Massimo Mucchetti, Corriere della Sera 30/04/2010, 30 aprile 2010
IL GRANDE INTRECCIO PADANO E IL SOTTILE VELENO DELLA POLITICA
Domenico Siniscalco ritira la propria disponibilità a essere candidato alla presidenza del consiglio di gestione di Intesa Sanpaolo, una volta constatato che Angelo Benessia, presidente della Compagnia di San Paolo, non è riuscito a coagulare i necessari consensi sia all’interno della fondazione torinese che nelle altre fondazioni azioniste, in particolare nella fondazione Cariplo e nella Cariparo. Chiunque si prenderà la poltrona oggi occupata da Enrico Salza, ammesso che qualcuno alla fine ci riesca, la decisione di Siniscalco, banchiere d’affari ed ex ministro dell’Economia fin troppo apertamente sponsorizzato dal sindaco di Torino e assai più discretamente dal ministro in carica, fa emergere quanto sia faticoso per la politica riconquistare le banche, che aveva privatizzato negli anni Novanta, utilizzando le fondazioni come cavalli di Troia.
Queste fondazioni, infatti, hanno una struttura troppo complessa, in parte legata ai più diversi enti locali e in parte alle istituzioni della società civile, per essere ridotte a mere cinghie di trasmissione dell’uomo politico del momento. Fosse stato proposto in un altro modo, Siniscalco sarebbe passato senza problemi in virtù di un curriculum superiore a quello dell’economista Andrea Beltratti, l’altro candidato torinese dal profilo tecnico, lontano dalla politica. Ma su questo punto bisogna intendersi.
Non è che tra banca e politica non ci siano colloqui. I banchieri usano incontrare esponenti del governo e dei partiti di ogni colore, e ieri Giovanni Bazoli ne ha visti tre di centro-sinistra, anche in luoghi pubblici come il Grand Hotel di Roma. Perfino un uomo lontanissimo dai riti romani come Enrico Cuccia dialogava con Ugo La Malfa e, più tardi, Mediobanca trovava sponde nei ministri Paolo Savona e Piero Barucci, come fa capire Sergio Siglienti nel suo memorabile libro sulla privatizzazione della Comit. Il punto è il potere sul credito: nel momento in cui lo Stato vende le banche, la politica perde il diritto di esercitarvi il comando. Il ministro Giulio Tremonti ne ha preso atto, ottenendo dalle fondazioni di origine bancaria una leale collaborazione nella Cassa depositi e prestiti in cambio del rispetto della loro autonomia. Un rispetto che di questi tempi si manifesta nelle colazioni periodiche con i banchieri milanesi piuttosto che nella nomina alla Cassa di un manager come Giovanni Gorno Tempini, vicino a Bazoli e però segnalato dal direttore generale del Tesoro, Vittorio Grilli.
D’altra parte, il legame con il territorio, rivendicato come ragione politica e nobile scopo dell’attivismo di sindaci, governatori eministri, rischia a ogni passo di scivolare nel campanilismo. E il campanilismo genera conflitti, non soluzioni. In grandi banche come Intesa Sanpaolo e Unicredit, nessuna fondazione ha partecipazioni abbastanza pesanti per dettare legge da sola. E quando si divide al proprio interno per regolare conti locali, una fondazione non riesce nemmeno a stringere le necessarie alleanze, come ha constatato la Compagnia di San Paolo che, in questi ultimi due anni, ha tentato inutilmente di coinvolgere nella defenestrazione di Salza prima le Generali e il Credit Agricole e poi le due altre grandi fondazioni di Intesa Sanpaolo.
Se la linea della fondazione Cariplo (non chiedeteci di farci corresponsabili dell’allontanamento dell’uomo con cui abbiamo fatto la fusione, assumetevi la responsabilità di indicare un altro nome altrettanto valido e indipendente e noi ci adegueremo) era scontata per tutti quelli che conoscevano il suo presidente, Giuseppe Guzzetti, la sorpresa è venuta dalla fondazione Cariparo, che aveva conferito la Cassa di risparmio di Padova e Rovigo nel Sanpaolo Imi di Torino. A Padova, nel Veneto leghista, il presidente della fondazione, Antonio Finotti, un personaggio della città, entrato in banca da impiegato e poi salito ai massimi vertici, non se l’è sentita di andare contro Salza senza un perché che potesse essere capito in riva al Bacchiglione. E questo è stato l’ostacolo che ha fermato la corsa di Siniscalco. D’altra parte, anche le discussioni sull’erogazione del credito nel territorio mostrano la corda quando si passi dalle chiacchiere propagandistiche alle decisioni vere. Perché un conto è il modello di banca, se finanziarizzata o commerciale, scelta importantissima ma non legata ai campanili e comunque in Italia assai meno drammatica che altrove, ben altro conto è trattare su quanto si presta e dove. Se lo stesso presidente del Veneto, Luca Zaia riconosce che la prima misura del legame di una banca con il territorio è il rapporto tra depositi e impieghi, l’analisi dei conti rischia di far vedere come proprio in tante zone che lamentano scarsità di credito i prestiti siano largamente superiori alla raccolta in loco. Aprire contenziosi in materia metterebbe un campanile contro l’altro, e allora addio Padania.
In questo contesto, l’endorsement del sindaco Sergio Chiamparino in favore di Siniscalco si è rivelato, com’era prevedibile, un dono avvelenato. Un dono che potrebbe risultare fatale anche all’attuale vertice della Compagnia, che ha trattato temi di incerta competenza quali il concerto tra fondazioni per le nomine del consiglio di gestione della banca. Nei giorni scorsi, dopo una severa reazione alle dichiarazioni del primo cittadino subalpino, Guzzetti aveva ricordato le procedure: gli azionisti eleggono il consiglio di sorveglianza e questo l’organo gestionale, senza summit impropri tra azionisti. La validità di questa governance duale era stata poi ribadita dal presidente del consiglio di sorveglianza, Giovanni Bazoli. Com’è stato spiegato a tutti, al presidente si possono inviare suggerimenti e raccomandazioni da parte delle liste, ma sempre lasciando al consiglio il potere decisionale. Entrambi, in sostanza, esprimevano una riserva sui modi di quella parte di Torino che vuol sostituire l’altra in tutte le sue posizioni di potere, nel fuoco di un contrasto interno al mondo del centrosinistra, mentre dalla Regione Piemonte appena conquistata il governatore leghista, Roberto Cota, pensa al domani.
Esaurite le nomine a Intesa Sanpaolo, restano i verbali della fondazione torinese, pubblicati ieri dal Corriere. Questi verbali pongono il ministero dell’Economia, che vigila sulle fondazioni, davanti al dilemma se si tratti davvero di un’invasione di campo o meno e, nel caso, se il fallo sia così grave da meritare che, in nome dell’autonomia del credito, si sostituisca un consiglio, espresso prevalentemente dai mondi del centrosinistra in parte contrario alla politica in banca e in parte no, con un altro consiglio fatalmente più vicino ai mondi della Lega, che dichiara di voler inserire uomini suoi in tutte le banche del Nord.