Oscar Giannino, il Messaggero, 3/5/2010, 3 maggio 2010
ERA senza alternative, il varo della terza versione degli aiuti Grecia in due mesi, dopo che il mercato aveva travolto come non credibili le prime due promesse
ERA senza alternative, il varo della terza versione degli aiuti Grecia in due mesi, dopo che il mercato aveva travolto come non credibili le prime due promesse. Gli effetti del ritardo stanno nelle cifre. Dai 30 miliardi iniziali e dai 45 successivi, siamo arrivati a 110 miliardi di euro, 80 dall’Europa e 30 dal Fondo Monetario Internazionale. Basterà? Pare improbabile. Come Martin Feldstein, Luigi Zingales e diversi altri, penso che in ogni caso sarà necessaria una forma di ”soft default”, cioè una ridefinizione delle scadenze del debito greco, auspicabilmente su base volontaria e sotto l’egida del FMI. Ciò porterà a perdite dei creditori, a cominciare dalle banche greche ovviamente, e poi di quelle tedesche e francesi. Se mancherà tale ristrutturazione, e tutto sarà affidato al taglio di 10 punti di pil di deficit pubblico greco entro il 2014, l’effetto sarà di una decrescita del Pil ellenico di 4 o 5 punti per effetto dei tagli draconiani al bilancio pubblico decisi ieri e attuati tutti in un colpo, e per diversi anni avrà comunque l’effetto di accrescerne il debito pubblico sul Pil. Che cosa insegna la crisi greca? Che i tedeschi si sono definitivamente liberati da ogni complesso di colpa del secondo conflitto mondiale. E’ meglio tenerlo presente, sempre che non fosse già chiaro in precedenza, dopo un anno e mezzo di rifiuto germanico a ogni risposta europea – condivisa e cofinanziata – alla crisi. L’Europa politica – quella con un fisco comune e politiche condivise, non semplicemente coordinate alla meglio – non c’è. I vincoli costituzionali posti in Germania dalla Corte di Karlsruhe a ogni strumento europeo che viva di finanza propria – per esempio un eurodebito condiviso tramite Union bonds – sono ostativi a un’idea di Europa politica. Per la stessa ragione, l’euroarea resta priva di uno strumento automatico di ristrutturazione condizionata dei membri a rischio, cioè di un Fondo Monetario europeo. Ai tedeschi non piace perché non passerebbe per i Parlamenti nazionali. E resta priva anche di procedure definite ex ante di ristrutturazione del debito, di grandi banche come di Paesi membri. Ciò significa che l’euro è più che mai uno scudo per i virtuosi, ma una gabbia pericolosa per Paesi con squilibri storici e dovuti a politiche sbagliate. Se fino a ieri era chiaro ma fino a un certo punto che la virtù doveva esercitarsi nei conti pubblici – in realtà quando i parametri di deficit sono stati superati da Germania e Francia, essi non accettarono la procedura d’infrazione – da oggi è chiarissimo che la virtù deve anche esercitarsi nel non pagare salari troppo generosi ai propri lavoratori. Chi segue quella strada perde ulteriormente competitività rispetto alla Germania, indebolisce la propria bilancia commerciale, peggiora il proprio deficit nelle partite correnti della bilancia dei pagamenti. Non lo avevano affatto capito Grecia, Portogallo, Spagna e Irlanda, Paesi che hanno tra loro problemi e forza in realtà molto diversa, ma che tutti hanno seguito la via di un’impetuosa crescita anche grazie all’euro, a forte componente anche di rafforzamento salariale. E’ una lunga Quaresima, quella imposta dall’euro com’è oggi a ciascun Paese non abbia introiettato nei suoi conti pubblici e privati e nei comportamenti delle sue classi dirigenti e sindacali la vera ”lezione tedesca”squadernata oggi con inesorabile coerenza. L’Italia è fuori dall’avello più infuocato perché ha toccato prima di altri l’incandescenza del rischio. Ma politica e sindacati italiani devono avere la consapevolezza dei tempi di ferro che ci aspettano,e delle riforme d’acciaio che occorrerebbero per far scendere il debito pubblico con meno spesa pubblica e meno tasse, con più produttività e più rigore salariale, legando le retribuzioni alla produttività invece che all’egualitarismo di cui il nostro Paese resta impregnato.