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 2010  aprile 27 Martedì calendario

«ERA L’UNICA SOLUZIONE MI SPIACE SOLO PER I BIMBI RIMASTI SENZA PAPA’»

Omar Bianchera aveva un passato ma non un presente. L’uomo che domenica ha deciso di regolare i conti con la sua vita togliendola a tre persone, viveva rannicchiato su se stesso, sempre più lontano dal mondo fuori.
I carabinieri che sono entrati a casa sua hanno avuto questa sensazione, di una progressiva ritirata, di una resa invincibile. La grande sala al pianterreno era vuota, come se mobili e suppellettili fossero stati spazzati da una solerte agenzia di traslochi. Alle pareti, soltanto l’alone grigio lasciato da quadri e fotografie. In cucina, il frigorifero era una specie di natura morta. Tutto quel che mancava nella casa, comprese le provviste, gli investigatori l’hanno ritrovato al primo piano, nell’ultima stanza a sinistra. Dietro alla porta, aperta con fatica, erano ammassati mobili, foto di famiglia, la televisione, la panca per i pesi, le cartucciere, una montagnola di felpe e di panni sporchi. «Il rifugio di un animale ferito» ha detto uno di loro, e forse è davvero così.
Ma non c’è alcun tratto di nobiltà in questa follia appena accennata, comunque tenuta nascosta agli altri, confinata nei quattro metri di una cameretta. Quando lo hanno portato in caserma per sottoporlo allo stub, l’accertamento tecnico che serve a trovare tracce di polvere da sparo sula mano di un sospettato, ha frainteso e si è quasi risentito. «Non mi sono drogato, sono pulito. Potete farmi qualunque tipo di esame, ma io non sono drogato». Come se ci fosse ancora qualcosa da difendere, la rispettabilità prima di ogni altro valore, compresa la vita degli altri. Anche la scena dell’arresto, sul ciglio di una strada provinciale che costeggia il Lago d’Idro, contrasta con l’immagine del killer spietato che in queste ore è stata costruita sul camionista di Volta Mantovana. Nello zaino sul sedile davanti aveva una 44 Magnum, dietro c’era il fucile e una provvista di 141 colpi ancora inesplosi. Armato fino ai denti, ma capace solo di pigolare un «non sparatemi, vi prego» ai due militari che avanzavano verso di lui.
I suoi ultimi minuti di libertà comprendono una telefonata alla mamma, un’altra all’ex fidanzata olandese – «Sono qui, davanti al lago dove ti porto quando vieni in Italia» – e infine al datore di lavoro, con il quale non aveva più rapporti da mesi, per dirgli che «siccome ho combinato un casino non mi devi cercare più». Aveva indosso delle curiose braghe di tela, recuperate dal fondo della macchina. Nel bagagliaio gli hanno trovato i jeans che indossava durante la strage. Dopo aver ammazzato Walter Platter davanti ai suoi bambini, era scappato risalendo un fosso colmo d’acqua, inzuppandosi i pantaloni. Qualcuno ha addirittura ipotizzato che potesse averlo fatto per non lasciare tracce e ingannare l’olfatto dei cani, ma i carabinieri gli hanno detto di lasciar perdere. Non è un tipo da tecniche di guerriglia, Omar Bianchera. «Quello del Rambo ha solo il fisico e il soprannome» dice l’ufficiale che lo ha arrestato.
Nessun pentimento, ma neppure disprezzo per le sue vittime. Solo qualche parola farfugliata per spiegare un gesto e una determinazione inspiegabili. «Dovevo farlo» ha ripetuto. «Ero stressato. Anche adesso sono molto stanco». L’argomento non è che lo interessi più di tanto, ormai il più è fatto. Lo hanno portato nel carcere di Mombello che era l’una di notte. Ha dormito fino a mattina inoltrata, quando il secondino non l’ha risvegliato. L’unico sussulto lo ha avuto con Maria Grazia Capitanio, il suo legale, che gli spiegava con pazienza l’entità del suo gesto. «Mi è spiaciuto solo per quei bambini che hanno visto ammazzare il loro papà», ha detto. L’avvocato sostiene che il suo assistito sia «duramente provato», una persona svuotata.
In realtà quel poco che Omar aveva da dire l’ha già detto, ai carabinieri, dopo aver chiesto un latte caldo. «Credetemi, al punto in cui ero arrivato non potevo fare in un altro modo. Non c’erano altre soluzioni». Nel chiuso della sua stanza, tra cartoni unti degli avanzi di vecchie pizze e mucchi di vestiti sporchi, aveva deciso tutto lui. «Credetemi, ho le mie ragioni. Non sono un mostro, sono una persona normale». Anche Giuseppe Adami, il suo sindaco, sono ormai due giorni che ripete lo stesso concetto. Omar non era niente, «uno che al massimo faceva dispetti o fastidi alla sua ex moglie, un vicino di casa a cui nessuno prestava attenzione». Un po’ strano magari, ma appena appena. Quel tanto che basta per uccidere tre persone a sangue freddo.
Marco Imarisio