La Stampa 28/4/2010, pagina 34, 28 aprile 2010
INTERVISTA A BETTIZA
Enzo Bettiza, grande firma del giornalismo italiano, è stato collega di Dino Buzzati al Corriere della Sera negli anni 50-60.
Come li ricorda?
«Benché affermatissimo narratore, era rimasto, dal punto di vista operativo, il più redattore di tutti. Non lasciava mai trasparire l’artista che covava in lui, ma appariva lontano, quasi marziale. Ricordo un redattore molto diligente e molto capace. Correggeva i pezzi con scrupolo e umiltà e sapeva titolarli con mestiere e sapienza. In una parola, era un grande artigiano di redazione. Inoltre scriveva a caldo commenti sui fatti del giorno che più si adattavano alla sua sensibilità di giornalista. Per quanto mi riguarda, devo molto, come ho scritto in Via Solferino, all’attenzione generosa quanto schiva che Buzzati dedicò ai miei scritti di principiante».
La fortezza Bastiani del Deserto dei Tartari era in realtà una metafora militaresca della vita al giornale. Ma quella vita, negli stanzoni di via Solferino, era proprio una così monotona e estenuante attesa?
«Sì, circolava quest’aria da sempre, già dai tempi dei Lilli e dei Piovene. Tu vedevi impilare sul tavolo di un redattore, che era lì da secoli, le strisciate delle agenzie, la mazzetta dei giornali e persino il bollettino della pensione, ma quello era morto da tempo. Il Deserto era effettivamente una perfetta trasposizione dell’immagine un po’ angosciosa che Buzzati aveva della vita al Corriere, in eterna attesa di qualcosa che non succedeva. Sempre in Via Solferino proponevo un confronto tra i due grandi quotidiani di allora. Dicevo che se bussavi a una porta della Stampa di De Benedetti si apriva subito e magari ti arrivava anche un pugno. Se bussavi a una porta del Corriere, si apriva lentamente e apparivano dei fantasmi».