Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  aprile 28 Mercoledì calendario

IMPOSSIBILE ORIGINE ORGANICA DEL PETROLIO

C’è un mistero che aleggia sul petrolio e non è quello della sua più o meno imminente fine, ma quello dell’origine.
Il dibattito agita la comunità scientifica da più di un secolo eppure basta fare un giro in Internet per scoprire che la discussione è ancora accesa. La teoria standard, avanzata dal russo Mikhail Lomonosov nel 1757 e oggi condivisa dal 99,9% dei geologi, sostiene che i combustibili fossili sono il prodotto di un processo di «cottura a pressione» di materia organica durato milioni di anni. Questa valutazione depone a favore di una risorsa limitata e preziosa ed è sostenuta soprattutto dagli occidentali. Ma ogni tanto riprende vigore la teoria «abiogenica», proposta da Mendeleyev nel 1877, sostenuta negli Anni 50 da Porfiryev e Kudryavtsev e divenuta la bandiera di un gruppo di geologi russi e cinesi. Questa idea alternativa alimenta il sogno di una disponibilità quasi illimitata di risorse energetiche e ha vaste implicazioni economiche e politiche che vanno ben oltre la disputa scientifica.
A riaccendere la controversia è stato un articolo su «Nature Geoscience». I russi Kolesnikov e Goncharov, guidati da Vladimir Kutcherov del Royal Institute of Technology di Stoccolma, hanno dimostrato in via teorica che alcune reazioni chimico-fisiche ad alta pressione possono produrre idrocarburi nel mantello terrestre. Dunque la domanda non sarebbe «se», ma «quanto» petrolio abiogenico esista e se possa essere sfruttato a fini commerciali.
Per Giuseppe Etiope, geologo dell’Ingv - l’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia - e autore di numerose ricerche sugli idrocarburi, non c’è però storia: «Il petrolio abiogenico esiste, ma le quantità sono piccole. Se anche si trovasse una quantità pari ad uno dei giacimenti del Mar Caspio, con 2 miliardi di barili, sarebbe appena sufficiente a coprire il fabbisogno globale di un mese. Inoltre, date le profondità, il petrolio abiogenico avrebbe costi di centinaia di dollari al barile».
E tuttavia prove e controprove a favore dell’una o dell’altra teoria si accavallano. Secondo l’«ortodossia», milioni di anni fa i resti di alghe, plancton e vegetali, trascinati dai fiumi, si depositarono su fondali marini. Qui furono ricoperti da sabbia e limo che formarono le «rocce madri» del petrolio. Una volta formato, poi, il petrolio è migrato verso altre rocce, più favorevoli al suo accumulo. Il greggio attualmente estratto è quindi, oltre ogni dubbio, «biologico», come conferma la mole di osservazioni raccolte in anni di studi.
Qualche punto, però, rimane oscuro: la presenza nel petrolio di spore, pollini e porfirine (molecole azotate presenti nelle cellule animali e vegetali), considerati una delle prove dell’origine biologica, può essere dovuta a un’«intrusione» dalle rocce circostanti. E alcune molecole biologiche (fitano e pristano) possono formarsi anche attraverso reazioni inorganiche. Gli abioticisti suggeriscono allora varie ipotesi alternative: per esempio che degli idrocarburi primordiali siano rimasti intrappolati nella Terra in formazione. Per altri il petrolio si sarebbe formato nel mantello terrestre, a centinaia di km di profondità. Se i giacimenti oggi sfruttati si trovano in bacini sedimentari e non in rocce magmatiche, ci sono però delle eccezioni, come i giacimenti in graniti e basalti nel bacino russo del Dnieper-Donets o nel sito di White Tiger in Vietnam.
Gli «eretici» mettono poi in dubbio che in corrispondenza dei bacini sia esistita una quantità di organismi sufficiente a formare tutto il petrolio scoperto, se è vero che per produrre un litro di benzina servono 23 tonnellate di materia organica. In base ai loro calcoli, la biomassa per produrre il petrolio consumato dalla rivoluzione industriale ad oggi sarebbe pari a quella esistita sul pianeta per 13 mila anni, mentre, al contrario, secondo il geofisico J.F. Kenney, per formare il petrolio del campo saudita di Ghawar sarebbe bastato un cubo di residui fossili di 30 km di lato.
«Eppure i dati non sono in contraddizione - sostiene Etiope -. I volumi di ”roccia madre” sono enormi e il petrolio si è formato in milioni di anni e, dunque, la quantità di biomassa a disposizione è stata più che sufficiente». Secondo lui, perciò, la «querelle» nasce da un equivoco: «E’ questione di quantità. Molti geologi ammettono che il petrolio abiogenico possa esistere, ma solo in quantità minime e a grandi profondità, anche se in qualche caso si è osservato petrolio in sistemi geotermici e idrotermali». E’ di conseguenza improbabile che il mantello terrestre ospiti l’Eldorado nero vagheggiato dagli abioticisti.
Diversa è invece la questione della produzione abiogenica del gas, in particolare il metano. «In questo caso - precisa il geologo - le quantità in gioco possono essere rilevanti e non si escludono veri giacimenti abiogenici, come in Turchia e Cina». Etiope, che ha studiato il metano abiogenico che alimenta i fuochi naturali di Kemer, in Turchia, è stato a Pechino per la «Deep Carbon Cycle International Conference», in cui ha presentato gli studi sull’origine e sull’emissione nell’atmosfera di idrocarburi. Ma con i ricercatori della Nasa, Etiope studia anche un’altra misteriosa fonte di metano, quella marziana. «La sua presenza sul Pianeta Rosso è stata interpretata come una possibile prova che lì ci sia vita, perché sulla Terra il gas è spesso associato all’attività di microbi. Ma non è necessario. Potrebbe derivare da materiale organico trasportato da meteoriti o da antichi microrganismi, ora estinti, o potrebbe generarsi da processi inorganici».
Per avere una prova si dovranno aspettare le prossime missioni su Marte, dove i «landers» faranno accurate analisi chimiche nel suolo. Le ricerche porteranno nuovi elementi per capire l’origine abiogenica degli idrocarburi sulla Terra?