Stefano Feltri, il Fatto Quotidiano 27/4/2010;, 27 aprile 2010
CALTAGIRONE: IL POTERE DEL NUMERO DUE - A
volte la poltrona da numero due, da vicepresidenti, è meglio di quella più alta. Basta vedere l’avanzata di Francesco Gaetano Caltagirone nella finanza italiana: un’ascesa in apparenza parziale, che si ferma un gradino sotto lo scranno più nobile. Sono tre le vicepresidenze che contano per l’I n ge - gnere, come viene chiamato il costruttore romano (soprannome condiviso con un altro finanziere di successo, Carlo De Benedetti): Monte de’ Pa - schi di Siena, quella a cui tiene di più, l’Abi, associazione delle banche italiane, e da sabato le Assicurazioni Generali. Quest’ultima è arrivata un po’ a sorpresa: è una vicepresidenza non esecutiva, che per Caltagirone comporterà un paio di consigli di amministrazione al mese a Trieste e un aumento di peso in quello che sta diventando il nuovo centro della finanza italiana, dopo il trasloco di Cesare Geronzi dalla presidenza di Mediobanca a quella del gruppo assicurativo triestino. TRIESTE Perché Caltagirone ha ottenuto quella poltrona? Ufficialmente per dare una rappresentanza ai piani alti ai grandi azionisti privati che negli ultimi anni hanno avuto tanti dispiaceri in Borsa dal titolo delle Generali, passato dai 40 euro del 2000 ai 16,75 del 2010. Il gruppo De Agostini, ha calcolato Milano Finanza, ha subìto una riduzione del valore dell’investimento del 59 per cento, la finanziaria Ferak del 33 per cento, l’industriale degli occhiali Leonardo Del Vecchio del 38 per cento. Caltagirone, che ha comprato il grosso delle azioni quando il mercato era già crollato, ha perso ”soltanto” il 23 per cento del valore iniziale. Quindi si è preso la vicepresidenza per assicurare agli altri che hanno investito per il peso politico che le Generali garantiscono, che Geronzi sarà sensibile ai loro interessi. In realtà, pensare che Geronzi abbia nominato un vicepresidente ostile è una lettura forzata: ”Nessuno si mette un nemico in casa”, nota un osservatore delle vicende triestine. Eppure negli ambienti finanziari c’è una diffusa consapevolezza che l’alleanza ta Geronzi e Caltagirone, sodali di vecchia data, è soltanto tattica e non strategica: i due sono in realtà in competizione per l’influenza sulla politica e gli affari romani. Una delle ragioni per le quali Geronzi si è sganciato volentieri dalla prestigiosa poltrona di presidente di Mediobanca era proprio per recuperare contatto con Roma, visto che la sua presenza a Trieste sarà meno necessaria di quanto non fosse quella in Piazzetta Cuccia a Milano. E il banchiere diventato assicuratore (anche se ammette di non conoscere il settore delle polizze) potrebbe anche aprire un ufficio romano. Mercoledì, all’a s s e m bl e a del gruppo Caltagirone, l’I n ge - gnere forse dirà qualcosa sui suoi progetti per la vicepresidenza (gli altri due vice sono il finanziere francese Vincent Bolloré e l’amministratore delegato di Mediobanca Alberto Nagel). A dimostrazione di quanto crede nella nuova era della compagnia – cioè la sua, di Geronzi, e dell’ad Giovanni Perissinotto – Caltagirone ha comprato altre azioni proprio a ridosso dell’assemblea che gli ha attribuito la carica: 350 mila azioni per un valore di 5,8 milioni di euro, 0,02 per cento del capitale. TRA SIENA E ROMA. Cosa ci guadagna Caltagirone dall’ascesa dentro Generali? Chi da anni segue le imprese dell’Ingegnere spiega che per lui il gruppo assicurativo è diventato un po’ un feticcio, come per altri è il Corriere della Sera (dove Caltagirone, che pure è editore di molti giornali, inclusi il Messaggero e il Mattino, non è mai riuscito a entrare): un simbolo del potere. Come la vicepresidenza del Monte de’ Paschi di Siena, ottenuta grazie a una partecipazione del 3,9 per cento: una poltrona che consente a Caltagirone di sentirsi un banchiere – o l t re che un imprenditore ”e lo mette in condizione di giocare altre partite. Come quella per la presidenza dell’Abi: Caltagirone ne è vicepresidente e sponsorizza come nuovo presidente Giuseppe Mussari che – a sua volta – al momento è presidente di Monte de’ Pa s ch i . Un intreccio che dimostra la regola caltagironiana: i numeri due possono contare più dei numeri uno. ACEA. Come nell’azienda di servizi (acqua ed energia) Acea, l’altra cassaforte del potere dell’Ingegnere. Il 22 aprile la Consob ha ufficializzato che Caltagirone è passato dall’8,945 al 10,058 per cento. Tradotto: anche qui l’immobiliarista- finanziere si è assicurato il secondo posto che conta. Il primo azionista è sempre il Comune di Roma che, finché non applica il decreto Ronchi e vende sul mercato parte del suo 51 per cento, detiene la quota di controllo politica. Subito dopo viene Caltagirone, che ha appena scavalcato i soci francesi di Gdf-Suez con cui è in corso una lunga guerra di logoramento per decidere chi comanda. E dentro il gruppo Caltagirone c’è la consapevolezza che un conto è essere il terzo azionista, tutt’altra cosa essere il secondo. Non c’è bisogno di comprarsi tutta la (costosa) ex municipalizzata, basta diventare il primo interlocutore del comune. Soprattutto visto che, con il nuovo statuto contestato al Tar dai piccoli azionisti, tutte le poltrone del consiglio di amministrazione andranno ai grandi soci. Cioè comune, Caltagirone e Gdf-Suez. Il potere caltagironiano, quindi, si fonda su questa tela. L’unica domanda che resta in sospeso è per cosa verrà usato. Ma come tutti gli uomini di potere, anche Caltagirone è sempre esposto su molti fronti, il suo successo è un’equazione a molte incognite che finora è sempre riuscita a trovare una soluzione. Ma di incognite se ne aggiungono sempre, anche di tipo giudiziario. All’inizio del mese la Procura di Roma ha chiesto il suo rinvio a giudizio (assieme ad altre 19 persone) per le scalate bancarie del 2005, quando Caltagirone faceva parte del cosiddetto ”contropatto” (il presunto accordo tra azionisti della Banca nazionale del lavoro per evitare l’acquisto da parte degli spagnoli del Santander). E a Milano è già sotto processo.