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 2010  marzo 29 Lunedì calendario

Anno VII - Trecentoquindicesima settimanaDal 22 al 29 marzo 2010 ATTENZIONE 4 VERSIONI PER VIA DELLE REGIONALIRussia Due kamikaze – probabilmente donne – si sono fatte saltare in aria, lunedì, tra le otto e le otto e mezzo del mattino, nel metro di Mosca, affollatissimo in quel momento, provocando una cinquantina di morti almeno e decine di feriti

Anno VII - Trecentoquindicesima settimana
Dal 22 al 29 marzo 2010
ATTENZIONE 4 VERSIONI PER VIA DELLE REGIONALI

Russia Due kamikaze – probabilmente donne – si sono fatte saltare in aria, lunedì, tra le otto e le otto e mezzo del mattino, nel metro di Mosca, affollatissimo in quel momento, provocando una cinquantina di morti almeno e decine di feriti. Le stazioni prese di mira sono la Lubyanka e la Park Kultury. Nella stazione di Prospekt Mira è stata poi trovata una bomba non ancora esplosa. La rivendicazione di un movimento separatista ceceno, arrivata poco dopo gli attentati a un sito caucasico, deve ancora essere valutata. Non si deve credere che il terrorismo possa mettere in crisi il duo Medvedev-Putin. Manifestazioni e cortei convocati lo scorso 20 marzo per protestare contro il regime non raccolsero – dal Pacifico al Baltico – più di dodicimila persone. I sondaggi dànno il gradimento per l’attuale leadership intorno al 65-70%, cioè molto alto. Medvedev e Putin interpretano abilmente i due ruoli che ci vogliono per raccogliere il massimo dei consensi: Medvedev, presidente, fa la parte del liberale che critica la corruzione russa e reclama il cambiamento. Putin sollecita i sentimenti nazionalistici del popolo, che vive soprattutto di soldi pubblici. I due, alle prossime elezioni, si scambieranno semplicemente di ruolo, Putin tornando alla presidenza e Medvedev, come primo ministro, al governo.

Benedetto XVI Il New York Times ha messo sotto accusa il Papa, sostenendo che negli anni Sessanta si astenne dal licenziare un prete pedofilo del Wisconsin. Due studi legali che rappresentano vittime dei preti-pedofili hanno convinto i tribunali dell’Oregon e del Kentucky a chiedere la chiamata in causa del Vaticano. Gli avvocati del Pontefice hanno presentato ricorso alla Corte suprema, affermando che, come stato estero, godono di immunità. Uno dei due studi legali sostiene che Roma è responsabile perché tutti i preti del mondo dipendono in definitiva dalla Santa Sede. Benedetto XVI ha alluso alla vicenda nel discorso all’Angelus di domenica scorsa: «Dio, dàcci il coraggio che non si lascia intimidire dal chiacchiericcio delle opinioni dominanti…». Benedetto fa capire che anche questa è una prova a cui Dio chiama la Chiesa. E in questo senso si tratta di una grazia, dato che «le grazie non sono sempre doni lieti di cui compiacerci» (Tonini). La Chiesa cattolica austriaca ha affidato all’ex governatrice regionale Waltraud Klasnic il compito di guidare una commissione – di cui non farà parte nessun ecclesiastico – che indaghi sugli eventuali abusi sessuali del clero e fissi l’entità dei risarcimenti. La Svizzera sta discutendo sull’opportunità di creare un registro con i nomi di tutti i preti pedofili, in modo da impedire, in futuro, ogni contatto di costoro con i bambini.

Generali Il capitalismo italiano si sta riorganizzando: Cesare Geronzi, 75 anni compiuti da poco, lascia la presidenza di Mediobanca per trasferirsi a quella delle Assicurazioni Generali. Segue un rimescolamento complessivo, in cui la mossa più importante è l’ascesa di Renato Pagliaro alla presidenza di Mediobanca. Gli osservatori trovano che questo movimento sia filosoficamente analogo a quello che ha visto la riorganizzazione del potere in Rcs (la casa editrice del Corriere della Sera). Qui i grandi azionisti – e cioè Geronzi (ancora in quota Mediobanca), Bazoli, Pesenti, Tronchetti Provera, Montezemolo e Della Valle - sono entrati personalmente in consiglio d’amministrazione, in modo da avvicinarsi alla cosiddetta fonte del potere (ammesso che questa sia una spiegazione). Allo stesso modo, essendo il potere del sistema Mediobanca concentrato in Generali, il passaggio di Geronzi significa una presa forte sulla cassaforte vera della finanza italiana (400 miliardi di euro amministrati). In questo senso, l’operazione sarebbe benedetta dal governo e specialmente dalla Lega: alle viste ci sarebbero risistemazioni importanti degli istituti italiani, specialmente se locali. C’è tuttavia un altro punto decisivo nella corsa di Geronzi verso il mondo delle assicurazioni: la magistratura lo ha scagionato, nel caso Eurolat, dall’accusa di estorsione, ma lo tiene ancora nel mirino per la bancarotta. Una condanna ulteriore in questo e in altri processi farebbe scattare le interdizioni previste dalla legge bancaria. Almeno fino a quando queste stesse interdizioni non saranno estese al mondo assicurativo, la barca Generali è perciò, per il vecchio banchiere, una signora scialuppa di salvataggio. A capo del gruppo triestino, Geronzi non avrebbe quasi più potere. Salvo che in passato, molte volte, il grande banchiere, maestro di relazioni e alleanze, ha saputo rovesciare assetti che lo volevano debole in formidabili centri di potere personale.

Volvo I cinesi della Zheijang Geely Holding hanno comprato la Volvo, data via dalla Ford per 1,8 miliardi di dollari. Gli americani avevano acquistato la casa automobilistica di origine svedese nel 1999, pagandola 6,45 miliardi. In teoria, avrebbero quindi realizzato una grande perdita. In pratica però la Ford ha solo continuato nella sua filosofia di vendere tutto ciò che non è strategico: la casa di Detroit, che è rimasta in piedi senza bisogno di aiuti, s’è già sbarazzata della Aston Martin e della Jaguar-Land Rover. La Geely esiste appena dal 1998 (la Volvo fabbricava cuscinetti a sfera già nel ”27), dà lavoro a 12 mila persone e con questa operazione ha acquisito un importante know how e una rete commerciale di grande interesse in Occidente.

Atomiche Le atomiche disseminate sul territorio europeo (Italia compresa) dovrebbero drasticamente ridursi di numero perché Usa e Russia hanno siglato un nuovo accordo Start che prevede il taglio di un terzo di tutte le testate nucleari e il dimezzamento dei relativi vettori. È un grande successo sia per Obama che per Medvedev, salvo che tutti e due i governi avranno qualche problema a far passare l’intesa nei rispettivi Parlamenti.

Feltri Il direttore del Giornale, Vittorio Feltri, è stato sospeso per sei mesi dall’Ordine dei giornalisti della Lombardia. La colpa starebbe nel modo con cui è stato gestito il caso Boffo, notizia secondo l’ordine lombardo risultata inesatta e in cui sarebbe stato violato il dovere di rettifica e di verifica della fonte. Feltri, che non ha ricevuto nessuna solidarietà al di fuori del centro-destra: «Mi dispiace di non essere un prete pedofilo o almeno un semiprete omosessuale o un conduttore di sinistra, ma di essere semplicemente un giornalista che non può godere, quindi, della protezione dei vescovi, né diventare un martire dell’ informazione».

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Testo Frammento
Anno VII - Trecentoquindicesima settimana
Dal 22 al 29 marzo 2010

SPECIALI REGIONALI - SECONDO INVIO PUBBLICATO [SOTTO PRIMO INVIO]
Regionali Alle nove della sera di lunedì 29 marzo 2009 si profila questo risultato delle elezioni regionali: sono certamente rimaste al centro-destra la Lombardia (presidente Formigoni) e il Veneto (presidente Luca Zaia, leghista e ministro dell’Agricoltura, che subentra al berlusconiano Giancarlo Galan); sono certamente rimaste al centro-sinistra: l’Emilia-Romagna (resta presidente Vasco Errani), la Toscana (Enrico Rossi che sostituisce alla presidenza Claudio Martini), l’Umbria (Catiusca Marini al posto di Maria Rita Lorenzetti), le Marche (rimane governatore Gian Mario Spacca). Dunque 4 a 2 per Bersani. Le schede scrutinate sono ancora troppo poche per pronunciarsi con certezza su Campania, Calabria, Puglia e Basilicata (nelle prime due è in vantaggio il centro-destra, nelle altre due il centro-sinistra). molto difficile che la Liguria non resti al centro-sinistra e al suo governatore uscente Claudio Burlando. Lotta all’ultimo voto infine nelle due regioni chiave, il Piemonte e il Lazio. In Piemonte, giunto a metà dello scrutinio, Cota (centrodestra) risulta in vantaggio di uno 0,4 sul governatore uscente Mercedes Bresso, del centro-sinistra. Ugualmente risicato, nel Lazio, il vantaggio della radicale Bonino sulla finiana Polverini: 50,1% a 49,3% a metà delle schede scrutinate.

Prime valutazioni Se il finale fosse questo, avremmo due vincitori certi: Umberto Bossi e Beppe Grillo. La lista piemontese che si ispira a Grillo (Movimento 5 stelle) ha infatti sottratto al centro sinistra almeno un 3,5% dei voti alla Bresso, mandando in consiglio regionale uno o due deputati. Ancora più netta l’affermazione in Emilia-Romagna, dove 5 stelle ha preso quasi il 7% dei voti. Anche senza il quadro completo dei risultati, è già chiaro che questo è un successo molto significativo. Al Nord la Lega non ha preso più voti del Pdl, ma ha comunque ottenuto un successo importante: nel Veneto il candidato del centro-sinistra è stato battuto 60 a 30, in Emilia Bossi ha preso quasi il 14%, comunque vada a finire, Cota in Piemonte ha ottenuto più o meno gli stessi voti del centro-sinistra. Nel complesso il governo esce bene dalla prova, certo molto meglio di quanto si pensava alla vigilia. Unico neo – per ora – il Lazio, dove la Bonino è rimasta sempre in vantaggio e ha ancora, alle nove di sera, un piccolo margine sulla Polverini. La vittoria della radicale sarebbe per il governo fonte di grande imbarazzo. Come sarebbe possibile non imputare alla dabbenaggine del partito e alla sua incapacità di iscriversi alla gara, la sconfitta in questa regione? E con una radicale, abortista e anticlericale, seduta sul soglio di Roma, in faccia al Vaticano! Il risultato del centro-sinistra è fino a questo momento di difficile lettura. La vittoria a Roma, se arriverà, sarà stata ottenuta mettendosi alla retroguardia di una radicale combattiva e non troppo in linea con le tesi di Bersani. La perdita del Piemonte sarebbe molto amara. In ogni caso i governatori del centro-sinistra scendono, come minimo, da undici a nove e lasciano sul campo una regione importante come la Campania, la seconda per numero di elettori tra quelle al voto. la resa dei conti, amara, dei dieci anni di sottogoverno bassoliniano, una storia di moderno malaffare che si conclude.

Dichiarazione La prima dichiarazione della giornata è di Umberto Bossi: «Non ho ancora sentito Berlusconi. Mi complimenterò con lui per la tenuta del Pdl. Ma la Lega è scatenata».

Astensionismo L’unico dato certo su cui fare ragionamenti è quello dei votanti: meno 9 per cento in media rispetto alle regionali del 2005, con punte del meno 12 nel Lazio e del meno 13 a Roma. Si dirà che il giorno 28 marzo era una bellissima giornata, forse la prima di primavera. E tuttavia, in una logica tutta italiana, sono percentuali gravi, che confermano – genericamente - disaffezione, sfiducia, stanchezza. Sentimenti ulteriormente alimentati da una campagna elettorale che ha visto le varie bande imperversanti nel Paese (e tra queste noi mettiamo anche la banda dei giudici) massacrarsi vicendevolmente e senza sosta, in un gioco estraneo al 99,9 per cento dei cittadini sfiniti, e tuttavia dominante nella rappresentazione quotidiana fornita da giornali, radio e televisioni. Il fenomeno dell’astensionismo è peraltro europeo, dato che anche gli elettori francesi hanno disertato le urne nel corso delle regionali di quel Paese. E possiamo certamente considerare valide anche per l’Italia le motivazioni che qualche astensionista ha dato al quotidiano Le Monde: «Il mio partito ha vinto ampiamente le elezioni. Ma non ci ascolta nessuno. Che tristezza» (un Louis di 20 anni), «A cosa serve votare? Tanto poi i politici fanno quello che vogliono. L’ultima volta che l’ho fatto, ho detto no al trattato europeo di Lisbona, come la maggioranza dei francesi. Ma chi ci governa ha fatto di testa sua» (una Chantal cinquantenne).


PRIMO INVIO
Regionali Stiamo scrivendo a urne ancora aperte, l’unico dato su cui far ragionamenti è quello dei votanti: meno 9 per cento in media rispetto alle regionali del 2005, con punte del meno 12 nel Lazio e del meno 13 a Roma. Si dirà che il giorno 28 marzo era una bellissima giornata, forse la prima di primavera. E tuttavia, in una logica tutta italiana, sono percentuali gravi, che confermano – genericamente - disaffezione, sfiducia, stanchezza. Sentimenti ulteriormente alimentati da una campagna elettorale che ha visto le varie bande imperversanti nel Paese (e tra queste noi mettiamo anche la banda dei giudici) massacrarsi vicendevolmente e senza sosta, in un gioco estraneo al 99,9 per cento dei cittadini sfiniti, e tuttavia dominante nella rappresentazione quotidiana fornita da giornali, radio e televisioni. Il fenomeno dell’astensionismo è peraltro europeo, dato che anche gli elettori francesi hanno disertato le urne nel corso delle regionali di quel Paese. E possiamo certamente considerare valide anche per l’Italia le motivazioni che qualche astensionista ha dato al quotidiano Le Monde: «Il mio partito ha vinto ampiamente le elezioni. Ma non ci ascolta nessuno. Che tristezza» (un Louis di 20 anni), «A cosa serve votare? Tanto poi i politici fanno quello che vogliono. L’ultima volta che l’ho fatto, ho detto no al trattato europeo di Lisbona, come la maggioranza dei francesi. Ma chi ci governa ha fatto di testa sua» (una Chantal cinquantenne).

Vincitori Pesando l’astensionismo come un giudizio su tutta la nostra classe politica, quali sono le condizioni perché uno dei due schieramenti possa legittimamente proclamarsi vincitore? I criteri da combinare sono due: il numero di Regioni conquistate e la quantità dei voti ricevuti. Si votava in 13 regioni e, di queste, due erano in mano al centro-destra e undici al centro-sinistra. Prendendo tre o quattro regioni, quindi (è assai difficile che siano di più), il centro-destra avrebbe qualche titolo per proclamarsi vincitore. E però se si confronta questo risultato con le aspettative – certificate dai sondaggi – di qualche mese fa, si scoprirà che il risultato non è alla fine entusiasmante. C’era un tempo in cui Berlusconi e i suoi pensavano che a queste Regionali il centro-destra avrebbe potuto superare, per numero di regioni, il centro-sinistra.

Berlusconi Quando tuttavia parliamo di centro-destra, di quale centro-destra parliamo? Le Regioni che potrebbero verosimilmente finire al Pdl sono la Lombardia, il Veneto, il Piemonte e il Lazio. Lombardia e Veneto erano del centro-destra già prima, ma, fermo restando Formigoni a Milano, la Lega ha imposto che al posto del presidente uscente Galan (berlusconiano) si candidasse il ministro dell’Agricoltura Luca Zaia. Idem in Piemonte: Bossi ha voluto contro la Bresso il leghista novarese Roberto Cota. Nel Lazio, infine, la Polverini è una fedele del presidente della Camera, Gianfranco Fini. Insomma i berlusconiani sono stati mandati a cercar gloria in collegi impossibili o piuttosto difficili, da cui, la maggior parte delle volte, usciranno sconfitti. Questo prefigura il quadro politico che ci aspetta: Bossi, di cui si prevede un risultato trionfale nelle regioni settentrionali, terrà Berlusconi in ostaggio per i prossimi tre anni, pretendendo spazi di manovra sempre più consistenti e lasciando al Cavaliere le questioni di governo più spinose. La Lega ha già fatto sapere che, l’anno prossimo, quando si tratterà di votare per il sindaco di Milano, vorrà un uomo suo a Palazzo Marino, a discapito della Moratti. E Fini si prepara a dar battaglia dentro il partito, sfidando la leadership del Cavaliere. Gli ultimi sondaggi addebitavano al Pdl un calo, in termini di consensi, del 4-5%. Se succedesse, sarebbe una grossa débâcle di cui difficilmente il presidente del Consiglio potrebbe evitare di farsi carico.

Bersani Questo turno elettorale si presenta più agevole per il leader del centro-sinistra. La politica del basso profilo, perseguita da Bersani dal giorno del suo insediamento, ha prodotto una specie di effetto-oblio sui disastri combinati, ciascuno nell’ambito delle proprie competenze, da Prodi e da Veltroni. Si prevede un minimo di recupero per il Pd, difficile da quantificare, ma che sarà utile al suo capo per consolidarsi. Bersani ha il compito arduo di perseguire una politica delle alleanze, senza però cadere nelle ammucchiate del vecchio Ulivo. Molto significativi, da questo punto di vista, saranno i risultati in Puglia e quelli ottenuti dalle vecchie formazioni di sinistra, adesso fuori dal Parlamento.

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Anno VII - Trecentoquindicesima settimana
Dal 22 al 29 marzo 2010

Russia Due kamikaze – probabilmente donne – si sono fatte saltare in aria, lunedì, tra le otto e le otto e mezzo del mattino, nel metro di Mosca, affollatissimo in quel momento, provocando una cinquantina di morti almeno e decine di feriti. Le stazioni prese di mira sono la Lubyanka e la Park Kultury. Nella stazione di Prospekt Mira è stata poi trovata una bomba non ancora esplosa. La rivendicazione di un movimento separatista ceceno, arrivata poco dopo gli attentati a un sito caucasico, deve ancora essere valutata. Non si deve credere che il terrorismo possa mettere in crisi il duo Medvedev-Putin. Manifestazioni e cortei convocati lo scorso 20 marzo per protestare contro il regime non raccolsero – dal Pacifico al Baltico – più di dodicimila persone. I sondaggi dànno il gradimento per l’attuale leadership intorno al 65-70%, cioè molto alto. Medvedev e Putin interpretano abilmente i due ruoli che ci vogliono per raccogliere il massimo dei consensi: Medvedev, presidente, fa la parte del liberale che critica la corruzione russa e reclama il cambiamento. Putin sollecita i sentimenti nazionalistici del popolo, che vive soprattutto di soldi pubblici. I due, alle prossime elezioni, si scambieranno semplicemente di ruolo, Putin tornando alla presidenza e Medvedev, come primo ministro, al governo.

Benedetto XVI Il New York Times ha messo sotto accusa il Papa, sostenendo che negli anni Sessanta si astenne dal licenziare un prete pedofilo del Wisconsin. Due studi legali che rappresentano vittime dei preti-pedofili hanno convinto i tribunali dell’Oregon e del Kentucky a chiedere la chiamata in causa del Vaticano. Gli avvocati del Pontefice hanno presentato ricorso alla Corte suprema, affermando che, come stato estero, godono di immunità. Uno dei due studi legali sostiene che Roma è responsabile perché tutti i preti del mondo dipendono in definitiva dalla Santa Sede. Benedetto XVI ha alluso alla vicenda nel discorso all’Angelus di domenica scorsa: «Dio, dàcci il coraggio che non si lascia intimidire dal chiacchiericcio delle opinioni dominanti…». Benedetto fa capire che anche questa è una prova a cui Dio chiama la Chiesa. E in questo senso si tratta di una grazia, dato che «le grazie non sono sempre doni lieti di cui compiacerci» (Tonini). La Chiesa cattolica austriaca ha affidato all’ex governatrice regionale Waltraud Klasnic il compito di guidare una commissione – di cui non farà parte nessun ecclesiastico – che indaghi sugli eventuali abusi sessuali del clero e fissi l’entità dei risarcimenti. La Svizzera sta discutendo sull’opportunità di creare un registro con i nomi di tutti i preti pedofili, in modo da impedire, in futuro, ogni contatto di costoro con i bambini.

Generali Il capitalismo italiano si sta riorganizzando: Cesare Geronzi, 75 anni compiuti da poco, lascia la presidenza di Mediobanca per trasferirsi a quella delle Assicurazioni Generali. Segue un rimescolamento complessivo, in cui la mossa più importante è l’ascesa di Renato Pagliaro alla presidenza di Mediobanca. Gli osservatori trovano che questo movimento sia filosoficamente analogo a quello che ha visto la riorganizzazione del potere in Rcs (la casa editrice del Corriere della Sera). Qui i grandi azionisti – e cioè Geronzi (ancora in quota Mediobanca), Bazoli, Pesenti, Tronchetti Provera, Montezemolo e Della Valle - sono entrati personalmente in consiglio d’amministrazione, in modo da avvicinarsi alla cosiddetta fonte del potere (ammesso che questa sia una spiegazione). Allo stesso modo, essendo il potere del sistema Mediobanca concentrato in Generali, il passaggio di Geronzi significa una presa forte sulla cassaforte vera della finanza italiana (400 miliardi di euro amministrati). In questo senso, l’operazione sarebbe benedetta dal governo e specialmente dalla Lega: alle viste ci sarebbero risistemazioni importanti degli istituti italiani, specialmente se locali. C’è tuttavia un altro punto decisivo nella corsa di Geronzi verso il mondo delle assicurazioni: la magistratura lo ha scagionato, nel caso Eurolat, dall’accusa di estorsione, ma lo tiene ancora nel mirino per la bancarotta. Una condanna ulteriore in questo e in altri processi farebbe scattare le interdizioni previste dalla legge bancaria. Almeno fino a quando queste stesse interdizioni non saranno estese al mondo assicurativo, la barca Generali è perciò, per il vecchio banchiere, una signora scialuppa di salvataggio. A capo del gruppo triestino, Geronzi non avrebbe quasi più potere. Salvo che in passato, molte volte, il grande banchiere, maestro di relazioni e alleanze, ha saputo rovesciare assetti che lo volevano debole in formidabili centri di potere personale.

Volvo I cinesi della Zheijang Geely Holding hanno comprato la Volvo, data via dalla Ford per 1,8 miliardi di dollari. Gli americani avevano acquistato la casa automobilistica di origine svedese nel 1999, pagandola 6,45 miliardi. In teoria, avrebbero quindi realizzato una grande perdita. In pratica però la Ford ha solo continuato nella sua filosofia di vendere tutto ciò che non è strategico: la casa di Detroit, che è rimasta in piedi senza bisogno di aiuti, s’è già sbarazzata della Aston Martin e della Jaguar-Land Rover. La Geely esiste appena dal 1998 (la Volvo fabbricava cuscinetti a sfera già nel ’27), dà lavoro a 12 mila persone e con questa operazione ha acquisito un importante know how e una rete commerciale di grande interesse in Occidente.

Atomiche Le atomiche disseminate sul territorio europeo (Italia compresa) dovrebbero drasticamente ridursi di numero perché Usa e Russia hanno siglato un nuovo accordo Start che prevede il taglio di un terzo di tutte le testate nucleari e il dimezzamento dei relativi vettori. È un grande successo sia per Obama che per Medvedev, salvo che tutti e due i governi avranno qualche problema a far passare l’intesa nei rispettivi Parlamenti.

Feltri Il direttore del Giornale, Vittorio Feltri, è stato sospeso per sei mesi dall’Ordine dei giornalisti della Lombardia. La colpa starebbe nel modo con cui è stato gestito il caso Boffo, notizia secondo l’ordine lombardo risultata inesatta e in cui sarebbe stato violato il dovere di rettifica e di verifica della fonte. Feltri, che non ha ricevuto nessuna solidarietà al di fuori del centro-destra: «Mi dispiace di non essere un prete pedofilo o almeno un semiprete omosessuale o un conduttore di sinistra, ma di essere semplicemente un giornalista che non può godere, quindi, della protezione dei vescovi, né diventare un martire dell’ informazione».

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Testo Frammento
Anno VII - Trecentoquindicesima settimana
Dal 22 al 29 marzo 2010

SPECIALI REGIONALI - SECONDO INVIO PUBBLICATO [SOTTO PRIMO INVIO]
Regionali Alle nove della sera di lunedì 29 marzo 2009 si profila questo risultato delle elezioni regionali: sono certamente rimaste al centro-destra la Lombardia (presidente Formigoni) e il Veneto (presidente Luca Zaia, leghista e ministro dell’Agricoltura, che subentra al berlusconiano Giancarlo Galan); sono certamente rimaste al centro-sinistra: l’Emilia-Romagna (resta presidente Vasco Errani), la Toscana (Enrico Rossi che sostituisce alla presidenza Claudio Martini), l’Umbria (Catiusca Marini al posto di Maria Rita Lorenzetti), le Marche (rimane governatore Gian Mario Spacca). Dunque 4 a 2 per Bersani. Le schede scrutinate sono ancora troppo poche per pronunciarsi con certezza su Campania, Calabria, Puglia e Basilicata (nelle prime due è in vantaggio il centro-destra, nelle altre due il centro-sinistra). È molto difficile che la Liguria non resti al centro-sinistra e al suo governatore uscente Claudio Burlando. Lotta all’ultimo voto infine nelle due regioni chiave, il Piemonte e il Lazio. In Piemonte, giunto a metà dello scrutinio, Cota (centrodestra) risulta in vantaggio di uno 0,4 sul governatore uscente Mercedes Bresso, del centro-sinistra. Ugualmente risicato, nel Lazio, il vantaggio della radicale Bonino sulla finiana Polverini: 50,1% a 49,3% a metà delle schede scrutinate.

Prime valutazioni Se il finale fosse questo, avremmo due vincitori certi: Umberto Bossi e Beppe Grillo. La lista piemontese che si ispira a Grillo (Movimento 5 stelle) ha infatti sottratto al centro sinistra almeno un 3,5% dei voti alla Bresso, mandando in consiglio regionale uno o due deputati. Ancora più netta l’affermazione in Emilia-Romagna, dove 5 stelle ha preso quasi il 7% dei voti. Anche senza il quadro completo dei risultati, è già chiaro che questo è un successo molto significativo. Al Nord la Lega non ha preso più voti del Pdl, ma ha comunque ottenuto un successo importante: nel Veneto il candidato del centro-sinistra è stato battuto 60 a 30, in Emilia Bossi ha preso quasi il 14%, comunque vada a finire, Cota in Piemonte ha ottenuto più o meno gli stessi voti del centro-sinistra. Nel complesso il governo esce bene dalla prova, certo molto meglio di quanto si pensava alla vigilia. Unico neo – per ora – il Lazio, dove la Bonino è rimasta sempre in vantaggio e ha ancora, alle nove di sera, un piccolo margine sulla Polverini. La vittoria della radicale sarebbe per il governo fonte di grande imbarazzo. Come sarebbe possibile non imputare alla dabbenaggine del partito e alla sua incapacità di iscriversi alla gara, la sconfitta in questa regione? E con una radicale, abortista e anticlericale, seduta sul soglio di Roma, in faccia al Vaticano! Il risultato del centro-sinistra è fino a questo momento di difficile lettura. La vittoria a Roma, se arriverà, sarà stata ottenuta mettendosi alla retroguardia di una radicale combattiva e non troppo in linea con le tesi di Bersani. La perdita del Piemonte sarebbe molto amara. In ogni caso i governatori del centro-sinistra scendono, come minimo, da undici a nove e lasciano sul campo una regione importante come la Campania, la seconda per numero di elettori tra quelle al voto. È la resa dei conti, amara, dei dieci anni di sottogoverno bassoliniano, una storia di moderno malaffare che si conclude.

Dichiarazione La prima dichiarazione della giornata è di Umberto Bossi: «Non ho ancora sentito Berlusconi. Mi complimenterò con lui per la tenuta del Pdl. Ma la Lega è scatenata».

Astensionismo L’unico dato certo su cui fare ragionamenti è quello dei votanti: meno 9 per cento in media rispetto alle regionali del 2005, con punte del meno 12 nel Lazio e del meno 13 a Roma. Si dirà che il giorno 28 marzo era una bellissima giornata, forse la prima di primavera. E tuttavia, in una logica tutta italiana, sono percentuali gravi, che confermano – genericamente - disaffezione, sfiducia, stanchezza. Sentimenti ulteriormente alimentati da una campagna elettorale che ha visto le varie bande imperversanti nel Paese (e tra queste noi mettiamo anche la banda dei giudici) massacrarsi vicendevolmente e senza sosta, in un gioco estraneo al 99,9 per cento dei cittadini sfiniti, e tuttavia dominante nella rappresentazione quotidiana fornita da giornali, radio e televisioni. Il fenomeno dell’astensionismo è peraltro europeo, dato che anche gli elettori francesi hanno disertato le urne nel corso delle regionali di quel Paese. E possiamo certamente considerare valide anche per l’Italia le motivazioni che qualche astensionista ha dato al quotidiano Le Monde: «Il mio partito ha vinto ampiamente le elezioni. Ma non ci ascolta nessuno. Che tristezza» (un Louis di 20 anni), «A cosa serve votare? Tanto poi i politici fanno quello che vogliono. L’ultima volta che l’ho fatto, ho detto no al trattato europeo di Lisbona, come la maggioranza dei francesi. Ma chi ci governa ha fatto di testa sua» (una Chantal cinquantenne).


PRIMO INVIO
Regionali Stiamo scrivendo a urne ancora aperte, l’unico dato su cui far ragionamenti è quello dei votanti: meno 9 per cento in media rispetto alle regionali del 2005, con punte del meno 12 nel Lazio e del meno 13 a Roma. Si dirà che il giorno 28 marzo era una bellissima giornata, forse la prima di primavera. E tuttavia, in una logica tutta italiana, sono percentuali gravi, che confermano – genericamente - disaffezione, sfiducia, stanchezza. Sentimenti ulteriormente alimentati da una campagna elettorale che ha visto le varie bande imperversanti nel Paese (e tra queste noi mettiamo anche la banda dei giudici) massacrarsi vicendevolmente e senza sosta, in un gioco estraneo al 99,9 per cento dei cittadini sfiniti, e tuttavia dominante nella rappresentazione quotidiana fornita da giornali, radio e televisioni. Il fenomeno dell’astensionismo è peraltro europeo, dato che anche gli elettori francesi hanno disertato le urne nel corso delle regionali di quel Paese. E possiamo certamente considerare valide anche per l’Italia le motivazioni che qualche astensionista ha dato al quotidiano Le Monde: «Il mio partito ha vinto ampiamente le elezioni. Ma non ci ascolta nessuno. Che tristezza» (un Louis di 20 anni), «A cosa serve votare? Tanto poi i politici fanno quello che vogliono. L’ultima volta che l’ho fatto, ho detto no al trattato europeo di Lisbona, come la maggioranza dei francesi. Ma chi ci governa ha fatto di testa sua» (una Chantal cinquantenne).

Vincitori Pesando l’astensionismo come un giudizio su tutta la nostra classe politica, quali sono le condizioni perché uno dei due schieramenti possa legittimamente proclamarsi vincitore? I criteri da combinare sono due: il numero di Regioni conquistate e la quantità dei voti ricevuti. Si votava in 13 regioni e, di queste, due erano in mano al centro-destra e undici al centro-sinistra. Prendendo tre o quattro regioni, quindi (è assai difficile che siano di più), il centro-destra avrebbe qualche titolo per proclamarsi vincitore. E però se si confronta questo risultato con le aspettative – certificate dai sondaggi – di qualche mese fa, si scoprirà che il risultato non è alla fine entusiasmante. C’era un tempo in cui Berlusconi e i suoi pensavano che a queste Regionali il centro-destra avrebbe potuto superare, per numero di regioni, il centro-sinistra.

Berlusconi Quando tuttavia parliamo di centro-destra, di quale centro-destra parliamo? Le Regioni che potrebbero verosimilmente finire al Pdl sono la Lombardia, il Veneto, il Piemonte e il Lazio. Lombardia e Veneto erano del centro-destra già prima, ma, fermo restando Formigoni a Milano, la Lega ha imposto che al posto del presidente uscente Galan (berlusconiano) si candidasse il ministro dell’Agricoltura Luca Zaia. Idem in Piemonte: Bossi ha voluto contro la Bresso il leghista novarese Roberto Cota. Nel Lazio, infine, la Polverini è una fedele del presidente della Camera, Gianfranco Fini. Insomma i berlusconiani sono stati mandati a cercar gloria in collegi impossibili o piuttosto difficili, da cui, la maggior parte delle volte, usciranno sconfitti. Questo prefigura il quadro politico che ci aspetta: Bossi, di cui si prevede un risultato trionfale nelle regioni settentrionali, terrà Berlusconi in ostaggio per i prossimi tre anni, pretendendo spazi di manovra sempre più consistenti e lasciando al Cavaliere le questioni di governo più spinose. La Lega ha già fatto sapere che, l’anno prossimo, quando si tratterà di votare per il sindaco di Milano, vorrà un uomo suo a Palazzo Marino, a discapito della Moratti. E Fini si prepara a dar battaglia dentro il partito, sfidando la leadership del Cavaliere. Gli ultimi sondaggi addebitavano al Pdl un calo, in termini di consensi, del 4-5%. Se succedesse, sarebbe una grossa débâcle di cui difficilmente il presidente del Consiglio potrebbe evitare di farsi carico.

Bersani Questo turno elettorale si presenta più agevole per il leader del centro-sinistra. La politica del basso profilo, perseguita da Bersani dal giorno del suo insediamento, ha prodotto una specie di effetto-oblio sui disastri combinati, ciascuno nell’ambito delle proprie competenze, da Prodi e da Veltroni. Si prevede un minimo di recupero per il Pd, difficile da quantificare, ma che sarà utile al suo capo per consolidarsi. Bersani ha il compito arduo di perseguire una politica delle alleanze, senza però cadere nelle ammucchiate del vecchio Ulivo. Molto significativi, da questo punto di vista, saranno i risultati in Puglia e quelli ottenuti dalle vecchie formazioni di sinistra, adesso fuori dal Parlamento.