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 2010  aprile 24 Sabato calendario

NEGOZI AGLI STRANIERI SOLO SE SUPERANO L’ESAME DI ITALIANO

Giovedì Fini, dimenticandosi evidentemente del passato di An, ha attaccato la Lega per le sue politiche immigratorie. Dai figli dei clandestini cacciati dalle scuole, ai medicispia che scatenano il panico in corsia fra i pazienti senza permesso di soggiorno. Per nulla intimoriti, dal Carroccio ieri hanno rincarato la dose. Attraverso un emendamento al decreto legge incentivi, i parlamentari leghisti hanno infatti chiesto di affidare alle Regioni il potere di introdurre nuovi paletti: gli extracomunitari che vogliano aprire un negozio devono prima aver superato un esame di italiano.
«Le regioni si legge nella proposta a firma della deputata Silvana Comaroli possono stabilire che l’autorizzazione all’esercizio dell’attività di commercio al dettaglio sia soggetta alla presentazione da parte del richiedente qualora sia un cittadino extracomunitario di un certificato attestante il superamento dell’esame di base della lingua italiana rilasciato da appositi enti accreditati». Non solo.
L’emendamento chiede anche di mettere al bando le insegne multietniche, accettando solo quelle in dialetto. «Le regioni si legge possono stabilire che l’autorizzazione da parte dei comuni alla posa delle insegne esterne a un esercizio commerciale è condizionata all’uso di una delle lingue ufficiali dei Paesi appartenenti all’Unione europea ovvero del dialetto locale». Un emendamento al decreto legge incentivi presentato dal capogruppo della Lega, Maurizio Fugatti, in commissione, prevede inoltre che se per conseguenza delle misure per gli incentivi messe in campo dal governo le aziende si trovassero a dover fare nuove assunzioni sarebbero «obbligate a assumere prioritariamente personale con cittadinanza di uno degli Stati appartenenti all’Unione europea».
A fare da apripista è stata Prato che a marzo ha reso obbligatorio la conoscenza della lingua di Dante come requisito per l’apertura (e il subentro) di un’attività di somministrazione di bevande e alimenti. Il nuovo corso è stato approvato dal Consiglio comunale: il testo del nuovo regolamento del commercio, reso immediamente esecutivo, richiede la «conoscenza della lingua italiana da parte del richiedente, o di un socio o di un dipendente, addetti al servizio di somministrazione, impegnati nella conduzione giornaliera dell’attività». La conoscenza dell’italiano si potrà dimostrare esibendo un titolo di studio conseguito in Italia; un attestato di frequenza a corsi di italiano rilasciato da agenzie formative, istituti scolastici o enti pubblici;
un’autocertificazione in cui si attesta il superamento di un esame (che sarà disciplinato da un altro regolamento) effettuato dal Servizio immigrazione del Comune di Prato. Dietro tanto rigore, una situazione ormai ingestibile per gli amministratori pratesi. I Nas e l’azienda sanitaria chiedono continuamente di chiudere ristoranti che non rispettano le regole anche perché i titolari non sanno leggere, né tantomeno compilare, il manuale sulla sicurezza alimentare.
La Giunta guidata dal sindaco Roberto Cenni ha posto alla base della delibera sul test d’italiano per bar e ristoranti anche il principio di equità. Il regolamento approvato nel gennaio 2009 dalla precedente amministrazione di centrosinistra prevede infatti che la conoscenza di una lingua straniera, oltre a quella propria dell’esercente, dia diritto a un bonus, utile a raggiungere il punteggio necessario per avviare l’attività. Creando così il paradosso di favorire chi conosce due lingue ma non l’italiano.