GUIDO RUOTOLO, La Stampa 28/4/2010, pagina 6, 28 aprile 2010
BOSS IN MANETTE, LA FOLLA LO APPLAUDE
Forse esagera il questore Carmelo Casabona, quando parla di 500 persone. Anzi, sicuramente esagera. Però il problema non sono i numeri ma la sostanza. E la sostanza c’è tutta. Ieri mattina di fronte alla questura, quando è uscito ammanettato un signore anziano con un vestito di velluto verde e una camicia a quadretti, occhiali con montatura d’oro, quella folla assiepata sul marciapiedi è sbottata. Ha cominciato ad applaudire, e una signora bionda con i capelli raccolti a coda di cavallo ha iniziato a gridare: «Giovanni... uomo di pace...».
Era la cognata dell’ultimo grande boss della ”ndrangheta della città, 71 anni suonati, Giovanni Tegano «il rosso», latitante dall’86 ricercato dal 1993 finito ammanettato l’altra sera, arrestato in una casa in collina, sopra la città, sopra il suo quartiere Archi, sulla strada per Gambarie. Arrestato dagli uomini della Mobile di Renato Cortese e da quel gruppo di sbirri segugi dello Sco centrale e di una pattuglia del gruppo «Duomo» che fu, quello che catturò Binnu Provenzano il Corleonese.
Giovanni Tegano, l’ultimo boss dell’ultima guerra di ”ndrangheta, quella che si è combattuta in città tra il 1985 e il 1991, oltre seicento morti ammazzati. Chiusa con una tregua, un armistizio tra i due eserciti in guerra (i De Stefano-Libri-Tegano da una parte contro i Condello-Imerti e Serraino dall’altra), imposto dai cugini palermitani, da Totò Riina e i Corleonesi che si stavano preparando alla stagione stragista.
Testimone di quel passato, Giovanni Tegano non era certo un boss andato in pensione. Si era inabissato, continuando però a tessere la sua ragnatela di interessi, di affari, dalle estorsioni agli appalti. Adesso è troppo presto per emettere sentenze o sparare certezze.
Certo la procura di Giuseppe Pignatone, che ieri ha ricevuto una chiamata di congratulazioni dal Capo dello Stato, dal Presidente Napolitano che ha «adottato» Reggio e i suoi problemi, sta riscrivendo a suon di retate, la storia e la geografia criminale della città. Perché, per capirci, le vecchie alleanze si sono sciolte come la neve al sole e nuove se ne sono create. Non è solo una coincidenza se il Supremo, Pasquale Condello, è stato arrestato il 18 febbraio del 2008 a Pellaro, un quartiere sotto influenza del cartello destefaniano (gli ex avversari di Condello).
Applausi dei familiari al boss che va in carcere. E il questore in conferenza stampa si dispera: «Un fatto vergognoso. Sono esterrefatto per gli applausi verso Tegano e non verso le forze di polizia... è insopportabile vedere che un calabrese possa vivere applaudendo un mafioso...». E facile la suggestione: il dirigente della Mobile reggina è quel Renato Cortese che ha catturato, nel 2006, Bernardo Provenzano. Ricordate Palermo in festa, sotto la questura, con i fischi che accolsero il Corleonese? E’ come se Reggio dovesse ancora intraprendere la strada palermitana.
Sì Palermo è molto più avanti di Reggio. Più che gli applausi di ieri, colpiscono le assenze, quella sensazione di solitudine che accompagna la vita e il lavoro delle forze di polizia e della magistratura. Magari poi non è proprio così, perché Reggio ci sono associazioni e iniziative di volontariato importanti. C’è Libera e qualcosa si muove. La conferma arriva in serata, con un sit in di un centinaio di persone davanti alla Questura, promosso dall’associazione «Reggio non tace».
Aveva un marsupio, Giovanni Tegano, sempre con sé. Ma l’altra sera non ha avuto il tempo di sfilare la 6,35 con il colpo in canna. Battuto sul tempo dalle forze di polizia che l’hanno arrestato con i suoi cinque fiancheggiatori (compreso il genero trentenne). Colpisce quel volto quasi serafico, da vecchietto per la serie «state sbagliando persona». Due anni fa, ricordano gli investigatori, Paolo Schimizzi, nipote del boss Giovanni Tegano, scomparve misteriosamente: una lupara bianca, insomma. Il sospetto degli investigatori è che sia stato lo stesso zio a dare l’ordine di eliminarlo: forse perché il giovane scalpitava troppo, voleva avere più potere, aveva calpestato territori a lui vietati.
Ecco perché quegli applausi di ieri colpiscono, fanno paura. E’ come se Reggio avesse mandato un messaggio alla Nazione: qui i mafiosi vengono ingiustamente vessati dallo Stato. Messaggio naturalmente sbagliato. Proprio l’arresto di Tegano (e degli altri boss) e le prossime retate che si annunciano numerose fanno sperare che in realtà anche a Reggio è arrivata la primavera.