STEFANO LEPRI, La Stampa 28/4/2010, pagina 4, 28 aprile 2010
CHI PAGHERA’ IL CONTO DELLA GRECIA
Chi pagherà per la Grecia? Mettendo le cose in chiaro, se bastasse il piano di aiuti congiunti fra i paesi dell’area euro e il Fondo monetario, ai greci nessuno regalerebbe nulla. Al contrario di quanto strillano molti politici tedeschi, la Germania, la Francia, l’Italia e gli altri paesi soccorritori riscuoterebbero anzi modesti guadagni sui prestiti ad Atene. Banche e privati che possiedono titoli di Stato greci potrebbero perfino rivenderli in futuro a un prezzo più alto di quello a cui li hanno comprati.
Il vero problema è che a questo punto la situazione si è troppo deteriorata perché basti il pacchetto di aiuti finora (con troppa lentezza) discussi. Ieri quel controverso strumento finanziario che è il Cds, Credit default swap, dava secondo complessi calcoli matematici un 46% di probabilità che lo Stato ellenico risulti insolvente nei prossimi 5 anni. Più a naso, tra una cinquantina di economisti consultati dalla Reuters quella probabilità viene stimata in media al 23%.
Insolvenza significa fare come l’Argentina, che smise di ripagare i suoi titoli nel 2001. Di che si tratti lo hanno imparato a proprie spese molti risparmiatori anche italiani, a cui promotori finanziari poco seri avavano affibbiato i «Tango-Bond». I danni sono stati pesantissimi. L’ultima offerta del governo di Buenos Aires, che risale a pochi giorni fa, comporta una perdita del 66,3% sul valore capitale e un limitato pagamento degli interessi. Però non pare che in mano a privati italiani ci siano molti titoli greci.
La Grecia può fallire?
L’insolvenza viene esclusa da tutte le autorità europee e politicamente appare impraticabile per molti motivi. Uno Stato che fa bancarotta (default il termine inglese in uso) da quel momento in poi trova pressoché impossibile raccogliere nuovi capitali sui mercati; mentre la Grecia dovrà continuare a finanziare i suoi deficit per molti anni. Inoltre, subirebbero gravi perdite numerose grandi banche di altri paesi dell’area euro (le francesi hanno 79 miliardi di crediti, le tedesche 42, le italiane solo 8, su un totale di 272 in tutto il continente).
Un default metterebbe in gravi difficoltà alcune banche, che forse tornerebbero a chiedere sostegno da parte degli Stati. Dunque l’insolvenza non va bene, perché è la soluzione più costosa - potenzialmente anche per i contribuenti degli altri paesi - oltre che più devastante. L’esito più probabile, di cui in queste ore gli esperti esaminano i pro e i contro, è una ristrutturazione concordata del debito greco.
L’ipotesi-riduzione
L’ipotesi della ristrutturazione è stata agitata ieri da alcuni politici tedeschi, con scarsa chiarezza e ancora una volta a scopi elettorali interni. Tuttavia si tratta di una ipotesi seria, che non si sostituirebbe affatto al pacchetto di aiuti pubblici dell’area euro e del Fmi, ma gli si affiancherebbe. Ristrutturare il debito, in accordo con i creditori, significa allungarne le scadenze e talvolta anche ridurne l’ammontare.
Circola tra gli esperti un documento scritto da un noto economista, l’anglo-olandese Willem Buiter, ora a capo dell’ufficio studi del colosso americano Citigroup. Scrive Buiter: «L’unico esito plausibile è che la Grecia non dichiari l’insolvenza ma si adegui, probabilmente anche con una ristrutturazione del suo debito, alle dure condizioni finanziarie che si accompagneranno al sostegno finanziario dell’area euro».
In altri casi simili, ricorda l’economista di Citigroup, il Fondo monetario ha richiesto accordi di questo genere, in cui anche il settore privato viene chiamato a contribuire all’onere di salvare un paese indebitato.
La sua ipotesi è che i creditori della Grecia vengano chiamati ad accettare un «taglio di capelli» (si dice così nel gergo dei mercati, haircut) ovvero una riduzione «diciamo del 20-25%» nell’ammontare del loro credito. A tutti coloro che posseggono titoli greci sarebbe chiesto di adeguarsi.
Allungare il debito
Ufficialmente, le autorità europee smentiscono. Qualche giorno fa aveva avanzato una proposta più blanda l’economista tedesco Daniel Gros, direttore dell’importante centro studi Ceps di Bruxelles: limitarsi a prorogare di cinque anni la durata dei titoli greci in circolazione, senza modificarne il tasso di interesse. Se bastasse, sarebbe l’ideale, perché il danno ai creditori della Grecia sarebbe minimo.
Quanto alla possibilità di contagio, il diagramma dei rischi tracciato da Citigroup, diversamente da quello esibito l’altro giorno da Giulio Tremonti, pone l’Italia a mezza strada tra i paesi che devono fare più sforzi (Usa compresi) e quelli solidi.