Frammenti, 1 maggio 2010
Tags : Salvatore Biondino
FRAMMENTO DEI FRAMMENTI CHE RISPONDONO ALLA VOCE "BIONDINO, SALVATORE"
«[…] Il primo passo l’hanno fatto alcuni superboss da qualche anno in galera: Carlo Greco, Giuseppe Madonia, Salvatore Buscemi, Filippo Graviano. Avevano manifestato, probabilmente sotto la regia di Aglieri, la loro disponibilità a ”dissociarsi” in cambio di sconti di pena e carcere meno duro. Ma la svolta è arrivata nei mesi scorsi. Prima con l’adesione dei Corleonesi duri e puri che hanno inviato come loro ”ambasciatore” pronto a dialogare Salvatore Biondino, un fedelissimo di Totò Riina. […]» .
Attilio Bolzoni e Francesco Viviano, la Repubblica 17/04/2002
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Il giorno in cui il capitano Ultimo prese Totò ’u curtu […] Ultimo deve decidere in un attimo: qualche ordine secco via radio, poi sale su un’auto civetta con due ragazzi tosti e piomba sulla Citroën mentre il conducente, Salvatore Biondino braccio destro e «tutore» della latitanza di Riina, si appresta ad imboccare la rotonda che dà sull’assessorato all’Agricoltura della Regione siciliana. Il motore «imballato» della «civetta» copre le grida dei carabinieri che aprono contemporaneamente gli sportelli dell’utilitaria e immobilizzano don Totò mettendogli una coperta sulla testa. In pochi secondi Riina e il suo scudiero si ritrovano sul sedile posteriore della «civetta» che sgomma verso il centro. […].
Francesco La Licata La Stampa 10/01/2003
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C’è una parte importante di Cosa nostra siciliana che da tempo cerca un accordo con lo Stato: una sorta di «dissociazione dolce» - per dirla con l’eufemismo di chi ha portato avanti questa proposta - in cambio di qualche beneficio carcerario che attenui il rigore del «41 bis», il regime di isolamento previsto per i mafiosi e per i terroristi. […] I termini di quel primo contatto facevano riferimento al rifiuto, da parte di Cosa nostra, di ogni forma di pentitismo o dissociazione. In sostanza la tesi di Aglieri era (ed è ancora) che bisognava dare la possibilità, a chi accettava l’idea della sconfitta della mafia ad opera dello Stato, di arrendersi senza per questo dover accusare nessuno o confessare le proprie colpe. Come segnale di resa, la mafia si diceva disponibile a «deporre le armi», proprio in senso stretto, cioè consegnando il proprio armamento. In questa linea si riconoscevano boss importanti come Salvatore Biondino, l’uomo di fiducia di Riina arrestato in auto col capo (forse molto più importante di quanto sia finora emerso), […]. Il contatto saltò, anche perché nel giugno del 2000 finì tutto sui giornali. Ma continuò sottotraccia fino al 2002, passando per vari espedienti: prima la lettera famosa di Aglieri a Vigna e Grasso (allora procuratore a Palermo), poi la curiosità inedita di un mafioso calabrese, uno degli Imerti, che chiede la dissociazione. Fatto stranissimo che troverà spiegazione quando si saprà che il rappresentante della ”ndrangheta era stato in cella con Salvatore Biondino, numero due della trattativa, dopo Aglieri, e «delegato» da tutte le associazioni mafiose a portare avanti la strategia della dissociazione. Altra stranezza: nel novembre 2001 ancora Biondino chiede alla direzione del suo carcere di poter fare lo scopino, attività di solito ambita dai detenuti meno abbienti perché consente di guadagnare qualcosa. Ma Biondino non aveva certo bisogno di arrotondare con mestieri umili. E allora? Allora forse voleva fare lo scopino perché quell’attività gli consentiva di muoversi più liberamente e soprattutto di contattare detenuti chiusi lontano dalla sua cella. In sostanza, lo scopino poteva aggirare i rigori del «41 bis». Ma questa strategia fu intuita dall’allora capo dell’ispettorato del Dap, il magistrato Alfonso Sabella, che mette nero su bianco e scrive una nota con cui blocca la richiesta di Biondino. Era il 5 di novembre: lo stesso giorno Sabella viene destituito (direttore del Dap è da poco l’ex procuratore di Caltanissetta, Giovanni Tinebra) e prende il suo posto Salvatore Leopardi, che di Tinebra era stato sostituto.
[…] l’autunno del 2005 […]. E’ un momento di grande iperattività pseudoinvestigativa nelle carceri: si registrano persino tentativi di orientare le dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia. […] Ma il tentativo di forzare e fare l’assemblea è di ottobre 2005, quando alcuni mafiosi (sicuramente Aglieri e Biondino, ancora loro) vengono momentaneamente trasferiti al carcere dell’Aquila. Lì si dovranno aprire le celle e dar vita al confronto tra i boss, per definire i particolari di questa «resa». Ma qualcosa non va per il verso giusto. E’ pensabile che dalla direzione del carcere si sia richiesta l’autorizzazione necessaria a modificare il decreto ministeriale che vieta ai detenuti mafiosi di avere contatti. Finora il confronto è avvenuto registrando le rispettive posizioni dei leader e farle conoscere «a giro». I boss, però, vogliono la possibilità di parlare direttamente, anche perchè c’è da prendere decisioni per conto di chi sta fuori dalle sbarre […].
Francesco La Licata, La Stampa13/8/2007
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Scopini. Nel 2001 i mafiosi ci riprovano, e con loro anche i boss detenuti di ”Ndrangheta, Camorra e Sacra Corona Unita, ma i giornali pubblicano la notizia e l’iniziativa si blocca per qualche mese. Finché il boss Salvatore Biondino, che già aveva manifestato la volontà di dissociarsi, chiede di fare lo scopino (così avrebbe potuto spazzare le celle di detenuti altrimenti non autorizzati a parlare con lui), e Pippo Calò (il mafioso che a Roma aveva lavorato con la Banda della Magliana), scrive ai giudici di volersi dissociare.
Alfonso Sabella, Cacciatore di mafiosi, Mondadori 2008
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E’ la vigilia di Natale del 1992, Totò Riina è euforico, eccitato, si sente come fosse il padrone del mondo. In una casa alla periferia di Palermo ha radunato i boss più fidati per gli auguri e per comunicare che lo Stato si è fatto avanti. […] Riina è tutto contento e tiene stretta in mano una penna: "Ah, ci ho fatto un papello così..." […] Le parole con le quali Riina introduce questo discorso del "papello" Brusca le ricorda così: "Si sono fatti sotto. Ho avuto un messaggio. Viene da Mancino".
L’uomo che uccise Giovanni Falcone - di cui "L’espresso" anticipa il contenuto dei verbali inediti - sostiene che sarebbe Nicola Mancino, attuale vice presidente del Csm che nel 1992 era ministro dell’Interno, il politico che avrebbe "coperto" inizialmente la trattativa fra mafia e Stato. […] Il contatto politico Riina lo rivela a Natale. […] Ma nel dicembre ’92 nella casa alla periferia di Palermo, Riina è felice che la trattativa, aperta dopo la morte di Falcone, si fosse mossa perché "Mancino aveva preso questa posizione".
E quella è la prima e l’ultima volta nella quale Brusca ha sentito pronunziare il nome di Mancino da Riina. Altri non lo hanno mai indicato, anche se Brusca è sicuro che ne fossero a conoscenza anche alcuni boss, come Salvatore Biondino (detenuto dal giorno dell’arresto di Riina), […]. La mattina del 15 gennaio 1993, mentre Riina e Biondino si stanno recando alla riunione durante la quale Totò ù curtu avrebbe voluto informare i suoi fedelissimi di ulteriori retroscena sui contatti con gli uomini delle istituzioni, il capo dei capi viene arrestato dai carabinieri.
[…] Nell’incontro di Natale ’92 Biondino prese una cartelletta di plastica che conteneva un verbale di interrogatorio di Gaspare Mutolo, un mafioso pentito. E commentò quasi ironicamente le sue dichiarazioni: "Ma guarda un po’: quando un bugiardo dice la verità non gli credono". La frase aveva questo significato: Mutolo aveva detto in passato delle sciocchezze ma aveva anche parlato di Mancino, con particolare riferimento a un incontro di quest’ultimo con Borsellino, in seguito al quale il magistrato aveva manifestato uno stato di tensione, tanto da fumare contemporaneamente due sigarette. Per Biondino sulla circostanza che riguardava Mancino, Mutolo non aveva detto il falso. Ma l’ex ministro oggi dichiara di non ricordare l’incontro al Viminale con Borsellino […].
Lirio Abbate, L’espresso, 29 ottobre 2009, pag. 34