Nino Materi, il Giornale 27/4/2010, 27 aprile 2010
BONUS DI 10 MILIONI A CHI AVRA’ IL REATTORE IN CASA
C’è voluto del tempo, ma alla fine l’opzione nucleare ha vinto. Con buona pace dei catastrofisti che hanno sempre indicato nel nucleare il simbolo dell’energia «sporca». Di più, «pericolosa». Nulla di più sbagliato. Due, infatti, i punti decisivi a favore del nucleare: sicurezza (per l’uomo e l’ambiente) e abbattimento dei costi (che in tempi medio-brevi comporterà un risparmio sulle bollette energetiche). Il primo passo necessario per avviare la fase di ritorno dell’Italia al nucleare è quello di scegliere i siti che ospiteranno le centrali. I criteri sono stati precisati più volte: l’European Pressurized Reactor (Epr) di tecnologia francese - quello che sbarcherà in Italia - richiede zone poco sismiche, in prossimità di grandi bacini d’acqua senza però il pericolo di inondazioni e, preferibilmente, la lontananza da zone densamente popolate. Fra i nomi che puntualmente ritornano ci sono quelli già scelti per i precedenti impianti, poi chiusi in seguito al referendum del 1987: Caorso, nel Piacentino, e Trino Vercellese (Vercelli), entrambi collocati nella Pianura Padana e quindi con basso rischio sismico e alta disponibilità di acqua di fiume. Fra i luoghi più papabili, anche Montalto di Castro, in provincia di Viterbo, che unisce alla scarsa sismicità la presenza dell’acqua di mare. Secondo altri, fra cui i Verdi e Legambiente, il quarto candidato ideale è Termoli, in provincia di Campobasso, mentre in altre circostanze si è fatto il nome di Porto Tolle, a Rovigo, dove c’è già una centrale a olio combustibile in processo di conversione a carbone pulito. Gli altri nomi che ricorrono più spesso sono Monfalcone (in provincia di Gorizia) Scanzano Jonico (Matera), Palma (Agrigento), Oristano e Chioggia (Venezia). Altro capitolo cruciale: tempi di realizzazione e costi degli impianti. Qui il margine di approssimazione è elevato, ma le esperienze che vengono dall’estero indicano «circa cinque anni, con una spesa complessiva di 4-5 miliardi». Queste le cifre «chiavi in mano» per la costruzione di una centrale nucleare, dalla prima gettata di calcestruzzo all’avvio della produzione vera e propria. Se, come confermato ieri dal presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, l’Italia porrà la prima pietra della sua prima centrale nel 2013 è dunque plausibile che i primi kilowattora di energia prodotti dall’atomo arriveranno nel 2018. Una data più volte indicata come traguardo raggiungibile sia dal ministro dello Sviluppo economico, Claudio Scajola, che dall’amministratore delegato dell’Enel, Fulvio Conti. Rischi di «sforamento» rispetto ai tempi e ai costi sono sempre elevati, ma va ricordato come in 20 anni le tecnologie siano profondamente progredite e avviare una centrale in un sito già utilizzato significherebbe non ristrutturare la precedente ma doverla smantellare completamente per costruirne una nuova. «I tempi di costruzione - spiegano gli esperti - variano a seconda delle caratteristiche geofisiche del posto dove la centrale viene realizzata e a seconda delle tecnologie utilizzate». Inoltre, in base al decreto legislativo varato a dicembre dal Consiglio dei ministri, i siti che decideranno di ospitare le centrali potranno ottenere bonus sostanziosi, introno ai 10 milioni di euro l’anno, destinati sia agli enti locali che ai residenti delle zone coinvolte. Ogni reattore, per dare un’idea della capacità di generazione, potrà cioè alimentare una città come Roma. Per raggiungere l’obiettivo indicato dal governo e cioè arrivare entro il 2030 a coprire il 25% del fabbisogno energetico nazionale con fonti nucleari, il Paese avrà bisogno di 8 reattori di simile portata. Ma aldilà della pura fase operativa, oggi si è finalmente sgombrato il campo dai vecchi pregiudizi anti-nucleari. Forse, aprendo una nuova era.