti, si è scoperto che la Bp non ha neppure un´assicurazione esterna, la ragione per cui in Borsa ha perso il 12% dall´inizio della catastrofe. Il Congresso di Washington ha deciso di aprire un´indagine immediata sulle tre aziende private coinvolte, Bp Transoceanic e Halliburton. E sul colosso inglese pesa l´ombra di un precedente sinistro: nel 2005 fu protagonista di un altro incidente drammatico, l´esplosione di una sua raffineria a Texas City macchiò già allora la reputazione della Bp in fatto di sicurezza.
L´Amministrazione Obama si sente tradita. Il presidente aveva appena dato il suo via libera (poi revocato) alla trivellazione al largo di Louisiana e Florida, cedendo alle furiose pressioni della lobby petrolifera. Ora scopre che proprio uno dei colossi del settore ha agito con leggerezza e incompetenza, mostrandosi del tutto impreparato al disastro. Janet Napolitano, alla testa del super-ministero della sicurezza nazionale, ha attaccato la Bp chiedendo «un aumento della mobilitazione di risorse». La Napolitano non perdona alla multinazionale di aver fornito informazioni parziali e distorte a partire da quel tragico 22 aprile: all´inizio la società disse che il petrolio disperso in mare era solo un piccolo residuo dell´esplosione e che non avrebbe mai raggiunto le coste.
In base alla legge americana, approvata dopo il disastro di Exxon Valdez nel 1989, la prima responsabilità d´intervento in un incidente simile spetta alla compagnia petrolifera. Il governo è tenuto ad attivarsi solo in un ruolo di supplenza se i mezzi privati risultano insufficienti (e comunque presenta il conto finale all´operatore privato). Questa legge fu varata proprio per garantire che i petrolieri prendessero sul serio le proprie responsabilità nei disastri da loro provocati. Oggi gli ambientalisti la giudicano un fallimento. «E´ chiaro che non funziona - dice Tyson Slocum del Public Citizen´s Energy Program - perché il soggetto che deve guidare gli sforzi per risolvere la crisi è lo stesso che ha causato il danno». Secondo gli ambientalisti è irresistibile per i petrolieri la tentazione di minimizzare, dissimulare: proprio quello che sarebbe accaduto al largo della Louisiana nelle prime giornate dopo l´incidente. Ancora ieri la Bp continuava a dare versioni vaghe sulla dinamica originaria della fuoriuscita di petrolio. «Penso che sia stata dovuta a un difetto dell´impianto - ha detto il presidente McKay - ma ancora non sappiamo esattamente la natura del guasto». Secondo l´interpretazione più malevola stanno aspettando consigli dai propri legali. Invece secondo Acy Cooper, uno dei leader dei pescatori, è pura incompetenza: «Non sanno di cosa stanno parlando».





Maurizio Ricci
Altro che "Exxon Valdez", la petroliera arenatasi in Alaska vent´anni fa, che costò al gigante petrolifero almeno 7 miliardi di dollari. Il conto della marea nera del Golfo del Messico sarà probabilmente molto più alto: alcune decine di miliardi di dollari. E, secondo le previsioni più pessimiste ed allarmiste, potrebbe arrivare ad un ordine di grandezza non lontano da quello di Katrina: 100-150 miliardi di dollari contro i 200 miliardi dell´uragano che devastò New Orleans. Tutto dipende dai parametri fondamentali per valutare il costo della tragedia della "Deepwater Horizon". Sono tre. Primo: il numero di barili che il pozzo, ogni giorno, continua a riversare in mare. Secondo: il numero di giorni che passano prima che il flusso possa essere arrestato. Terzo: il danno medio provocato da ogni singolo barile. Su nessuno di questi parametri esistono, oggi, certezze e il conto finale, probabilmente, sarà chiaro solo fra qualche anno.
La "Exxon Valdez", nel 1979, riversò sulle coste dell´Alaska 250 mila barili di greggio. La Exxon spese 2,5 miliardi di dollari per ripulire le spiagge, a cui vanno aggiunti 1,1 miliardi di risarcimenti. Compresa la multa inflitta dal governo americano, l´incidente costò direttamente alla più grande multinazionale del mondo circa 7 miliardi di dollari. Su questa base, i primi calcoli sul costo per la Bp (che, insieme ai suoi partner, in base alla legge americana, è legalmente responsabile dei danni) parlano di 12,5 miliardi di dollari. Si tratta, però, di previsioni minime.
Secondo uno studio compiuto nel 2000, solo ripulire dal greggio 500 chilometri di costa (quanti ne corrono da New Orleans a Pensacola, in Florida) costava mediamente 52 mila dollari per tonnellata di petrolio. Secondo le indicazioni ufficiali, oggi, dal pozzo della Deepwater Horizon sgorgano 5 mila barili, cioè 680 tonnellate di greggio al giorno. Speranze che il flusso si fermi da solo non ce ne sono: il giacimento contiene diversi milioni di barili e la Bp si preparava, infatti, nei giorni dell´incidente, ad annunciare l´importante scoperta. Se non sarà possibile tamponarlo prima di almeno 90 giorni, come si sta facendo capire, ripulire le oltre 60 mila tonnellate di petrolio sgorgate nel frattempo costerà, ai prezzi 2010, un po´ più di 4 miliardi di dollari.
Questo, comunque, è un costo medio. In Alaska, ad esempio, la Exxon fu, in qualche modo, fortunata. Il luogo da raggiungere era remoto, avvicinabile solo via nave od elicottero, ma si trattava di spiagge e scogliere. La marea del Golfo si abbatte su una costa ricca di paludi e acquitrini (i famosi "bayous" della Louisiana), assai più difficili da ripulire. Inoltre, quello della Valdez fu un enorme disastro ambientale, le cui vittime, però, furono, in sostanza, foche e uccelli. Qui, ci sono in ballo delle persone e corposi interessi commerciali. L´industria della pesca della Louisiana ha un fatturato annuo di 2,4 miliardi di dollari, quella del turismo di 20. Se anche prendiamo, per comodità, come punto di riferimento il costo diretto sostenuto dalla Exxon (7 miliardi di dollari per 35 mila tonnellate) si arriva già a 200 mila dollari per tonnellata. Due studiosi italiani - Ugo Bilardo e Giuseppe Mureddu - hanno, tuttavia sostenuto, in un volume pubblicato nel 2005 dall´Unione petrolifera, che il costo, tenuto conto delle voci indirette e nascoste (produzione perduta, crollo delle quotazioni azionarie) fu per la Exxon di 10 miliardi di dollari, equivalenti a 285 mila dollari per tonnellata di greggio.
Sulla base di questi parametri, il conto per la Bp diventa molto più alto, drammatico anche per un gigante che, nel 2009, ha avuto un fatturato di 327 miliardi di dollari. A 200-285 mila dollari a tonnellata, il costo complessivo arriva, infatti, a 25-30 miliardi di dollari. Eppure, anche questa è una previsione ottimistica. La cifra di 5 mila barili al giorno è, infatti, ammette anche la Bp, puramente indicativa. Secondo John Amos - l´esperto che, attraverso le mappe satellitari, ha costretto le autorità ad alzare la prima valutazione di mille barili al giorno fino a 5 mila - è «la più ottimistica possibile». Amos pensa che siano almeno 20 mila. Ian McDonald, dell´università della Florida, pensa che siano 25 mila barili al giorno. Se, veramente, dal pozzo sgorgano non 680, ma un fiume di 2-3 mila tonnellate al giorno, il costo della tragedia schizza verso livelli impensabili: 100-150 miliardi di dollari, non lontano dai danni di Katrina. E sempre che si riesca a tamponare il flusso entro 90 giorni.
Pagherà tutto la Bp che, nel caso specifico, non risulta neanche essersi coperta con una polizza di assicurazione? Lo vedremo, probabilmente, al termine di estenuanti battaglie legali. Di sicuro, al quartier generale della multinazionale, qualcuno deve essersi amaramente pentito di aver dato, al pozzo destinato a finire fuori controllo, il nome di Macondo, il mitico villaggio dei "Cento anni di solitudine" di Gabriel Garcia Marquez, dove i sogni vanno in fumo.