Giampiero Nuzzi, Libero 27/4/2010, 27 aprile 2010
«SE INCASTRO DELL’UTRI MI RIEMPIONO DI SOLDI E MI FANNO ONOREVOLE»
Sui processi siciliani a Marcello Dell’Utri piomba una intercettazione telefonica che lascia interdetti. Nel settembre scorso Gregorio Donnarumma, penalista napoletano che nella sua carriera ha difeso pentiti del calibro di Giovanni Brusca, svela una storia incredibile chiacchierando al telefono con una amica. Afferma che taluni gli avevano promesso denaro e un posto in Parlamento se avesse messo a spartito i pentiti che accusano Marcello Dell’Utri. L’avvocato è loquace, racconta di esser stato «minacciato dalla politica, minacciato dalla pubblica amministrazione, minacciato... anzi addirittura con tentativi di corruzione hanno... hanno tentato addirittura di promettermi grosse somme di denaro... e un seggio in Parlamento... se riuscivo a far mettere d’accordo quelli che accusavano Dell’Utri».
Donnarumma non lo sa ma il telefono dell’amica Patrizia Mirigliani è sotto controllo dal pubblico ministero di Potenza John Henry Woodcock. Sta indagando sul concorso di Miss Italia organizzato dal padre della signora. La questura di Potenza, la squadra mobile, trascrive la telefonata e così i brogliacci finiscono negli atti dell’inchiesta. Che non ha successo e finisce archiviata. Così il papà di una delle bellissime candidate alla corona si legge le carte dei faldoni quando gli finisce tra le mani il resoconto della telefona e strabuzza gli occhi: soldi per incastrare Dell’Utri? Così segnala la cosa ai difensori del parlamentare azzurro, Pietro Federico e Giovanni Li Peri, che ieri hanno chiesto al processo per calunnia di portare in aula il collega napoletano.
La storia ha dell’incredibile. Donnarumma non è un avvocato qualsiasi. Nella sua vita ha difeso per lunghi anni collaboratori di giustizia, ha diviso il lavoro con legali di rilievo. Tra questi sicuramente il senatore del Pd Luigi Li Gotti, già sottosegretario nel governo Prodi alla giustizia in quota Italia dei Valori dove è approdato nel 2003 dopo un vita passata prima nel Movimento sociale e poi in An. Li Gotti è il difensore storico di Tommaso Buscetta e Totuccio Contorno. Capire chi è Donnarumma diventa cruciale per dare il giusto rilievo a questa telefonata che determina interrogativi inquietanti sul caso Dell’Utri. A iniziare dagli attentati che ha evitato quando difendeva proprio con Li Gotti pentiti della sicilia orientale, tra Catania e Siracusa. E soprattutto perché, raggiunto al telefono, Donnarumma minimizza il valore di quella chiacchierata: «Sì, ricordo quella conversazione afferma ma era tutto un gioco, uno scherzo, tutte sciocchezze. Ho già chiarito con Woodcock che mi interrogò su questa vicenda». Come tutto un gioco? Uno parla di minacce, di pentiti da far incastrare nei loro racconti ed è una sciocchezza? «Guardi io non ho mai difeso alcun collaboratore nell’area di Palermo, quindi non c’è proprio la possibilità che mettessi d’accordo gli accusatori di Dell’Utri». E allora perché ha detto quelle cose? «Era un gioco, al telefono si gioca».
Abbiamo sempre scritto che bisognerebbe sentire anche le telefonate oltre a leggerne il testo per comprenderne il tono. Ma leggendo la conversazione integrale i dubbi che fosse solo un gioco, una spavalderia, sono veramente minimi. Il testo assomiglia più a una confessione che a un grande scherzo, i riferimenti a Dell’Utri, a Giulio Andreotti, ai grandi processi di mafia e ai servizi segreti tutto fanno pensare più che a una carnevalata, a una battuta serale, così per scherzare sui grandi misteri d’Italia. Sarà ora la Corte di Palermo a decidere se sentire o meno Donnarumma.