Antonio Carioti, Corriere della Sera 27/04/2010, 27 aprile 2010
«NON RIABILITATE L’INQUISIZIONE»
All’inquisitore Nicolau Eymerich, realmente esistito nel Trecento, lo scrittore Valerio Evangelisti ha dedicato diversi romanzi, ma il suo interesse per la materia non è soltanto letterario. Tanto che, nella sua introduzione alla ristampa di un vecchio classico come la Storia dell’Inquisizione di Carlo Havas (Odoya, pp. 510, 22), Evangelisti mette sotto accusa
e un’intera corrente storiografica. A suo avviso è in atto un tentativo di riabilitare l’Inquisizione, di sminuirne l’efferatezza e l’intensità persecutoria, cui partecipano non solo polemisti faziosi e bigotti, ma anche «studiosi di tutto rispetto e di assoluta serietà», quali Henry Kamen, Bartolomé Benassar, Franco Cardini. Si rischia, secondo lo scrittore, di sostituire alla «leggenda nera» della propaganda protestante e anticlericale, che dipingeva l’Inquisizione come un’accolita di maniaci assetati di sangue, una «leggenda aurea» altrettanto fuorviante, che la rappresenta come un’istituzione umana e garantista.
Per Cardini si tratta di una provocazione a fini mediatici: «Evangelisti – sostiene il medievista fiorentino – non è uno storico e solleva un polverone privo di fondamento. Capisco che, da cattolico legato alla tradizione, io possa apparire sospetto quando faccio notare che l’Inquisizione non fu una macchina sterminatrice, ma un tribunale che vagliava le prove con grande scrupolo. Tuttavia su posizioni analoghe si collocano colleghi di orientamento ben diverso, come Adriano Prosperi, il maggiore specialista del settore, o Marina Montesano, che ha scritto con me La lunga storia dell’Inquisizione edita da Città nuova».
Davvero gli inquisitori erano attenti ai diritti degli imputati? «Proprio Prosperi – risponde Cardini – ha scritto la postfazione di un libro da me curato per Laterza, Gostanza, la strega di San Miniato, che ricostruisce un episodio esemplare. Nel XVI secolo un anziano inquisitore fiorentino indusse una guaritrice, che aveva dichiarato di essersi accoppiata con il demonio, a ritrattare la sua falsa confessione, salvandole la vita. Non sempre andava così, ma non si tratta di un caso limite. Detto questo, non voglio negare i lati oscuri e brutali dell’attività inquisitoria. Intendo solo ricondurla alla sua dimensione reale, senza nessuna intenzione di edulcorarla».
Evangelisti non ci sta e conferma le critiche: «Nel 1998 Cardini scrisse una prefazione al Manuale dell’inquisitore di Bernard Gui, edito da Gallone, che era tutta volta a ridimensionare la repressione condotta dagli organi ecclesiastici, per dimostrare che fu "meno pesante" rispetto a quella dei tribunali laici. In realtà non è possibile generalizzare, perché parliamo di un fenomeno durato parecchi secoli, con tanti volti diversi: l’Inquisizione medievale, quella spagnola, quella romana rinascimentale. In alcuni casi l’imputato fruiva di certe garanzie, in altri periodi quei tribunali furono davvero un truce strumento di violenza. Ma perché mai Giovanni Paolo II avrebbe chiesto perdono per l’operato degli inquisitori, se non si fossero macchiati di gravi colpe?».
Questa impostazione trova concorde anche un accademico come Andrea Del Col, autore dell’ampio saggio L’Inquisizione in Italia dal XII al XXI secolo, edito da Mondadori: «Evangelisti non ha torto quando segnala la tendenza ad attenuare gli aspetti più feroci dell’attività inquisitoria, ma le sue osservazioni valgono per un gruppo limitato di storici "revisionisti" (a parte certi divulgatori del tutto inattendibili). La maggior parte degli studiosi segue altre linee di ricerca, indicate da Prosperi, che senza dubbio smentiscono le esagerazioni del passato (per esempio le streghe bruciate furono in tutto 50-60 mila, non certo milioni), ma non sottovalutano affatto le conseguenze del clima asfissiante generato da un sistema che, al di là del numero limitato delle esecuzioni, negava la libertà di pensiero e la reprimeva duramente, per giunta in nome di un messaggio d’amore come quello di Gesù».
Cardini però ritiene ingiusto puntare il dito solo contro la Chiesa cattolica: «Va ricordato che spesso l’Inquisizione veniva usata dai governanti laici per scopi politici. Basti pensare al caso di Giovanna d’Arco, che nel 1431 fu bruciata come eretica in base a una condanna emessa da un collegio inquisitoriale pilotato dagli invasori inglesi: una sentenza che nel 1456, con la Francia tornata nel pieno della sua sovranità, venne cassata da un altro tribunale ecclesiastico. Ribadisco inoltre che di solito la giustizia civile, nell’uso della tortura come nelle pene capitali, era più severa dell’Inquisizione. Il francese Jean Bodin, teorico della monarchia assoluta, mandò al rogo centinaia di streghe come membro di un tribunale regio, mentre l’Inquisizione spagnola era piuttosto indulgente verso la stregoneria».
Evangelisti ha l’obiezione pronta: «Non c’è dubbio che i giudici secolari fossero più spietati verso le streghe di quelli ecclesiastici, che si accanivano semmai contro eretici ed ebrei. Tuttavia erano stati dei religiosi come i domenicani Jacob Sprenger e Heinrich Kramer, autori del famigerato manuale Malleus Maleficarum, a definire i caratteri del crimine di stregoneria, fornendo una base giuridica alla repressione che portò sul rogo migliaia di donne. Allo stesso modo è vero che gli inquisitori non torturavano gli imputati, ma va precisato che spesso assistevano ai supplizi inflitti dagli aguzzini in base ai loro ordini».
Anche Del Col avanza delle riserve sugli argomenti di Cardini: «In primo luogo parliamo di un’epoca in cui Stato e Chiesa non erano separati, c’era il connubio fra trono e altare. Inoltre l’Inquisizione perseguiva reati d’opinione e condannava a morte solo gli eretici che non ritrattavano, mentre i tribunali laici infliggevano pene capitali ai colpevoli di delitti comuni (omicidi, stupri, furti gravi) assai più frequenti. La "leggenda nera" dell’Inquisizione va tolta di mezzo, ma per evitare di cadere nell’eccesso opposto occorre scavare più a fondo negli archivi, che finora non sono stati studiati a sufficienza. Solo così si possono superare i pregiudizi di ogni tipo».
Antonio Carioti