FRANCESCO MERLO, la Repubblica 28/4/2010, 28 aprile 2010
SE L´ATTORE ANTI-MANZONI ASSOMIGLIA A DON ABBONDIO
Vedrete, sarà un trionfo perché è davvero il migliore di tutti i nostri attori e perché è il carattere italiano perfettamente disegnato nei Promessi Sposi l´Albertazzi-Tramaglino che nell´osteria annaspa negli spropositi e dice che – bum! – «Manzoni non sa scrivere in italiano». E´ terribilmente manzoniano "don Abbondio Albertazzi" che non ha il coraggio di fare quel che in cuor suo vorrebbe e dovrebbe, cioè disobbedire e recitare Raskolnikoff invece di adattarsi all´autorità, alla Curia, al committente Michele Guardì e, domani sera, nel Duomo di Milano, dare parole e anima a Egidio, a Gervaso e ad Agnese: «che ci posso fare, mi annoiano!».
Avrebbe voluto dire no "Albertazzi di Monza" perché «io le cose – ha dichiarato testualmente – le leggo quando mi va», ma ha risposto "sì" e dunque, davanti al cardinale Dionigi Tettamanzi, lo sventurato interpreterà il cardinale Federigo Borromeo, un santo che gli sembra scipito perché è l´oleografica incarnazione di quelle virtù astratte – bontà, carità, fede e speranza – che irritano "il conte Attilio Albertazzi".
Un gradasso da salotto che, credendo che il mondo si spolveri con un soffio, ieri ha confessato alla collega di questo giornale Simona Spaventa che «i buoni sono noiosi», ammiccando ai ragazzini che per intemperanza anagrafica cadono nel melenso luogo comune che Manzoni è noioso, brutto e persino analfabeta.
E ha aggiunto di essere fermo ai suoi venti anni: «Non ho mica cambiato idea». Non gli piacciono i Promessi Sposi perché ad ogni adolescente non piace il mondo degli adulti, cerca personalità appassionate ed eroiche, e magari i bravi gli piacerebbero se non fossero delinquenti, ma di don Abbondio disprezza la mancanza di carattere, di Renzo Tramaglino non sopporta l´assenza di ardore e di sessualità, Lucia gli ricorda il francobollo della mansuetudine, Gervaso gli sarebbe simpatico se non fosse scemo, don Rodrigo è mediocremente forte con i deboli e debole con i forti e anche Gertrude è solo una povera disgraziata che ammazza le novizie, una patetica donna a delinquere, prodotto feroce delle abitudini familiari bigotte. Ma che bisogno ha Albertazzi di fingersi ancora adolescente?
Ci sono bellissime pagine sparse del Manzoni sui giovanilisti che trasformano i vezzi degli adolescenti in vizi: «La verità è che non l´ho letto». A venti anni si può saltare nel cerchio di fuoco e rompere le noci con i denti, ma il pregio degli ottantenni è la saggia accumulazione dell´esperienza. A venti anni non leggi Manzoni perché davvero per un ragazzo è noioso, ma se a ottanta anni non l´hai letto vuol dire che sei un po´ più povero. E se parli, in punta di competenza, di un libro che non hai letto ti ricongiungi con l´infantilismo. (E si sente l´eco di quell´altro allegro luogo comune: « la scuola che ci fa odiare Manzoni») .
Colto e bravo com´è, non ti aspetti da Albertazzi giudizi così grevi su un autore importante che non pratica, un passo indietro persino rispetto al "don Ferrante Albertazzi" che, preso di sé, confonde gli effetti con le cause, scambia la realtà con la sua rappresentazione e per rifiutare l´Italia dei Promessi Sposi - «soap opera» - rifiuta lo scrittore che meglio di tutti l´ha raccontata, un po´ come quelli che per opporsi alla mafia danno del mafioso a Sciascia perché per primo l´ha descritta così bene.
E alla fine dell´intervista si mette anche la retina di vanità dei "bravi" sulla testa l´Albertazzi che dice d´essere «l´unico artista vivente» gloriandosi di avere una stanza con il suo nome al Grand Hotel de Milan che, ovviamente, è tutto dedicato a Don Lisander.
Dunque, domani sera, recitando, Albertazzi dovrà far piacere quel che non gli piace, ed è, secondo lui, il destino dell´attore, non avere identità per accoglierne mille: «Che volete farci, io sono una puttana». Ma forse questa è un´idea da esecutore e non da interprete, una concezione dell´attore un po´ usurata che mal si addice a un genio del teatro che sa bene come il grande artista, pur prestandosi a diversi personaggi, riesca sempre a determinarne lo stile. Albertazzi ha reso inimitabili perché sempre diversi, persino ogni sera diversi, i suoi eroi, pur nella tecnica perfetta della reiterazione e nella completa padronanza della messa in scena. Accadeva anche agli altri due geni del nostro teatro, Vittorio Gassman e Carmelo Bene, il primo indimenticabile lettore del Manzoni con il lago di Como come palcoscenico ed entrambi protagonisti ineguagliati di due Adelchi. Bene, che pure era certamente trasgressivo e persino maledetto, considerava Manzoni «la vetta del tragico» e, per quella bonaria cattiveria tipica dei grandi del teatro, aveva messo al suo cane il nome "Albertazzi".
Non c´è nulla da temere per lo spettacolo di domani sera, e sbaglia la Curia di Milano a infastidirsi. Come dicevamo all´inizio, sarà un trionfo. E non solo perché Albertazzi ha rivelato di essere antropologicamente un perfetto Renzo Tramaglino, l´italiano che vuole fare il diavolo a quattro e invece impara a memoria "addio monti sorgenti dall´acque…", ma soprattutto perché è davvero "bravo" (ops!).