Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  aprile 28 Mercoledì calendario

I GIUDICI STAR NON RISPONDONO NEANCHE AI COLLEGHI

La magistratura che fa autocritica? Ma per favore. Un quotidiano nazionale, tra il 18 e il 19 ottobre 2007, commissionò un sondaggio sulla fiducia degli italiani nella toghe, e venne fuori questo: il 55,8 per cento riteneva che la magistratura agisse con fini politici, il 66,4 che non fosse imparziale e il 46,3 che i giudici non meritassero alcuna fiducia. Bene: è cambiato qualcosa, da allora? Chiaro che no, e non solo nei termini conflittuali che dividono la magistratura dalla classe politica, ma soprattutto a margine della giustizia che gli italiani vivono sulla propria pelle: quella delle cause che durano quindici anni e di chi viola la legge confidando sulla lentezza dei tribunali. Poi, certo, c’è lo snodo giustizia-politica, anzi, giustizia politica: quella delle starlette in toga, attori qualunque del grande spettacolo mediatico.
Max e Walter
Ma anche qui: da quanto ne parliamo? E che autocritica hanno mai fatto, i magistrati? Beccatevi ”sta scena: siamo al Palafiera di Roma e si celebra il congresso del Pds con invitato speciale Silvio Berlusconi. Il segretario del Partito, invece, si chiama Massimo D’Alema, e nel suo discorso dice questo: «Basta con la giustizia-spettacolo e con l’uso strumentale delle inchieste giudiziarie, ci battiamo per una giustizia normale». Interviene anche un cosiddetto giovane, Walter Veltroni: «Basta con l’uso strumentale della magistratura». Applaude in prima fila Gianni Letta. Che anno è? Il 1995, 6 luglio. Che cos’è cambiato?
Oddio, qualcosa è cambiato. Magari nel 1995 non c’era un Capo dello Stato che invitava esplicitamente i magistrati
all’autocritica e al silenzio, e non c’era un vicepresidente del Csm, Nicola Mancino, che per ben due volte li pregasse è accaduto negli ultimi tre anni d’essere «sordi e muti» con ciò richiamandoli all’articolo 6 del codice deontologico: «Nei contatti con la stampa il magistrato non sollecita la pubblicità di notizie attinenti alla propria attività». Non c’era neppure un Luciano Violante uno che un tempo qualche ascendente sulle toghe pure lo aveva che si costringesse a ribadire: «Un magistrato non deve usare i mezzi di informazione per conquistare consenso». Tutte frasi pronunciate negli ultimi tre anni. Magari sì, nel 1995 era anche impensabile che l’Associazione nazionale magistrati potesse chiedere, a due colleghi come Clementina Forleo e Luigi De Magistris, «di rientrare ciascuno nel proprio campo». Molte cose erano diverse, a metà degli anni Novanta: le toghe superstar avevano curriculum e cognomi come quelli di Borrelli, D’Ambrosio, Colombo, Caselli, Greco, Boccassini e altisonanze varie. Oggi invece le starlette della giustizia-spettacolo vivono come farfalle, non hanno
neppure bisogno di qualche particolare medaglia alle spalle. E chi li ferma? Sono indipendenti da tutto, anche dalla loro stessa corporazione.
Noi giornalisti, poi, a proposito di autocritica, parliamo come se tanta parte dei protagonismo giudiziario non l’avessimo costruito noi: compresi molti che oggi stramaledicono le toghe e trasudano garantismo. Siamo stati noi dico noi per modo di dire, perché io francamente non l’ho mai fatto che abbiamo permesso quelle dirompenti interviste che nel 1993 permisero al Pool di Milano di abbattere il famigerato Decreto Conso, eravamo noi la corporazione che dal settimanale L’Europeo regalava gli adesivi «Forza Di Pietro» e che titolavamo, sul berlusconiano Sorrisi e canzoni, «Di Pietro facci sognare», eravamo noi a dar spazio a certe interviste a Francesco Saverio Borrelli che parevano degli editti: «Chi ha scheletri negli armadi non si candidi alle elezioni», riferito a Berlusconi, of course. Noi, nel luglio 1994, a collaborare con la magistratura all’affossamento del celeberrimo Decreto Biondi, autentico caposaldo della giustizia spettacolo con Di Pietro piazzato davanti alle telecamere (aria sfatta, niente cravatta, barbaccia incolta) a leggere un comunicato appellato direttamente alla gente.
Nera e rosa
E se quelli erano i giganti, va da sé che i nani intanto potessero prosperare. Difficile dimenticare il pm Alessandro Chionna che nel 1996 arrestò Gigi Sabani (poi prosciolto) salvo maritarsi con l’ex fidanzata di lui, la showgirl Anita Ceccariglia. Un po’ come quando il gip di Aosta Fabrizio Gandini, dapprima incaricato di sciogliere il caso Cogne, estrasse dal calderone massmediatico l’inviata del Tg1 Elisa Anzaldo: finì per sposarla nel 2003. Neanche sulla spettacolarità dell’inchiesta potentina di John Henry Woodcock servirono particolari commenti, né interessa il particolare rapporto professionale tra lui e la giornalista Federica Sciarelli, con la quale fu immortalato in varie situazioni. Il palcoscenico giudiziario ha ospitato ogni genere di commedia. Chiedetelo a Carlo Madaro, il pretore che diventò ospite fisso di giornali e televisioni come paladino del metodo anticancro promosso da Luigi Di Bella: Madaro alla fine divenne consigliere regionale dell’Italia dei Valori. Niente di strano, dunque, che Luigi De Magistris ne abbia seguito le orme. Niente di strano che magistrati tipo i De Magistris e le Forleo e i Woodcock non abbiano neppure avuto bisogno dell’appoggio della loro corporazione: figurarsi che poteva importar loro dei politici, o dei presidenti della Repubblica, questi ferrivecchi. Vediamo se adesso è cambiato
qualcosa.