Maria Luisa Agnese, Corriere della Sera 30/04/2010, 30 aprile 2010
DIECI ANNI DI VITA (SEMISERIA) CON IL GPS
Quanto tempo è che non prendete in mano una carta stradale, quei fogli più grandi di un giornale che ormai giacciono consunti e spiegazzati nella tasca dell’automobile? Da quanto non vi sbracciate fuori dal finestrino urlando il nome di una via, di un ristorante? Da quando avete degnato di uno sguardo che non sia di estetico compatimento un cartello stradale?
Sono passati solo dieci anni dal primo maggio 2000 quando Bill Clinton ha definitivamente sdoganato ad uso civile il Gps (Global Positioning System), consentendo le attuali precisioni di 10-20 metri. Sembra ieri e invece in questi anni la navigazione satellitare ha cambiato la nostra vita e il paesaggio intorno a noi, facendo invecchiare di colpo i tanti cartelli che popolano le nostre strade. Che per quanto nati in una storia recente sembrano già piccole vestigia di archeologia industriale, totem malinconici che punteggiano la via come tante braccia del passato: «Frecce un po’ casuali e ridondanti, tanto più che nell’ultimo periodo, non essendo più la rete governata da un’unica autorità, erano fioriti innumerevoli cartelli fai-da-te di trattorie, vivai, agriturismi» spiega il sociologo Enrico Menduni, uno che di identità italiana se ne intende, perché nel 1998 aveva scritto per il Mulino un saggio sull’Autostrada del sole. E allora la sobrietà dei cartelli era quasi primordiale, perché dopo aver preso il biglietto al casello l’automobilista si trovava a un bivio manicheo: Nord/Sud.
Adesso è quasi come se con una capriola della storia fossimo tornati lì, grazie a questo oggetto di cui non possiamo fare a meno e che monitorizza le nostre vite, la British Science Association già un anno fa l’aveva messo al primo posto fra le dieci cose che ci hanno sconvolto l’esistenza. E infatti alzi la mano chi non ha imprecato almeno una volta contro la voce metallica che impone perentori bivi, cacciandoci talvolta in situazioni fantozziane.
diventato così protagonista del nuovo immaginario cinematografico, in incubi comici come quello di Aldo del celeberrimo trio, che in «Anplagghed» apostrofa il tom tom chiamandolo «Zoccola», o in ricostruzioni quasi paranormali, come ne «L’uomo nell’ombra», film di Polanski tratto dal Ghostwriter di Harris (secondo alcuni ispirato a Tony Blair), e dove il Gps montato su un’auto riporta sul luogo del delitto. Disastri ha fatto, il Gps, anche sulle vie d’Europa: dopo che alcune automobili erano finite nelle nobili acque dell’Avon, dall’Inghilterra partì la protesta dei piccoli paesi perché le rotte Gps riversavano nelle loro quiete vie orde di camion: chiesero, senza successo, di essere cancellati dalle mappe.
Peggio è andata a Montebelluna, Treviso, Italia, dove i camion si andavano ad accatastare sotto un ponte troppo basso per loro, e si parlò di «maledizione di Montebelluna».
Aveva ragione Giulio Tremonti quando due anni fa nel suo libro «La paura e la speranza» si chiedeva «Cosa è successo in questi anni in Europa? Perché, passando dall’utopia comunista all’utopia mercatista, abbiamo fatto del mercato unico il nostro nuovo habitat?». Creando un territorio popolato da icone inedite che Tremonti elencava, piazzando proprio il tom tom fra facebook, reality ed e-commerce. Di sicuro la cospirazione fra nuovi mezzi’ cellulari, internet e Gps’ ha creato un inaspettato obbligo sociale, la reperibilità: «Se ti cercano due volte e non ti trovano si insospettiscono» conclude Menduni «ti devi giustificare, e spesso il dentista non basta».