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 2010  aprile 27 Martedì calendario

SIR FAZLE, IL BENGALESE RE DELLE ONG

Tre anni fa Mamun Imam Tirmiji era uno dei tanti bambini di strada di Korail, uno slum con più di 100mila abitanti affacciato su Lake Banani, una specie di fogna a cielo aperto nel cuore di Dhaka. Oggi passa le sue mattinate seduto su un tappeto di sacchi di juta, davanti a una piccola lavagna e un portapenne dai colori squillanti ricavato da una lattina di Virgin Cola. Dei suoi tentativi falliti di frequentare l’unica scuola statale del quartiere preferisce non parlare. L’unica cosa che gli interessa, oggi che frequenta una delle nove Brac primary school di Korail, è il suo futuro: da grande farà il parlamentare, dice, «per mettersi al servizio degli altri».
La straordinaria trasformazione avvenuta nella vita di Mamun e di altri sei milioni di bambini del Bangladesh è merito di un uomo che 38 anni fa ha rinunciato a una promettente carriera alla Shell per fare la stessa cosa che oggi sognano di fare i piccoli alunni delle sue scuole: mettersi al servizio degli altri. Un’operazione compiuta con tale successo che oggi Brac, la creatura di Sir Fazle Hasan Abed, pur senza essere la Ong più ricca del pianeta, è quella che impiega il maggior numero di dipendenti, insegnanti e volontari (52mila, 64mila e 7mila rispettivamente). E che, con i propri programmi, ha raggiunto in quasi 40 anni di attività in Bangladesh l’incredibile cifra di 110 milioni di persone, a cui se ne sommano altre centinaia di migliaia in otto diversi paesi del mondo dove oggi l’Ong opera.
Ma ciò che rende unica Brac, nata inizialmente per assistere i profughi della guerra che nel 1971 ha portato alla nascita del Bangladesh, non sono tanto le dimensioni quanto il suo modello di business. Frutto di una delle prime scoperte fatte da Sir Fazle nella sua seconda vita al servizio degli altri, ovvero che la povertà non è una sindrome monodimensionale. «Quando ho fondato questa Ong - racconta in una saletta al 19esimo piano del grattacielo di Dhaka dove ha sede Brac- credevo che la povertà fosse mancanza di reddito. Invece è anche mancanza di scuole, di ospedali, di fiducia, di idee. Tutti problemi strettamente correlati che vanno affrontati nella loro complessità. Perché un bambino che va a scuola affamato è destinato a imparare meno dei suoi compagni», creando i presupposti per perpetuare la sua condizione di inferiorità. «A noi non interessa realizzare progetti all’insegna del "piccolo è bello". Noi vogliamo avere un impatto. E riuscirci significa occuparsi di scuola, sanità, credito. Significa creare posti di lavoro e accrescere la produttività agricola».
Questa presa di coscienza ha portato Brac ad allargare progressivamente il proprio raggio d’azione,ibridando con successo sviluppo e impresa. «Dopo qualche anno di lavoro nel settore del microcredito - spiega Sir Fazle ci siamo resi conto che fornire piccoli capitali non è sufficiente. Molti nostri creditori usavano i prestiti per comprarsi una mucca, ma non in tutti i villaggi c’è bisogno di un nuovo piccolo produttore di latte. Così abbiamo creato centri dove conservare e pastorizzare la produzione in eccesso per poi rivenderla al dettaglio a Dhaka». Una volta trovata una formula per dare uno sbocco commerciale al latte dei propri ex-creditori/neo-fornitori quelli di Brac si sono posti, come avrebbe fatto un’azienda, il problema di aumentare i volumi. La soluzione è stata l’ibridazione delle razze locali con le frisone europee, così da produrre più latte. Un’idea che non solo ha migliorato le condizioni di vita dei proprietari di bestiame, ma ha anche creato duemila posti di lavoro nel settore dell’inseminazione artificiale.
L’approccio "verticale"dell’industria del latte è stato replicato altre volte. Così che oggi Brac non si limita a finanziare centinaia di migliaia di piccoli proprietari terrieri, ma vende anche semie fertilizzanti prodotti su misura, sia a chi coltiva terreni aridi chea chi è vittima della progressiva salinizzazione delle regioni affacciate sul Golfo del Bengala. Non gestisce solo delle scuole, ma ha anche aperto una casa editrice che stampa quei libri che il ministero dell’Educazione consegnava sempre in ritardo. Al punto che oggi è Brac a rifornire il governo e non viceversa. Non solo, siccome molte alunne durante i giorni del ciclo non uscivano di casa e saltavano le lezioni, Brac è entrata nel business degli assorbenti a basso costo, andando a servire una fascia di mercato che i produttori tradizionali consideravano poco remunerativa.
Il risultato di questa incessante opera di riesame dell’efficacia dei propri progetti sono una serie di
social enterprises nate intorno al core business di Brac. Pensate con l’obiettivo di accrescere l’impatto dei programmi di sviluppo, creare posti di lavoro e, in tempi ragionevoli, fare utili che possano essere reinvestiti in altre attività si sviluppo. A giudicare dal bilancio di Brac il sistema funziona: oggi le donazioni non rappresentano neppure il 30% delle entrate, mentre il resto proviene da attività commerciali tra cui spicca una delle banche più grandi del Bangladesh.
Nonostante lo spirito imprenditoriale impresso nel Dna della sua creatura, Sir Fazle resta convinto che i modelli di business for
profit che si rivolgono ai poveri in ultima istanza finiscano per ignorare le fasce più svantaggiate. «Noi invece andiamo dove c’è più bisogno, incuranti del fatto che ci costi di più. Anche se usiamo metodi presi in prestito dal mondo degli affari, la nostra mission rimane la riduzione della povertà. Io lo chiamo mission driven business model ». Un concetto a cui diverse Ong stanno guardando con interesse, ma che, spiega Sir Fazle, è meno popolare di quanto potrebbe. «La maggior parte delle organizzazioni non governative non ha idea di come si faccia business e neppure pensa in termini di business. Come se non bastasse, non tutti i governi vedono di buon occhio la commistione di impegno umanitario e affari».
Nonostante queste resistenze, i paesi interessati ai progetti di Sir Fazle sono sempre più numerosi. Dopo aver passato 30 anni a lavorare soltanto in Bangladesh nel 2002 Brac ha iniziato a operare anche all’estero. Oggi è presente in Afghanistan, Sri Lanka, Pakistan, Uganda, Tanzania, Sudan, Liberia e Sierra Leone e fornisce assistenza tecnica a progetti in India, Haiti e Indonesia. Dietro l’espansione internazionale non ci sono solo le aspirazioni di quella che forse è la Ong più simile a una multinazionale che ci sia sulla faccia della terra. Ma anche la convinzione che l’epoca in cui gliaiuti umanitarie i programmi di sviluppo viaggiavano in un’unica direzione, da nord verso sud, stia finendo.
Oggi Brac è la prima grande Ong del sud del mondo che opera in altri paesi del sud del mondo. Portando con sé una serie di vantaggi competitivi che nel giro di qualche anno potrebbero cambiare il modo in cui le nazioni in via di sviluppo riceveranno gli aiuti di cui hanno bisogno. «Rispetto a chi viene da un paese ricco noi capiamo meglio la povertà», spiega Sir Fazle. «E i nostri dipendenti sono molto più cost effective : fanno lo stesso lavoro di un americano per uno stipendio che non è neppure paragonabile. E inoltre non abbiamo costi aggiuntivi per garantire la sicurezza dei nostri operatori sul campo. Credo che questo sia solo l’inizio e che presto vedremo altre Ong muoversi sulla direttrice sud-sud. Se lo fa Ratan Tata nel mondo degli affari perché non dovremmo provarci anche noi?».