MAURIZIO CROSETTI, la Repubblica 28/4/2010, 28 aprile 2010
NEL VENTRE DEL CAMP NOU DOVE IL CALCIO SOLO LEGGENDA
Come un´enorme bocca carnosa spalancata verso un cielo di smalto, lo stadio più grande d´Europa ha una voglia matta di mangiarsi l´Inter. Le poltroncine sulle gradinate del Camp Nou sembrano denti di dinosauro, e la scritta in catalano che accoglie i viandanti – "Benviguts", benvenuti – non rassicura mica tanto. Come in una favola nera, il mostro ha sempre fame. Da mezzo secolo si sazia di avversari, e al rito partecipano stasera 98.787 spettatori. Ma per una volta, potrebbero restare con l´appetito.
Per capire uno stadio, bisogna vederlo vuoto: ci sono momenti in cui il silenzio urla. Ed è bello giocare con l´eco da una tribuna all´altra, gridando una parola scema, come bambini, aspettando che torni indietro. Ieri, lo abbiamo fatto alla modica cifra di 9 euro: visita guidata, stadio più museo del Barcellona. Per comprendere cos´abbia di speciale il luogo del delitto annunciato. Per curiosare. Perché chi ama il calcio e viene qui, è come se andasse al Louvre o agli Uffizi. Seguiteci.
Prima ti fanno salire a piedi, lungo scale di ferro che rimbombano come tifosi assatanati. E´ tutto buio. Mani di generazioni innamorate hanno graffiato cuori sul cemento: i muri portano i segni del passaggio, nomi e date, pare quasi il balcone di Giulietta. Altezza massima 48 metri, spiega il dépliant. Si arriva in cima con la lingua di fuori, ed è subito vertigine: perché il Camp Nou non è uno stadio, è uno strapiombo, è l´orlo di un burrone. Da quassù, il prato pettinato a riquadri come una tela di Klee sembra davvero il più largo di tutti, e un tempo lo era: questo serviva al Barça per disorientare l´avversario, che in quell´ampiezza a volte si stordiva di palleggi. Poi l´Uefa ha richiamato il club all´ordine geometrico, e ora il campo è largo 68 normalissimi metri (105 la lunghezza).
Il cratere dello stadio è dipinto di blu (anzi, di "azùl") e granata ("grana"), i leggendari colori sociali. L´impatto è formidabile. Venne inaugurato nel 1957 e voluto da un presidente, Francesc Mirò-Sans, che per non sbagliarsi affidò il progetto a suo cugino, Francesc Mitjans, architetto. Costò, al tempo, 288 milioni di pesetas e servì a onorare degnamente la prima stella straniera della storia del Barça: l´ungherese Ladislao Kubala (1927-2002), oggi fermato per sempre nel marmo della statua all´ingresso. Mancano viceversa i simulacri di Cruyff, Maradona e Ronaldinho, gli altri astri di questa incredibile galassia azùlgrana. Ma è come se fossero qui, fantasmi di una bellezza senza tempo.
Se non fosse stata la vigilia di Barcellona-Inter, ci avrebbero portato pure negli spogliatoi e nel tunnel che conduce al prato (ma si spendono 17 euro, non 9), ci avrebbero fatto toccare gli armadietti dei giocatori (il tifoso è sempre un feticista), ci avrebbero mostrato persino i bagni dei campioni (il tifoso è sempre un malato di mente). Invece, mezza visita è vietata. Così si scende direttamente al museo, non prima di avere sfiorato la cappella privata dove pregano i giocatori, dedicata alla Vergine di Montserrat, patrona della Catalogna: ve l´immaginate, Materazzi che recita il rosario con Gattuso a San Siro?
Il primo oggetto in mostra è proprio la Coppa dei Campioni, illuminata in una sacra teca. Fino a stasera, gli interisti potranno guardarla e fotografarla con telefonino, da domani chissà. Chi lo desidera, alla fine della visita può farsi immortalare stringendo una copia fedele del trofeo, oppure mettersi in posa accanto a un Messi virtuale: anche i luoghi mitici finiscono per svaccare in Gardaland.
Tra pareti al plasma in cui il Barcellona non smette mai di segnare, e altre vetrine ondeggianti sotto il peso delle coppe, si apprende che il Camp Nou arrivò a contenere fino a 121.749 spettatori durante il mundial ´82: quando l´Italia, battendo in semifinale 2-0 la Polonia, imboccò la gloriosa strada verso Madrid, identico pellegrinaggio che l´Inter si augura di seguire adesso. E la storia di questo luogo non si ferma: nel 2012 sarà pronta l´ultima versione firmata da Norman Foster (suoi, tra gli altri, il "Millenium Bridge" di Londra e il nuovo Wembley), una pioggia di piastrelle colorate (la tecnica del mosaico si chiama "trencadis") tra Gaudì e Arlecchino, e una capienza finale di 106 mila persone. In confronto, il "Bernabeu" di Madrid (che non è neanche un "five stars" dell´Uefa, ma si vergognino!) sembrerà fatto col lego.
Poi si esce dallo stadio, tra bar e spicchi d´erba dove i ragazzi si rosolano al sole in una luce africana. Aria di festa e vacanza, in attesa che si spalanchi la bocca che ha sempre fame. In un paesaggio di gru e palazzi, ecco infine un incongruo e magnifico campetto da pallone tutto terra e sassi, con le porte sbilenche, proprio accanto al mastodonte. L´ultima sala del museo, involontaria, si intitola "il calcio com´era, e perché lo amiamo".