Michele Anselmi, Il Riformista 27/4/2010, 27 aprile 2010
GLI STRAORDINARI D’AMORE PER SOLDINI
«Ma te li pagano almeno ”sti straordinari?». Sorrisetti assicurati al cinema, quando uscirà venerdì, targato Warner, Cosa voglio di più di Silvio Soldini. A porre l’ingenua domanda è Giuseppe Battiston, il pingue compagno aggiustatutto della ragioniera Alba Rohrwacher, la quale, nel frattempo, s’è invaghita dell’aitante uomo del catering Pierfrancesco Favino, sposato con due figli. Ogni mercoledì sera i due si amano ardentemente, di una passione totale, nella stanza kitsch di motel, tutta specchi. Lei, ormai vittima di una catena interminabile di bugie, dice di fare «gli straordinari» in ufficio; lui, l’amante, dovrebbe essere in piscina a fare immersioni subacquee, e quando torna dalla moglie spruzza acqua su muta e accappatoio nella speranza di farla franca.
«L’amore ai tempi della crisi»: così, a Berlino, hanno ribattezzato il bel film di Soldini che esce a tre anni da Giorni e nuvole, un’altra storia d’amore alle prese con i morsi dell’impoverimento italiano. C’è del vero, nel senso che il regista di Pane e tulipani prosegue una sorta di indagine che intreccia economia dei sentimenti e economia degli stipendi. Di solito, nel cinema italiano recente, il tradimento amoroso, con annessi e connessi, si preferisce di ambiente borghese, tra case di design e mestieri gratificanti. Soldini, invece, prende spunto da una storia vera che gli fu confidata da un’amica impiegata, e nel trasformarla in sceneggiatura con Doriana Leondeff e Angelo Carbone, ha perfino accentuato la dimensione sociale. S’intende senza farne il fulcro politico della vicenda, evitando lo sguardo compassionevole, per la serie «poverini!», ma ricordandoci che l’adulterio tumultuoso e fatale deflagra anche in quei pezzi di società nei quali 100 euro in più o in meno al mese fanno la differenza.
Il titolo, Cosa voglio di più, nasce un po’ per caso. Nel film la Rohrwacher si chiama Anna, come la canzone di Battisti. E un verso diceva proprio: «Hai ragione anche tu / cosa voglio di più / un lavoro io l’ho / una casa io l’ho…». Eppure Domenico, cioè Favino, vuole Anna, più di ogni altra cosa, al punto da mettere in crisi il matrimonio, rovinarsi l’esistenza, indebitarsi per una fuga amorosa in Marocco dalla quale nessuno dei due tornerà come prima. Finale aperto, non necessariamente triste, sul quale gli attori, ormai immersi nelle motivazioni dei rispettivi personaggi, hanno a lungo dibattuto, pure litigato col regista. Favino chiedeva più comprensione verso il marito incasinato che chiede tempo per sistemare le cose; mentre la Rohrwacher, per tutto il film, esige dall’amante tagli netti, scelte chiare.
Per una volta citazioni e strizzatine d’occhio (Eclisse Twist di Mina-Antonioni, Breve incontro di David Lean, un riferimento a Coppi avversario di quel Bartali incarnato da Favino in tv) non paiono stucchevoli. Chi sa coglierà, ma quel conta è altrove, nell’atmosfera tesa e normale, tra sms inopportuni e scenate per strada, sospetti ed euforie, che il film mette in scena tenendo sott’occhio le ragioni di tutti: amici, familiari, adulteri, cornuti. Anche i personaggi minori, infatti, sono disegnati con cura, dentro una Milano periferica ma non marginale ripresa con macchina a mano, quasi a luce naturale, senza bellurie estetizzanti.
Il marketing punta sulle ormai famose scene di sesso tra i due protagonisti, a partire dal manifesto, con l’intreccio dei corpi nudi. Una piccola aura di scandalo avvolge, un po’ come ai tempi di Caos calmo, gli amplessi ansimanti degli amanti, realistici ma neanche così audaci come si vorrebbe. Al massimo si vedono tette e sederi. Sempre meglio, però, delle scopate con le mutande sotto le lenzuola.