FABIO MARTINI, La Stampa 28/4/2010, pagina 19, 28 aprile 2010
ARRESTATO ANGELINI (+
intervista) -
In piena notte andarono ad arrestarlo nella sua casa di Collelongo. Rinchiusero Ottaviano Del Turco in galera con l’accusa infamante di essersi messo in tasca mazzette per sei milioni di euro. E mentre il Governatore abruzzese, in isolamento, non poteva dire la sua, i magistrati di Pescara dichiararono che contro di lui c’erano «prove schiaccianti». L’accusa? Si poggiava sul racconto del collaboratore Vincenzo Angelini, il re delle cliniche abruzzesi. Un pentito. O un sedicente pentito?
In quei giorni il dubbio non fu coltivato, sta di fatto che dopo i titoli in prima pagina, le dimissioni di Del Turco e l’accettazione acritica delle tesi dell’accusa, i magistrati si presero un altro anno e mezzo di indagini. Disposero rogatorie, al termine delle quali non un euro fu trovato in conti esteri. E dunque l’unica prova a carico degli amministratori era rimasta la parola di Angelini.
Ieri la credibilità della parola del cosiddetto superteste si è incrinata: la procura di Chieti ha disposto l’arresto (ai domiciliari) di Angelini per bancarotta fraudolenta aggravata da falso in bilancio.
Le indagini hanno accertato una distrazione delle risorse della società Villa Pini per 100 milioni, con prelievi ingiustificati dai conti correnti aziendali. La procura ha disposto anche il sequestro di quadri preziosi (Guttuso, De Chirico, Tiziano) per un valore di 900 mila euro.
Già il 3 marzo, grazie a una soffiata, carabinieri e finanzieri erano riusciti a intercettare tappeti preziosi, quadri antichi, gioielli d’oro, porcellane rare mentre stavano per essere caricati su alcuni furgoni. Angelini si stava preparando a scappare col tesoro?
Soltanto illazioni, così come è presto per parlare di nemesi o di ribaltamento del senso dell’intera vicenda. Ma se la clamorosa inversione di tendenza dovesse confermarsi, quello di Del Turco potrebbe diventare un caso giudiziario, utile magari a chi denuncia le persecuzioni giudiziarie.
La storia dell’inchiesta - da quando se ne conoscono le carte - presenta diversi punti controversi. All’inizio Angelini aveva negato ai magistrati di aver pagato amministratori pubblici, poi ci aveva ripensato nel corso di un interrogatorio, iniziato con una frase sbalorditiva e messa a verbale: «Sono qui perché mi è stato garantito che sarei stato compreso...».
Poche settimane dopo, sulla base delle accuse di Angelini («Ho dato a Del Turco sei milioni di euro e dentro la busta, nella quale gli avevo portato parte dei contanti, mi ha messo delle mele...») il Governatore viene arrestato.
Ma in quel frangente l’opinione pubblica e le parti (lo si sarebbe saputo soltanto al deposito degli atti) non conoscono un rapporto dei carabinieri del Nas, secondo il quale Angelini era stato svantaggiato dal presidente Del Turco che tra il 2005 e il 2007 aveva tagliato i fondi alle sue cliniche con una decurtazione di circa 43 milioni di euro.
Tagli che si sarebbero rivelati giustificati dalle truffe messe in opera da Angelini («Doppia remunerazione delle prestazioni rese», «apertura di 10 cartelle per lo stesso paziente»). Un personaggio che però per la procura di Pescara è sì un truffatore ma anche vittima «di estorsioni politiche». E soprattutto è la colonna dell’accusa.
Una lettura che non convince la procura di Chieti che si attiva per conto proprio e per la quale Angelini diventa «un bancarottiere senza scrupoli». Pronto a tutto pur di giustificare le distrazioni dai fondi della sua Villa Pini.
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Ottaviano Del Turco siamo alla nemesi: l’arresto del suo accusatore in qualche modo la ripaga?
«Non riesco mai a gioire per l’arresto di qualcuno, anche se fosse il mio peggior nemico».
Lei in carcere, Angelini a casa: sono stati usati due pesi e due misure?
«Si potrebbe rilevare che da parte delle Procure ci sono due stili diversi: io fui sbattuto in isolamento, con quattro turni di sorveglianza a vista per alcuni giorni, mentre per Angelini sono stati disposti gli arresti domiciliari nella sua villa di Francavilla».
La Finanza ha trovato beni, per un valore superiore a quello che Angelini sostiene di averle versato in forma di tangenti...
«Lei cosa vorrebbe dire?».
Con una battuta, senza prove, si potrebbe immaginare che finalmente si è capito dove erano finiti i soldi delle sue tangenti...
«Per restare in sintonia con le sue battute, potrei dire: quelli sono i miei soldi, li rivoglio! Un modo per sdrammatizzare ma qui c’è poco da ridere. Quel che è accaduto è grave».
Ammesso e non concesso che il suo sia un nuovo caso Tortora, quale le pare la cosa più grave?
«Dando credito alla parola di un uomo, si è consentito di azzerare una amministrazione regionale che aveva vinto le elezioni con il 60% dei consensi, il più alto nella storia abruzzese».
Le è sembrato giusto non conferire la cittadinanza onoraria abruzzese a Bertolaso?
«Scusi, ma come si chiama il sindaco dell’Aquila?»
Cialente
«Ah sì? Pensavo si chiamasse Tafazzi».
Il Pd abruzzese del nuovo corso le ha fatto ampi riconoscimenti, segnali da Roma?
«La viltà di Veltroni non la dimentico, quanto a Bersani continua a dire: lasciamo lavorare i giudici. Giusto, ma quando certe decisioni incidono pesantemente, si sfiora la complicità».
Il 12 maggio si pronuncerà il Gup, primo di una lunga serie di passaggi. Cosa si augura?
«L’assoluzione perché il fatto non sussiste».
FABIO MARTINI