Paolo Valentino, Corriere della Sera 27/04/2010, 27 aprile 2010
DUE MUSEI SULLA MAFIA, LA SCOMMESSA DI LAS VEGAS
Non potrebbe più scriverla, Francis Ford Coppola, la battuta che ne Il Padrino II Lee Strasberg diceva ad Al Pacino: «Quel ragazzo si chiamava Moe Green e la città che inventò era Las Vegas. Un uomo visionario e coraggioso. Ma non c’è neppure una targa, una strada o una statua dedicata a lui in quella città».
Nel ruolo ispirato al mafioso ebreo Meyer Lansky, Strasberg cantava le gesta di Benjamin Bugsy Siegel, il bandito megalomane che nel 1946, con i soldi di Lansky, aprì il Flamingo, il primo hotel-casinò nell’ex avamposto nel deserto del Nevada, dove sostavano le truppe dirette verso il Pacifico. Fu l’atto di fondazione di Sin City, la Città del peccato.
Coppola non potrebbe più scrivere la battuta, perché 60 anni dopo Vegas è pronta a recuperare con gli interessi la memoria del suo passato imbarazzante, rendendo omaggio al ruolo fondamentale svolto dalla malavita organizzata nel farne la mecca americana e mondiale del gioco d’azzardo, metropoli dissoluta dal fascino irresistibile.
E si appresta a inaugurare non uno, ma due musei in competizione (per fortuna incruenta) tra di loro, dedicati ai fondatori e ai personaggi che hanno costruito la sua leggenda, da Siegel a Lansky, da Tony Spilotro, detto the Ant, la formica, a Sam «Momo» Giancana, il boss di Chicago che divise l’amante, la bellissima Judith Campbell Exner, con il presidente John F. Kennedy.
Ospitato nell’edificio in mattoni che fu sede del Tribunale federale e dell’Ufficio postale, costato 42 milioni di dollari tra fondi pubblici e donazioni private, il Museum of Organized Crime and Law Enforcement aprirà i battenti tra poco meno di un anno. Esporrà oltre 700 oggetti, compreso il muro del massacro di San Valentino, la strage che segnò il trionfo di Al Capone, smontato pezzo per pezzo a Chicago e ricostruito. Avrà anche un’aula di giustizia, dove i visitatori potranno farsi prendere impronte digitali e foto segnaletiche. E soprattutto, terrà conto di un doppio punto di vista: quello dei criminali e quello delle guardie. L’Fbi ha infatti collaborato generosamente all’allestimento, attingendo ai propri archivi e fornendo tra l’altro il filmato segreto di un rito d’iniziazione alla mafia.
«Non si può raccontare la storia di Bugsy Siegel e Frank Lefty Rosenthal senza raccontare anche quella degli agenti che diedero loro la caccia», dice Oscar Goodman, sindaco di Vegas, ma anche l’ex avvocato che nel 1986 difese Tony the Ant Spilotro.
Ma ad arrivare per primo sulla Striscia, la mitica strada dei casinò e dei locali notturni, sarà un museo alternativo. Non contaminato, si fa per dire, dalla collaborazione con le forze dell’ordine, il Las Vegas Mob Experience verrà aperto alla fine di quest’anno al Tropicana, una delle case da gioco storiche della città, sontuosamente restaurata al costo di 165 milioni di dollari.
Madrina dell’operazione è nient’altri che Antoinette McConnell, ultrasettantenne figlia di Momo Giancana, che promette oltre un migliaio di oggetti inediti e ricostruzioni fedeli di luoghi mitici dell’epopea mafiosa, come il living nel quale suo padre riceveva i clienti o la cucina di casa Spilotro, dove i boss contavano le mazzette in arrivo da Vegas, tra una pentola col sugo di polpette e un fiasco di Chianti. Il brivido è garantito da un percorso interattivo, dal titolo The Final Fate, il destino finale, al termine del quale il visitatore scoprirà se è stato accettato come membro della famiglia, ovvero se l’aspetta una pallottola in fronte. Visto che è Las Vegas, meglio precisare che naturalmente sarà a salve.
Il sindaco Goodman non ha paura della concorrenza. Si dice certo che il suo museo sia «the Real Thing», l’originale. Ma ammette che anche la sua creatura dovrà rendere omaggio al ruolo della mafia nella costruzione e nel successo della città: «La storia del crimine organizzato e quella di Las Vegas non possono essere scisse. molto più di un racconto di guardie e ladri. La storia di Vegas è quella dell’America».
Paolo Valentino