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 2010  ottobre 28 Giovedì calendario

IN CARCERE PER TREDICI ANNI, ORA AVR UN NUOVO PROCESSO

Ci sono aspetti della giustizia italiana che continueranno a stupire sempre. Di fronte ai quali si continuerà a rimanere perplessi, quasi sospesi. Indecisi se gioire oppure disperarsi. Come sta facendo nella sua cella Vincenzo Faiuolo, uno degli esempi viventi della stravaganza dei tribunali. A luglio avrà 48 anni, tredici dei quali li ha trascorsi in prigione per un omicidio, anzi per due, che sono stati commessi da un serial killer che li ha pure confessati, Ezzedine Sebai, un tunisino che tra il 1990 e il ”94 ne fece fuori quattordici, di signore anziane che abitavano in paesini pugliesi. Faiuolo dovrebbe essere a casa. E con lui un’altra decina uomini che furono arrestati in Puglia quand’erano ragazzi, per i delitti commessi da quella sola persona. Invece sono ”quasi” tutti ancora in carcere. E il ”quasi” significa che qualcuno non li ha retti questi anni di prigione, e si è ucciso.
Ieri per Faiuolo si è accesa una luce. Perché la Corte d’Appello di Bari ha riconosciuto il suo diritto alla revisione del processo che lo ha condannato. Il suo avvocato, Claudio Defilippi, uno dei maggiori esperti di errori giudiziari, potrà finalmente mettere sul tavolo le prove che ha raccolto in questi anni. Che ieri, intanto, la Corte d’appello di Bari ha riconosciuto valide nel motivare il via libera al nuovo processo. A leggerle vengono i brividi: a casa di Sebai c’era un anello della vittima e anche un ritaglio di giornale che parlava del delitto; due parroci dicono di averlo visto vicino il luogo dell’omicidio; una perizia esclude che l’assassino abbia utilizzato la mano destra, come addebitato a Faiuolo, e altro ancora. Cosa c’era contro di lui, verrebbe da chiedersi: c’è un’altra confessione, la sua. Estorta, però. Senza la presenza di un avvocato, come sottolinea la corte nella sentenza di ieri. E comunque superata e smentita da quella più ampia che Ezzedine Sebai, rovesciò nei verbali del pm di Milano Alberto Nobili il 10 febbraio 2005: «Ho avuto un’infanzia difficile in Tunisia, mio padre mi picchiava spesso e fin da piccolo ho cominciato a bere alcolici, dormivo fuori di casa, e da quando avevo circa 12 anni ho cominciato a fare rapine sia in danno di familiari (compresa mia madre e mia nonna) che di altre donne. Ho sempre agito in stato di ubriachezza contro donne anziane». E ancora: «Sono venuto in Italia quanto avevo circa 24 anni e pur avendo sempre lavorato come bracciante non ho mai perso il vizio del bere, in occasione del mio primo omicidio, avvenuto a Foggia nel gennaio del 1994 ho avuto la sensazione, da ubriaco di trovarmi al mio paese e di fare una delle ”solite” rapine». Le disse cinque anni fa, queste cose. Ma forse i tempi non erano maturi perché fossero smontati i teoremi delle tante procure pugliesi che avevano già assicurato alla giustizia i ”loro” colpevoli. Il paradosso diventò evidente quando Sebai fu condannato. Per la giustizia era lui il serial killer, ma gli altri imputati continuarono a restare dentro. E il paradosso è rimasto tale anche ieri. Perché nel dare il via libera al processo di revisione per Faiuolo, nell’elencare la sfilza di prove che lo fanno ritenere innocente, la Corte lo ha tenuto ancora in carcere. Tanto per confermare che è proprio vero: in un tribunale non sai mai quando gioire e quando disperarti.