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 2010  aprile 27 Martedì calendario

PER ORA SIAMO AL RIPARO GRAZIE A RISPARMIO E BASSO DEBITO ESTERO

Anche ieri i mercati hanno continuato a scommettere contro la tenuta del duplice accordo intervenuto nell’ultimo mese tra l’Unione europea e il Fondo Monetario Internazionale a sostegno della Grecia. I cds, i credit-default swap che sono strumenti finanziari trattati fuori dai mercati regolamentati con i quali ci si assicura dal rischio insolvenza di emittenti di titoli di debito pubblico o privato, sui titoli pubblici greci in un solo colpo ieri sono saliti in poche ore di un altro 14%, toccando il massimo di 713 punti. Per ogni euro di debito pubblico greco in scadenza il mercato considera che le possibilità di default siano superiori al 70%. La graduatoria dei Paesi più esposti a contagio è presto fatta. I cds sul Portogallo sono saliti a 318 punti. Quelli sull’Irlanda a 200 punti. Quelli sulla Spagna a 184 punti.
L’Italia non è tra i sospettati speciali. I cds sull’Italia hanno toccato un massimo di soli 139 punti. Se osserviamo i differenziali sui rendimenti dei titoli pubblici decennali, ecco la conferma. I titoli portoghesi ieri hanno visto un tasso superiore di 220 punti base rispetto a quelli tedeschi, quelli irlandesi di 184 punti. I tassi italiani sul Btp decennale ieri erano più alti dell’equivalente titolo germanico solo di 90 punti. Cerchiamo di capire da cosa dipende la tenuta italiana.
Primo: che cosa unisce i Paesi dell’euro’a rischio”? Il fatto di avere, grazie all’euro comune, una moneta sopravvalutata rispetto al loro doppio deficit, fiscale e di parte corrente della bilancia dei pagamenti. Grecia e Portogallo hanno bassi tassi di risparmio delle famiglie, e ciò li espone a maggior necessità di afflussi di capitale dall’estero. Spagna e Irlanda hanno propensioni al risparmio più elevate, ma entrambi sono troppo cresciuti a debito, da bolla immobiliare e finanziaria. Per Grecia e Portogallo dunque il problema è la bassa solvibilità. Per Spagna e Irlanda, di bassa liquidità. L’Italia ha tradizionalmente tra le più elevate propensioni al risparmio in area Ocse – le famiglie sono formiche e non cicale - ed è il secondo Paese manifatturiero ed esportatore in area Ue dopo la Germania. In più, abbiamo tenuto basso il deficit pubblico anche nella grande crisi, a livelli ”tedeschi”. Avendo un tasso di crescita inferiore agli altri Paesi oggi nel ciclone, la politica italiana è stata costretta a un avanzo primario nei conti pubblici, per evitare che il costo del debito, intorno al 4% del Pil, sopravanzasse la crescita dell’1% medio della nostra economia, aggravando il debito. Chi cresceva del 7% l’anno come la Grecia poteva anche tenere un deficit primario di diversi punti di Pil, senza che per questo peggiorasse il debito pubblico, visto che il costo del debito era analogo a quello italiano.
Secondo: la relazione tra crescita e costo del debito determina i diversi costi nazionali per l’aggiustamento. Gli effetti variano per la consistenza e caratteristiche delle diverse economie reali. Una manovra di aggiustamento chiesta alla Grecia pari al 9% del suo Pil – il deficit pubblico 2010 sarà altrimenti pari a quasi il 14% – può costare alla sua economia reale un effetto deflattivo-recessivo pari fino al 20% del suo prodotto. L’effetto è pesante, perché la parte pubblica pesa molto sull’economia greca. I 7,5 punti di Pil di minore deficit che servirebbero all’Irlanda, potrebbero comportare una diminuzione del suo prodotto di 9 punti. I 4 punti chiesti alla Spagna, potrebbero significare fino a un meno 8% di prodotto. Per questo le opinioni pubbliche greche e iberiche protestano, contro la Germania rigorista. Infine non conta solo il debito pubblico, ma il totale del debito netto contratto da pubblico e privato sull’estero. E su questo l’Italia sta benissimo. Se si ricalcola su questa base il debito estero sommando i capitali in entrata e uscita dell’ultimo decenni, la Grecia ha un debito estero netto pari al 104% del suo Pil, il Portogallo al 122%, la Spagna scende al 65%. L’Italia lo ha del tutto trascurabile, solo l’8% del Pil. Il debito netto estero equivale a più di 5 volte l’intero export nazionale annuale di Atene, quello portoghese a più di 4 volte, quello spagnolo a due volte e mezza. Nel caso italiano, l’export italiano anche nel terribile 2009 supera del 54% il totale del debito netto estero del nostro Paese. Siamo creditori netti, non debitori.
Ecco perché stiamo meglio degli altri. Anche se è inutile illudersi. Se dall’euro saltassero Grecia prima, e Paesi iberici poi, le cose cambierebbero anche per noi.