Francesco Spini, la Stampa 30/04/2010, 30 aprile 2010
COME FUNZIONANO LE AGENZIE CHE DANNO IL VOTO AGLI STATI
In questo nuovo capitolo del voluminoso libro della crisi infinita - con la Grecia in ginocchio e gli altri paesi periferici di Eurolandia in balìa della tempesta - ad emergere sono sempre gli stessi protagonisti: agenzie di rating e speculatori. I due finiscono per essere facce opposte della stessa medaglia, perché sulle smagliature delle prime - e negli ultimi anni sono state tantissime, da Enron a Lehman Brothers fino ai subprime - i secondi ci sguazzano. Ancora una volta le tre sorelle, signore dei giudizi - Standard and Poor’s, Moody’s e Fitch controllano, si dice, il 96% del mercato dei giudizi - anche sui casi di Grecia, Portogallo e Spagna sono state oggetto di critiche assai dure. Animali strani, queste agenzie da cui dipendono molte reazioni del mercato. A guardarle da fuori sembrerebbero delle pure istituzioni. Invece, oltre a ricevere denaro da chi è sotto esame (i servizi di mercato di S&P nel 2009 hanno fatturato 1,74 miliardi di dollari, 683 milioni per Fitch e 1,8 miliardi per Moody’s) hanno azionisti che investono sui mercati che loro giudicano e condizionano. Primo azionista di Moody’s è il famoso finanziere americano Warren Buffett. Fidelity Investments, superfondo Usa, è presente sia in Moody’s che in McGraw Hill, il gruppo cui fa capo S&P. E così via. Particolarità che, valutate alla luce delle enormi cantonate prese, hanno contribuito a far alzare più di un sopracciglio, in America dalla Sec, in Europa da Bruxelles. Che ha sottomesso le agenzie alla vigilanza delle authority statali del mercato, chiedendo loro più trasparenza, meno conflitti di interesse, più affidabilità.
Nell’attesa, prende piede il nuovo (ma non sempre affidabile) indicatore sullo stato di salute di un Paese: l’andamento dei Cds, i credit default swap, contratti che servono per assicurarsi dal rischio di fallimento dell’emittente dei titoli in portafoglio. Sono additati come il frutto della speculazione ma i primi a fare incetta di queste assicurazioni ad Atene mica sono stati degli aggressivi hedge fund. No - raccontava ieri un operatore - le prime sono state le Poste greche, a caccia di un antidoto per i loro forzieri gonfi di titoli a rischio. La logica delle coperture, accanto a quella di chi ha scommesso su un allargamento generalizzato degli spread (la differenza di rendimento col bund tedesco) e una flessione dei prezzi, ha finito per condizionare anche altri mercati. Per proteggere un portafoglio pieno di titoli greci, diversi fondi e banche (le più esposte sono tedesche e francesi) anziché vendere quei bond illiquidi hanno venduto allo scoperto (prendendo titoli in prestito) altri titoli assimilabili, iniziando da quelli portoghesi, spagnoli e finendo con i ben più liquidi Btp italiani, anche attraverso future. Questo spiega perché, a tratti, anche il Btp abbia visto qualche flessione nei prezzi, di per sé poco giustificabile.
Non manca anche qui un ruolo delle banche d’affari che controllano il mercato dei titoli di stato. Nei momenti di panico tendono a ostacolare la possibilità di vendere, deprimendo oltremodo i prezzi. E’ per questo che gli investitori si rivolgono ai Cds che, laddove non servono a ricoprirsi, portano guadagni extra per fondi hedge, per banche e altre istituzioni finanziarie. Come? Sfruttando il fatto che non sempre i prezzi di queste assicurazioni rispecchiano il vero stato di salute di un Paese. Gli investitori cercano le incongruenze comprando e vendendo Cds, scambiando Paesi come fossero figurine. Si chiama arbitraggio e per gli operatori «non è speculazione, perché c’è assunzione di rischi». Dopo la tregua di ieri, la tensione non è finita. Altrimenti perché ieri una primaria banca italiana stava ragionando sull’opportunità di tagliare le linee di credito a banche greche e portoghesi?