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 2010  aprile 30 Venerdì calendario

GIUSTI I CONTROLLI SUI DERIVATI. MA NON CONDANNATE IL LIBERISMO

(manca la parte finale, da ribattere)

Un «trilemma» è come un dilemma, ma le opzioni sono tre e se ne possono scegliere solo due. L’attuale dibattito sulla nuova normativa finanziaria post-crisi ci impone di affrontare il seguente trilemma: è possibile selezionare due delle seguenti proposte, ma non tutte e tre: 1) mercati finanziari più efficienti; 2) stop ai salvataggi delle grandi banche; 3) un’economia libera dallo spauracchio della depressione. Dagli anni Ottanta fino al 2007, abbiamo essenzialmente optato per le prime due. I mercati finanziari hanno goduto di una libertà senza precedenti e la Federal Reserve è stata sempre pronta a tagliare i tassi di interesse se il prezzo degli asset calavano. Mai, però, si era contemplata l’idea che le grandi banche potessero attingere nuovo capitale direttamente dal Tesoro. La scelta della prima e seconda proposta è sfociata in una crisi finanziaria ed economica su scala globale, alla quale ben si addice il nome di depressione. All’indomani della crisi, i democratici al Congresso sostengono che è possibile adottare tutte e tre le proposte. In effetti, la legge presentata in Senato da Christopher Dodd afferma di poter scongiurare future depressioni economiche senza sacrificare l’efficienza dei nostri mercati finanziari, né costringere il governo a nuovi salvataggi del sistema bancario con i soldi dei contribuenti. Tale «tripletta», tuttavia, risulta assai poco credibile. La legge, difatti, ipotizza la possibilità di futuri salvataggi, secondo quanto sostengono i repubblicani. Oppure, come sembra più plausibile agli scriventi, essa introdurrà un tale ventaglio di nuove regole che l’efficienza dei nostri mercati finanziari ne risulterà fortemente compromessa. Oggi i cittadini non sono in vena di normative leggere. Sanno benissimo che Wall Street è diventata un gigantesco casinò dove si creano scommesse che puntano esclusivamente a rastrellare profitti a proprio beneficio. Con la differenza che i contribuenti non solo sono chiamati a salvare i giocatori più sfortunati – e che hanno subito le perdite più cospicue – ma a sopportare altresì non poche disgrazie aggiuntive, come la perdita della casa, del posto di lavoro e di tutti i loro risparmi, se il casinò innesca, per sbaglio, una depressione economica. Le accuse rivolte a Goldman Sachs dalla Commissione per i Titoli e gli Scambi conferma questa ipotesi. Per gran parte degli ultimi vent’anni, la crescita esplosiva del mercato dei derivati si è rivelata tremendamente redditizia per i banchieri e per coloro che investono in titoli bancari. Questo, tuttavia, ha aggravato l’instabilità del sistema finanziario globale. E i contribuenti hanno pagato un prezzo ingente dall’inizio di questa crisi che, dagli ultimi mesi del 2008 in poi, ha trascinato l’intero sistema sull’orlo del baratro. giusto pertanto pensare di regolare il mercato dei derivati. Il guaio è che il Congresso non si accontenta di affrontare esclusivamente questo problema. Al contrario, la caratteristica comune ai due disegni di legge oggi in discussione è la loro inverosimile lunghezza e complessità (entrambi superano le 1300 pagine). Ci si aziendali. I risparmiatori accumulavano tassi d’interesse reali negativi, a causa dell’elevata inflazione. La deregulation – che condusse all’abolizione delle restrizioni sui tassi d’interesse applicati dalle banche – abbinata alle innovazioni finanziarie, apportò reali benefici all’economia americana negli anni Ottanta e Novanta. Secondo, non è affatto provato che la nostra crisi sia stata innescata esclusivamente dalla mancata applicazione delle regole, quanto piuttosto dalle inadempienze della politica monetaria. Una parte consistente della responsabilità per la bolla immobiliare – e il suo scoppio improvviso – è da ascrivere alla Federal Reserve, che sottostimò fino a che punto le pressioni inflazionistiche si erano spostate dai prezzi al consumo sui prezzi degli asset. stato un errore a medio termine del periodo 2002-2004. Non è da attribuire pertanto alla deregulation, quanto a una teoria monetaria difettosa. Terzo, la crisi del 2007-2008 ha preso avvio in uno dei settori più regolamentati del sistema finanziario: il mercato ipotecario residenziale americano. stata la concomitanza di fattori straordinari a trasformare la bolla dei subprime in una crisi finanziaria globale. Le principali forze in azione sono state l’uso sconsiderato della leva finanziaria per cassa e fuori bilancio delle banche, e i derivati, che consentivano puntate massicce e poco chiare fuori dal piatto, sul valore futuro delle case americane. Sono stati questi due fattori a ingigantire (ed esportare) le perdite del mercato ipotecario: i legislatori farebbero bene a studiarle attentamente. Occorre regolamentare il mercato dei derivati, nessuno lo nega, a cominciare però con una riforma che lo trasformi in un vero mercato. E adottiamo pure il pugno di ferro sull’eccessiva leva bancaria. Ma non ci illudiamo, nemmeno per un istante, di poter abolire sia i salvataggi che le depressioni economiche, perché non faremo altro che creare un ennesimo strato di normative statali. E questo equivale a finire infilzati sui corni del trilemma. chiede, stupefatti, se la cura proposta non si trasformerà in un ennesimo sintomo della stessa malattia. Man mano che le regole si fanno più contorte, di pari passo aumentano le occasioni per chi è privo di scrupoli – e diminuisce nel suo insieme l’efficienza di tutto il sistema finanziario. Esiste una credenza diffusa, ma errata, che la crisi finanziaria abbia avuto origine nella deregulation avviata sul finire degli anni Settanta. Pertanto si favorisce qualsiasi mossa che punti a restaurare il sistema normativo pre-reaganiano. Da quel che ci insegna la storia finanziaria, non ci siamo proprio. Innanzitutto, nei mercati finanziari degli anni Settanta, assai più controllati, i prestiti erano più costosi perché esisteva meno concorrenza. Le gestioni più deplorevoli erano protette, per tener lontani gli scalatori